Teatro
Il dinosauro e la principessa
Ecco, insomma, voglio dire dell’altro spettacolo importante di cui accennavo. Il primo era La distruzione della torre Eiffel (e ne scrivevo qui), il secondo è tutt’altra roba, e si intitola Fa’afafine, mi chiamo Alex e sono un dinosauro.
È quello che si direbbe uno “spettacolo per ragazzi”, rivolgendosi infatti a un pubblico di bambini, ragazzi e adolescenti. Cosa ha di importante? Il tema affrontato.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, ha vinto il prestigioso premio Scenario Infanzia e altri riconoscimenti proprio perché parla di una questione spinosa: la scoperta dell’identità sessuale.
Entra, così a gamba tesa nella polverosa e bigotta discussione italiana sul “gender”, ma lo fa con un carico di ironia, leggerezza, delicatezza, intelligenza da risultare ben al di sopra – per efficacia e profondità – di qualsiasi presa di posizione dei nostri beneamati politici.
Il titolo, Fa’afafine, ci dicono le note, rimanda a una parola della lingua di Samoa, che sta a indicare il “terzo sesso” di quanti, sin da bambini, scelgono di non essere l’uno o l’altro. Dunque Alex, il piccolo protagonista della vicenda, vuole essere un Fa’afafine: è un bambino che “gioca” ad essere bambina nei giorni pari e bambino in quelli dispari. È un “gender creative child” come dicono gli anglofoni.
La narrazione si apre in medias res: una mattina Alex non vuole andare a scuola. Sogna di andare all’aeroporto ad accogliere il suo amichetto adorato, sogna di fuggire con lui a Samoa, sogna di dirgli tutto. Sogna, Alex, ma sta chiuso tra le quattro mura della sua cameretta incantata: fuori ci sono i compagni di scuola che lo prendono in giro, magari perché porta una Barbie nello zaino, o perché si veste strano. Fuori ci sono i genitori che devono andare a lavorare, che hanno fretta, che ci mettono tanto a capire ma che, alla fine, saranno all’altezza del momento.
Il bel testo e la funzionale regia sono opera di Giuliano Scarpinato (che appare in video anche come papà, assieme alla mamma interpretata dalla brava Gioia Salvatori). E in scena è il solo il vivacissimo, inarrestabile Michele Degirolamo a dar vita al ruolo di Alex.
Il suo è un flusso di coscienza, un sognare ininterrotto – cui danno visiva realizzazione anche le immagini progettate da Daniele Salaris – che mescola ricordi, fantasia, immaginazione, paure, desideri, di questo “esserino” che sa essere metà principessa e metà supereroe.
Al di là della trama, quel che preme sottolineare è dunque la precisa volontà di affrontare il tema non da un punto di vista concettuale e teorico, quanto nella sua semplicissima, immediata realtà. Così facendo, però, lo spettacolo svela i meccanismi mentali cui siamo abituati, le ritrosie, le reticenze: e sono proprio i genitori, appaiati dietro un enorme buco della serratura nel tentativo di stanare il figlio, che si investono di tutte le contraddizioni che una simili agnizione può comportare. Lui, Alex, è semplicemente se stesso e come tale vorrebbe vivere e crescere. Una cosa rivoluzionaria nell’Italia di oggi, no?
Fa’afafine non è perfetto ma certo di ottima fattura (anche se certi atteggiamenti stereotipati nell’interpretare Alex sono un po’ pleonastici: le braccine all’indietro, le ginocchiette piegate, etc). Senza dubbio brilla come un piccolo gioiello poetico, e colpisce, addirittura commuove anche noi vecchietti. I bimbi, nella affollata platea del Teatro Sala Umberto di Roma, si divertono e seguono attenti: nella discussione finale, poi, c’è tempo e modo di sfatare anche alcune paure.
Sono poche, infatti, le domande su tema sessuale o di genere che i piccoli spettatori fanno ai protagonisti. Una speranza per il futuro? Forse, finalmente, si supereranno tanti problemi, tanti tabù? Certo, potremmo dire che anche grazie a lavori come Fa’afafine tanti problemi svanirebbero, si scioglierebbero come neve al sole, anziché restare congelati nella morsa della religione, del perbenismo, dell’oscurantismo politico.
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