Milano
Dove finisce Milano – La capitale italiana dei non italiani
“Dove finisce Milano” è un podcast originale di Jacopo Tondelli, prodotto dal Centro Martini nell’Università Bicocca, che ogni settimana vi arriva grazie alla voce di Federico Gilardi. Nella quarta puntata, che potete ascoltare e leggere qui sotto, si parla della presenza di residenti stranieri a Milano.
Nella scorsa puntata, intitolata “Una città di residenti soli”, abbiamo parlato di una tendenza sociodemografica sempre più marcata, a Milano, che in poco più di trent’anni ha portato i “residenti soli” quasi a raddoppiare, in termini di incidenza percentuale sul totale, e di come questa tendenza abbia accentuato il fenomeno della scarsità delle abitazioni sul mercato, con conseguente aumento della domanda e dei prezzi delle vendite e delle locazioni. Sempre per continuare a capire chi abita Milano, e com’è cambiata, in questa puntata proveremo ad osservare la città seguendo il flusso della popolazione straniera residente, più o meno nello stesso periodo di tempo.
L’altro giorno parlavo col giovane tabaccaio che ho dietro casa. È un ragazzo di famiglia cinese, nato in Cina e arrivato quando era molto piccolo. Sua sorella che lavora con lui, di qualche anno più giovane, è invece nata qui. I loro vicini di negozio sono ristoratori, sempre cinesi. Hanno un grande ristorante che da qualche settimana è chiuso a causa di imponenti lavori di ristrutturazione. Ho chiesto se i lavori erano frutto di un cambio di proprietà o gestione, e il tabaccaio mi ha risposto di no: “Rifanno tutto il ristorante, e dopo sarà aperto anche agli italiani”. Già, perché tra le principali caratteristiche di quel ristorante c’era che faceva entrare solo clientela cinese. Chi negli anni ha provato ad affacciarsi, è sempre stato respinto con delle scuse improbabili, sentendosi magari dire che la cucina era chiusa mentre i tavoli erano pieni di gente che in quel momento veniva servita di piatti fumanti. Fino a quando, ovviamente, non si è affacciato più nessuno.
La comunità cinese è passata in pochi decenni dall’essere nascosta nelle mura sicure di Chinatown ad essere presente un po’ ovunque, visibile principalmente grazie all’acquisto di vecchi bar e servizi di ristorazione. La sua crescita, particolarmente visibile a chi cammina per Milano e segnata da caratteristiche specifiche, sta tuttavia dentro un contesto più ampio.
Milano è infatti la città italiana col più alto tasso di stranieri. Sono poco più 300 mila, e rappresentano il 21% abbondante del totale dei residenti. In tutta Italia, gli stranieri regolarmente residenti sono poco più di 5 milioni, e rappresentano l’8,6% del totale. La sproporzione tra la presenza straniera a Milano e quella censita nel resto d’Italia è ancora più evidente se prendiamo a termine di paragone altre città italiane comparabili. A Roma, dove peraltro nell’ultimo anno si è registrato un calo di presenze straniere di diverse migliaia di unità, i residenti non italiani sono pochi meno di 350 mila, e rappresentano il 12% del totale. A Torino, che risente di un costante calo demografico generale da anni e anni, gli stranieri aumentano, e sono il 16%. A Napoli sono appena il 6%, a Palermo il 4%, a Genova – altra città che vede costantemente calare il numero della sua popolazione complessiva – circa il 10%, mentre a Bologna sfiorano il 15%. Potremmo ovviamente continuare a lungo, ma insomma, il dato è abbastanza chiaro: Milano è sicuramente la “capitale italiana dell’immigrazione straniera”.
Il processo che ha portato a questa eccezionale densità di residenti stranieri è un processo incredibilmente rapido, se comparato con altri paesi e città europee. Questa velocità di innesto di popolazione straniera, e per lo più extracomunitaria, è certamente vero per l’Italia in generale, e tanto più per Milano. All’inizio degli 90, gli stranieri a Milano erano circa 40 mila, mentre la popolazione generale era attorno al milione e 400 mila: come quella di oggi. L’incidenza statistica degli stranieri era dunque inferiore al 3%, e in 35 anni scarsi è arrivata a superare il 20%. A fine decennio – anzi: a fine millennio! – gli stranieri a Milano superano di poco le centomila unità, e costituiscono circa l’8 per cento del totale. Tra il 2000 e il 2010 la loro presenza cresce del 100% esatto: a ritmi regolari, con una crescita media del 10% l’anno, diventano esattamente 200 mila. Il doppio appunto, di quanti erano a inizio secolo. La crescita evidentemente continua, ma in maniera più dolce, negli ultimi 15 anni, trainata da un processo – generale, nazionale – di minor natalità all’interno delle coppie straniere, e da una progressiva saturazione del mercato del lavoro e delle abitazioni. Certo è che l’impatto della presenza straniera sul totale è imponente, a Milano, e non ha eguali in Italia e, grossomodo, nemmeno in Europa. È quindi naturale che una comunità che è cresciuta in maniera particolarmente vigorosa – quella cinese che in poco più di vent’anni ha visto quintuplicare i propri numeri, a Milano – si sia espansa ben al di là dei confini di una delle più antiche Chinatown del mondo, quella di Paolo Sarpi. È anche interessante notare che, mano a mano che la presenza straniera si ampliava e consolidava, a Milano, le forze politiche che della lotta all’immigrazione facevano e fanno la loro bandiera, in città non hanno mai sfondato, in termini di consenso. Anzi. Forse ha a che vedere con lo sviluppo economico e l’aumento di ricchezza che in questi decenni Milano ha visto concentrarsi, per varie ragioni, su di sè. Di questo parleremo nella prossima puntata.
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