Partiti e politici
La torrida estate dell’ex Rottamatore. Agosto arriverà anche per Renzi
Forse mai come quest’anno un leader politico attende con ansia l’arrivo del generale agosto per prendersi un po’ di respiro e fare un break da uno scenario politico che, ogni giorno di più, sembra stringersi intorno al collo del nostro protagonista come un nodo scorsoio. Per Matteo Renzi quella del 2016 sarà una lunga, calda, torrida estate. Il fatto di aver gettato sul tavolo il referendum costituzionale così presto e averlo personalizzato così tanto sta presentando il conto al premier: il dibattito politico ormai da settimane si è avvitato intorno agli stessi due temi: il referendum di ottobre (o forse novembre?) e la legge elettorale. Il rischio è di arrivare a settembre spompati, con gli italiani completamente esausti e nauseati dal tema. Il presidente del consiglio, invece, ha bisogno di un grande rilancio della sua azione di governo proprio a partire da settembre e non può permettersi di arrivarci sfiancato da un dibattito che promette di proseguire così anche nel mese delle ferie degli italiani. “Se siamo già a questo punto, di cosa parleremo a settembre?”, si chiedono molti deputati dem in Transatlantico.
La scorsa settimana, intanto, su questo fronte è arrivata una notizia positiva per il governo: mentre il comitato del Si è riuscito a raccogliere le 580 mila firme sul referendum (che non sono necessarie per la consultazione visto che ne ha già fatto richiesta un quinto dei deputati), il comitato del No non ce l’ha fatta (313 mila) e questo significa, oltre ad avere minore forza politica, anche nessun rimborso di 500 mila euro, né spazi televisivi adeguati e diritto di tribuna garantito sotto la par condicio. Un buon segnale per Renzi, che va a far bingo con i sondaggi che vedono il Sì alle riforme ancora in testa. Mentre l’ipotesi spacchettamento – una vera trappola per il premier – sembra già archiviata. Sull’Italicum, invece, il segretario del Pd non dà segni di cedimento sul premio alla lista né sul resto, nonostante le pressioni dei partiti, alleati compresi, per modificarlo. Come a suo tempo sul Senato non elettivo, su questo Renzi ha deciso di giocarsi tutto: potrebbe cedere qualcosa solo di fronte a una sconfitta referendaria. Oppure, al limite, se ad Angelino Alfano scoppiasse il partito in mano. Ieri Renato Schifani si è dimesso da capogruppo di Ap in Senato, segno di un malessere crescente all’interno dei centristi. Alfano, infatti, ha annunciato per settembre un nuovo movimento politico di centro ma alleato del Pd. L’accelerazione ha provocato le dimissioni di Schifani, che invece da tempo invoca un ritorno nel centrodestra: l’ex presidente del Senato presto farà le valigie insieme a 8-10 senatori per fondare un nuovo gruppo o tornare in Forza Italia. Se i numeri saranno confermati, a Palazzo Madama la maggioranza tornerà parecchio ballerina, con solo un pugno di voti di vantaggio sulla maggioranza assoluta (161) e sempre più dipendente da Denis Verdini.
Ma ci sono altre due questioni che renderanno torrida l’estate del nostro premier: i rapporti interni con la minoranza e quelli con l’Europa. Con la minoranza, dopo la direzione di dieci giorni fa, i rapporti sono tornati ai minimi termini. Il premier, infatti, non ha alcuna intenzione a rinunciare al doppio incarico, ergo resterà segretario. “Se ne volete un altro, fate un congresso e vincetelo”, ha detto Renzi in stile quasi fassiniano (il che non porta bene). Con alcuni di loro, poi, vedi D’Alema, è guerra aperta. Tanto che non ci sarà da stupirsi nel vedere alcuni esponenti del Pd, in agosto, fare campagna per il No: scelta consentita a titolo personale ma non in rappresentanza del partito, come sancito nell’ultima direzione. E per ora sembrano rimandati anche i nuovi ingressi in segreteria ad esponenti della minoranza. Molti di loro fanno capire più o meno apertamente di tifare per il No in modo da liberarsi del premier e riprendersi la ditta. E anche tra i renziani sono partiti i riposizionamenti, vedi Franceschini.
Insomma, nonostante l’opaco risultato alle amministrative e la sopraggiunta debolezza rispetto al 40,8% delle Europee, il premier continuerà a gestire il partito in modo autocratico. “In vista del referendum Renzi non concederà nulla, perché non vuole indebolirsi. Le file resteranno serrate, a testuggine, come una falange macedone. Poi, in caso di vittoria, forte del suo rinnovato potere, a quel punto potrebbe concedere qualcosa a Bersani, Speranza & C. Ma sicuramente fino a ottobre non tratterà su nulla, non concederà loro nessun margine di manovra, non li starà nemmeno a sentire. Anche perché è convinto che cedere la segreteria a un non renziano sarebbe l’inizio della sua fine”, racconta un esponente Pd che conosce molto bene il premier.
Poi c’è l’Europa. Che forse è il fronte in cui Renzi sta soffrendo meno. Il voto su Brexit, infatti, ha ufficialmente sdoganato la critica alle istituzioni europee. Così, se prima i dettami di Bruxelles, e soprattutto di Angela Merkel, venivano accettati, anche se di malavoglia, e criticati solo timidamente, ora non c’è più alcun timore reverenziale a porre dubbi sulle decisioni dell’Ue e alle politiche improntate all’austerità. E questo dà forza a quei governi, compreso il nostro, che quei parametri e quegli obblighi, compreso il bail in, vorrebbe rivederli o sospenderli. L’intesa con l’Ue sulle banche, che Renzi ha definito a un passo, dimostra proprio che il potere negoziale dei singoli Stati, Italia compresa, è aumentato. Semmai il problema di Renzi è che ancora non ha deciso come usarlo. E in questo senso il generale agosto potrebbe aiutarlo a schiarirsi le idee.
Il primo anno del suo governo, nell’estate 2014, Renzi venne criticato dalla stampa di opposizione perché trascorse le vacanze in un faraonico Hotel 5 stelle lusso a Forte dei marmi. Quest’anno il premier si farà rivedere al Forte, perché, come per molti fiorentini, è il suo luogo di mare. Ma potrebbe trascorrere anche qualche giorno all’estero, in una località ancora da decidere, dove staccare davvero la spina e sentire meno la pressione dei media e del Palazzo nei suoi confronti.
Nel film “La calda notte dell’ispettore Tibbs” (Usa, 1967) Sidney Poitier riesce a convincere i riottosi e razzisti poliziotti bianchi dello Stato del Mississipi a fidarsi di lui (un nero) per risolvere un intricato caso di omicidio. Ne “La calda estate dell’ex rottamatore” Matteo Renzi dovrà convincere gli italiani a fidarsi ancora di lui, a dargli di nuovo credito per arrivare alla data del referendum da vincitore. Impresa non facile, ma assolutamente non impossibile per l’uomo nato a Firenze e cresciuto a Rignano sull’Arno.
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