Turismo

IL TURISMO ENOGASTRONOMICO ITALIANO: QUANDO MANGIARE E BERE BENE NON BASTA PIU’

5 Gennaio 2015

Iniziamo il 2015 con una riflessione sullo stato di fatto del potenziale turistico italiano. L’obiettivo è un’analisi a puntate dei vari elementi che compongono il patrimonio del paese. Che l’Italia sia un paese imbevuto in un ricchissimo patrimonio materiale e immateriale, è cosa nota. E’ un mantra che si sente ripetere da molto tempo nell’attesa di un futuro migliore, magari sulle ali del turismo. L’Italia è un territorio con la più alta concentrazione di siti patrimonio UNESCO, geomorfologicamente vario, con una lunga tradizione artistico-culturale e una ricca produzione di eccellenze enogastronomiche. D’altra parte l’esperienza ci insegna che la bellezza aiuta ma non è tutto.

Questo ciclo di contributi sviluppa un’analisi delle singole componenti per poi ricostruire una visione d’insieme. Oggi partiamo dal turismo enogastronomico rivolgendo un’attenzione specifica allo stato di fatto del contesto Italiano.

 Il turismo enogastronomico è un turismo mirato all’esplorazione delle realtà enogastronomiche di un determinato territorio. E’ una forma di turismo esperienziale e anche culturale. Le tradizioni culinarie e vinicole di un territorio esprimono, infatti, la sua storia, la sua cultura e i suoi valori. Sapori, aromi e colori ci conducono nel vivo di una cultura e del suo territorio e pertanto enogastronomia e turismo sono profondamente intrecciati. Inoltre ‘cosa’, ‘come’ e con ‘chi’ mangiare ci dicono molto della personalità, dello stato sociale e della scala di valori di una persona.

 Al di fuori dell’Italia il Turismo Enogastronomico è definito Culinary Tourism, Wine Tourism o Food Tourism. E’ senza dubbio un settore in crescita, capace di creare un notevole indotto, attirando attenzioni ed investimenti. Numerosi dati a livello nazionale e internazionale testimoniano che è in aumento il numero di turisti e viaggiatori che legano il proprio viaggio alla scoperta e all’acquisto di vini e prodotti locali.

Parlare di Food Tourism, Wine Tourism, Culinary Tourism o Turismo Enogastronomico rimanda ad un modello di consumo che privilegia prodotti locali, stagionali e tradizionali. Di fatto si tratta di una forma di consumo critico con un’attenzione mirata al territorio e alla sua biodiversità. A questo proposito non si può parlare di turismo enogastronomico senza citare il movimento Slow Food. Fondato negli anni ’80 da Carlo Petrini, questo movimento nasce con l’obiettivo di tutelare prodotti e tradizioni culinarie locali contro una cultura del gusto omologante, spersonalizzata e svincolata dal territorio. La filosofia Slow Food si ripercuote anche in ambito turistico perché vini e prodotti definiscono mete, destinazioni ed itinerari turistici. Per apprezzare e degustare prodotti e presidi Slow Food, occorre adottare una modalità di viaggio lento: uno Slow Tourism. Inoltre lo Slow Food è una realtà nata in Italia ma con uno sviluppo internazionale e numerose sedi e progetti in tutto il mondo.

Nel panorama internazionale, molteplici sono i territori che sono diventati mete di turismo enogastronomico. Stati come Argentina, California, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Australia, Sud Africa occupano un ruolo importante nel panorama del Wine Tourism e Culinary Tourism. Ma, in tutto questo, quale è il ruolo del Bel Paese e della sua ricca tradizione enogastronomica?

Stando ai risultati dell’indagine Wine Monitor Nomisma commissionata dal Consorzio Vini del Trentino in merito al mercato turistico interno ed il ruolo del vino nella scelta di una destinazione, il potenziale attrattivo del vino italiano non è pienamente ottimizzato, anzi, tutt’altro. Solo il 9% dei turisti stranieri dichiara di legare la scelta di un territorio italiano a motivazioni enogastronomiche. Tale valore scende al 4,7% se si parla di turisti italiani. Il risultato – all’interno del panorama globale – non è confortante per un paese come l’Italia che da anni fa vanto della sua secolare tradizione culinaria ed enologica.   

 Nonostante la fama dei distretti enologici italiani tra i quali spiccano – solo per citarne alcuni – le Langhe, il Chianti e la Valpolicella, nonostante prodotti famosi in tutto il mondo come l’aceto balsamico di Modena, il Parmigiano Reggiano e l’Olio d’oliva, il settore del turismo enogastronomico manca ancora di una visione sistematica e strategica che ne permetta il decollo a pieno titolo.  E’ una storia in qualche misura già vista: l’Italia non riesce a mettere a frutto il suo potenziale turistico arenandosi in un’offerta frammentata e un brand turistico fragile. L’alta qualità dei prodotti enogastronomici, la bellezza ed unicità dei territori in cui sono realizzati spesso non sono supportati da una visione sinergica che metta in rete prodotti, servizi, infrastrutture e marketing.

 Ad essere fragile è, inoltre, il sistema di gestione della destinazione turistica: digitalizzazione, visione d’insieme, messa in rete con strutture ricettive, trasporti e associazioni di categoria. In definitiva per creare un’economica turistica legata all’enogastronomia, i prodotti enologici o gastronomici sono una condizione necessaria ma spesso non sufficiente. I turisti e viaggiatori interessati a questo settore si trovano, infatti, di fronte ad un’ampia gamma di alternative a livello internazionale per cui se l’esperienza non è gratificante non ci sono le basi per tornare o promuovere quell’esperienza.

Esempio rappresentativo sono le Strade del Vino istituite dalla Legge n. 268 del 27 Luglio 1999. L’art 2 dice che “Le ‘strade del vino’ sono percorsi segnalati e pubblicizzati con appositi cartelli, lungo i quali insistono valori naturali, culturali e ambientali, vigneti e cantine di aziende agricole singole o associate aperte al pubblico; esse costituiscono strumento attraverso il quale i territori vinicoli e le relative produzioni possono essere divulgati, commercializzati e fruiti in forma di offerta turistica”. Si tratta, quindi, di un modello di offerta turistica territoriale integrata che mette in rete cantine, produttori, agriturismi, ristoranti e che – ai fini della sua commercializzazione – può accedere a fondi e finanziamenti pubblici (Art. 4 L. 268/1999). Salvo alcuni casi virtuosi, lascio ai lettori una valutazione sull’efficacia ed efficienza di questo modello. A me rimane solo il ricordo di questi isolati e solitari cartelli quando mi trovo a guidare lungo una strada provinciale Italiana.

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