Ambiente

Raccontare l’emergenza ambientale

2 Gennaio 2025

Raccontare l’emergenza climatica e ambientale oggi è un problema.

Perché gli allarmi e gli ultimatum vengono respinti.

Le immagini delle tragedie e dei disastri che non risparmiano più nessun continente del pianeta, suscitano assuefazione, rischiano l’effetto desensibilizzazione e infine inducono a depoliticizzare ogni immaginario di possibile cambiamento.

Una strada indicata da alcuni esperti fa riferimento alle possibilità offerte dalla comunicazione artistica.

Ci stanno provando i corti di Steve Cutts, illustratore e animatore londinese, le sculture di Isaac Cordal, artista spagnolo, alcune performance scenografiche inscenate nelle strade dal movimento ambientalista Extiction Rebellion (XR), alcune opere di street art dell’inglese Banksy o dell’italiano Blu.

Perché non immaginare che anche la letteratura potrebbe offrire il suo contributo? Non penso in questo momento a romanzi e racconti a tematica specifica, ma a qualcosa che potrebbe indurre a riflettere e a rendersi consapevoli magari a partire da storie che vengono da altri tempi.

Ho fatto questa riflessione leggendo il lungo racconto di Mauro Corona, Lunario sentimentale, Mondadori.

Corona accompagna i lettori in un anno di ricordi, da gennaio a dicembre, ripercorrendo una vita vissuta secondo ritmi che oggi sembrano persi. È il calendario che guida ogni pagina, e il lettore segue le stagioni come un vecchio che conta i giorni nel campo, tra lavori, feste, scherzi e piccoli piaceri. È un racconto che sa di fatica, di vita contadina aspra e ripetitiva, terra, neve, freddo, caldo, vino e allegria.

Io credo che le pagine più belle del libro siano quelle in cui Corona riflette sulla frattura che ha messo fine a questo mondo e soprattutto ha cancellato la sapienza che vi si era condensata in un’arte di vivere in un mondo difficile e aspro come quello della montagna.

Questa frattura è stato il disastro della diga del Vajont. Corona è di Erto e di quelle montagne racconta.

Quel mondo e quell’arte di vivere hanno smesso di esistere il giorno in cui la volontà di occultare i rischi possibili, sottomessa all’avidità e alla smania di successo, hanno permesso che il crollo del fianco del monte Toc cancellasse il paese di Longarone con una strage di 2000 vittime che rese inabitabile quelle montagne.

Il primo ecocidio della storia italiana in cui possiamo vedere come in uno specchio i danni di quello che papa Francesco chiama peccato ecologico con questa definizione: «la perdita, il danno o la distruzione di ecosistemi di un territorio determinato, in modo che il suo godimento per parte degli abitanti sia stato o possa vedersi severamente pregiudicato».

Io credo che la lettura dei racconti di Corona potrebbe ispirare una seria riflessione sul senso del lutto per ciò che è irrimediabilmente e definitivamente perduto quando la natura viene depredata, violentata, sottomessa a logiche di dominio e sfruttamento.

Sono discorsi che ai ragazzi delle nostre scuole, con cui leggere il libro, potrebbero ispirare buoni pensieri e muovere all’azione nelle direzioni giuste.

C’è un piccolo episodio del libro che ritengo assai istruttivo. E’ quello della pesca delle rane che i nipoti fanno guidati da uno zio (tra loro vi è lo stesso scrittore). La rana è un cibo prelibato, ma la pesca ha delle regole ferree e lo zio le impone con il bastone perché nessuno trasgredisca per avidità. Non si possono prendere più di sei rane a testa. Lo zio vigila e poi motiva: le altre vanno lasciate a chi viene dopo.

Se non cambieremo modo di vivere, di lavorare, di consumare, di produrre ecco cosa perderemo: un mondo dove c’è posto ancora per tutti, anche per i nostri figli e i nostri nipoti che verranno dopo.

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