Relazioni
Il caos, dopo tutto, non è la fine del mondo: trasformare il dramma in occasione
La nostra vita attraversa inevitabilmente tempi di confusione e di caos. Tempi in cui perdiamo i nostri punti di riferimento. Tempi in cui finiscono le cose importanti. Sono momenti della vita in cui ci sentiamo attraversati dalla paura e dall’angoscia, ci sentiamo precipitare nel vuoto. Accade quando perdiamo una persona cara, accade quando finisce una relazione su cui abbiamo scommesso, accade quando ci sentiamo traditi o quando la malattia e la sofferenza bussano alla nostra porta.
Ci sono tempi in cui la confusione e il caos non sono solo nostri, ma li condividiamo con gli altri: come questo nostro tempo attraversato da minacce che non possiamo controllare. Avvertiamo un pericolo senza sapere esattamente dove sia. Abbiamo affidato ad altri la nostra vita e non possiamo farne a meno.
Il caos è ciò che non ha forma. È qualcosa di de-forme, di brutto, e inevitabilmente spaventa. Eppure tutto inizia con il caos. Il caos è una possibilità. Anche la creazione inizia con il caos: non c’erano punti di riferimento, né sole, né luna, né stelle. Forse è proprio a quel caos iniziale che sta facendo riferimento Gesù in questo suo ultimo discorso. E forse non a caso è il suo ultimo discorso. Alla fine si dicono sempre le cose più importanti e soprattutto si cerca di ricordare come tutto è iniziato: il caos diventò bellezza, kosmos. Dio non mise solo in ordine, ma diede forma (siakosmos in greco che forma in latino hanno a che fare con la bellezza, kosmos ha la stessa radice di cosmetica e forma rimanda a formosus, bello). Potrà Dio ridare forma al caos della mia vita ancora una volta? È questa la domanda nel tempo dell’apocalisse, cioè nei tempi apocalittici che attraversano inevitabilmente la nostra vita.
La fine è sempre un tempo drammatico: ti chiedi se hai detto tutto, se hai scritto quello che volevi, se forse potevi dirlo diversamente. Ma ormai la pagina è finita. Occorre concludere, affinché un nuovo capitolo possa iniziare. Se il chicco di grano non muore…non ci può essere novità, se non decidiamo di accogliere la fine. Spesso le relazioni, come le guerre, si trascinano: accettiamo di mietere vittime, pur di non chiedere l’armistizio.
Accogliere la fine è impossibile, crudele, se lo sguardo non sa vedere oltre. Se lo sguardo rimugina tra le pagine già scritte, senza contemplare il bianco del nuovo quaderno, senza gustare la bellezza di una parola che ora comincia ad essere scritta, come un germoglio, impossibile da contemplare nel suo silenzioso sbocciare.
E pur di non guardare lo spazio dell’ultima pagina che diventa sempre più breve, preferiamo addormentarci. Quante cose preferiamo non vedere! Appena nato, il bambino si rifugia nel sonno per affrontare la fatica di questo mondo in cui improvvisamente è venuto a trovarsi. E così continuiamo a fare. Abbiamo elaborato la strategia del sonno per difenderci dalla durezza della vita. Viviamo addormentati, chiusi nelle nostre fantasie. La vita ci passa addosso e noi continuiamo a dormire. Forse non è un caso che, con insistenza, Gesù ci inviti nel Vangelo a svegliarci e ad essere vigilanti. In fondo, chi dorme non vive pienamente la vita, Gesù invece ci invita a riprendere in mano la nostra vita.
E quando non ci addormentiamo, ci stordiamo. Ci ubriachiamo di contatti, ci sgoliamo le bottiglie del piacere, ci appesantiamo con i nostri lamenti senza fine. Abbiamo smesso di cercare il senso delle cose. Ci limitiamo ad usarle. La vita ci scivola addosso.
Il tempo della confusione e del caos ci scuote, genera paura e angoscia: la vita richiede la nostra attenzione. Il tempo in cui tutto crolla può essere anche il tempo della liberazione. Può essere il tempo del risveglio e della lucidità. L’apocalisse è il tempo della rivelazione, ma innanzitutto della rivelazione di quello che ci portiamo dentro, delle nostre paure e dei nostri desideri. Se dunque qualcosa sta finendo nella nostra vita, evitiamo di ubriacarci o di metterci a letto in una stanza buia, ma cominciamo a pensare come può iniziare il prossimo capitolo che vogliamo scrivere.
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In copertina, Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la pazza
Testo
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