Teatro
Il successo fatale delle Strategie
Avevo previsto un altro articolo per oggi, lo pubblicherò domani. Perché ieri sera sono andato al Teatro India di Roma a vedere Strategie fatali, della premiatissima ditta Musella Mazzarelli. E sono rimasto ammirato. Dunque provo, così al volo, scrivendo in fretta, a restituire ai lettori e agli (auspicabili) spettatori qualche impressione.
Il lavoro è complesso, giustamente ambizioso, ottimamente strutturato dal punto di vista della drammaturgia (il testo è edito da Cue Press). Conta su un cast compattissimo e di livello, dove spicca per la vertiginosa interpretazione Marco Foschi, ma tutti sono di gran lunga encomiabili: il sempre impeccabile Lino Musella, l’ottimo Paolo Mazzarelli e con loro l’intensissima Astrid Casali, il vibrante Annibale Pavone, l’ironica Laura Graziosi e la fantastica – nei lunghi silenzi e negli slanci trattenuti – Giulia Salvarani en travesti.
Però è l’impresa nel suo complesso da elogiare. Prodotto da Marche Teatro, lo spettacolo potrebbe essere un punto di riferimento per un teatro italiano che vuole scollarsi di dosso le paturnie delle consorterie e delle categorie, i vezzi consunti della ricerca, le noiose dinamiche della ‘drammaturgia italiana’ come specie protetta. Vive di intelligenza, di ironia, di una metateatralità che è un omaggio alla fantasia e alla bellezza del teatro degna della Grande Magia di Eduardo De Filippo o di un Pirandello liberato dai pirandellismi di maniera.
La situazione è curiosa, e si sviluppa su piani paralleli come potrebbe essere un testo di Rafael Spregelburd. Vediamo due improbabili questurini indagare sulla presunta scomparsa di un ragazzo, dall’emblematico nome di Giacomino, che si era ‘rifugiato’ in un teatro forse per sfuggire alla realtà, un hikikomori degno del De Monticelli di L’educazione teatrale. Tra computer – dove guarda sempre e solo un video porno di una imprecisata teen little flower – e ossessione teatrale, Giacomino è il motore primo di tutto. Come in un flashback, o come una versione postmodern dei Sei personaggi, il palco è poi invaso dagli attori in prova: si tratta nientemeno che di Otello, ci sono da sostituire il protagonista e Desdemona. E da qui parte un mirabolante gioco teatrale, tra un regista impacciato e visionario, un Otello attore di fama e una Desdemona effettivamente dalla doppia vita. Con un Cassio frustrato e una Emilia prorompente, e soprattutto uno Jago che gioca, sornione, con la verità e la finzione.
Strategie fatali, dunque, si insinua in piani narrativi diversi, resi vivi dagli attori in prova, con passaggi di ‘livelli’ e di situazioni che poi daranno spazio a invenzioni ulteriori. Non sto qui a dilungarmi nella trama, peraltro ricca di colpi di scena e di divertenti o tragiche idee. E c’è spazio per le ambiguità e le vette shakesperiane (anche in originale) in particolare dell’Atto III scena terza di Otello, come per una cinica analisi del rapporto chiesa-attori o per la riflessione filosofica sul senso stesso del teatro.
Qui Musella Mazzarelli, come autori, chiamano in causa, fin dal titolo – forse in modo non del tutto lineare – alcune suggestioni care a Jean Baudrillard (come mette bene in evidenza Sergio Lo Gatto), individuando nel teatro, sulla scia del filosofo francese, l’unico luogo di resistenza viva e attiva contro il dilagare del simulacro. A fronte della definitiva vittoria della “società dello spettacolo” preconizzata da Guy Debord, il vecchio teatro resta come spazio dell’umano, dell’incontro, della fantasia, della magia. Ma queste sono questioni di lana caprina, di fronte a un lavoro intenso, ricco, vivo, coraggioso.
Musella Mazzarelli, con i loro sodali, hanno scelto la strada non facile di una drammaturgia complessa e profonda: senza inseguire gli stilemi facili delle fiction tv che pur vediamo spopolare in numerose alzate di sipario, senza la garanzia del titolone classicone acchiappapubblico, con pochi e funzionali elementi di regia, hanno fatto di Strategie fatali un piccolo grande miracolo laico e tutto teatrale.
C’è qualche pecca, qualcosa è migliorabile (tipo il doppio finale, da serrare), ma se uno spettacolo simile ci arrivasse dalla Francia o dalla Germania grideremmo al capolavoro: siamo in Italia, questo è il nostro teatro, e questo è uno – finalmente – dei nostri capolavori.
In scena al Teatro India di Roma fino al 5 febbraio.
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