Teatro
Demoni in coppia sadomaso
Metti due coppie in un appartamento: lo scontro di sessi e la lotta di classe saranno inevitabili. Sembra una regola, forse è una legge, vista la frequenza con cui questa semplice combinazione esplode sulle scene. Eppure, come per ogni coppia, la storia è diversa. Un conto è se la narra, che so, Yasmina Reza; un conto se ci mette le mani lo svedese Lars Norén, dall’alto della sua bergmaniana (o strindberghiana) visione del mondo. Di Norén abbiamo imparato ad amare la cifra livida, netta, e al tempo stesso lirica: la sua capacità di guardare, con una lingua aulica e ficcante, ai reconditi meandri dell’animo umano, alle dinamiche omicide uomo-donna che dalla Scandinavia scivolano gelide sino ai nostri palcoscenici.
Così, seguendo e amplificando simili suggestioni, è di grande bellezza ed travolgente coinvolgimento l’operazione messa in campo dal Teatro Stabile di Genova, che ha proposto Demoni, con la regia del franco-argentino Marcial Di Fonzo Bo.
La vicenda è quella accennata: una coppia borghese, raffinata e stanca, invita a bere qualcosa la coppia del piano di sotto, giovane e “genuina”, fresca di un figlio. Tutto qua.
Il resto è scontro verbale, seduzione, maledizione, conflitto, erotismo, violenza, sopraffazione, sadomasochismo.
Quattro, allora, gli elementi che vorrei portare alla luce di questo allestimento.
Il primo è l’impatto emotivo, epidermico, che lo spettacolo ha. Intanto per le sonorità: a interpretare la coppia chic sono due attori “stranieri”. Lo stesso Di Fonzo Bo, con quella sua cadenza spagnoleggiante che gli viene dall’Argentina, e Frédérique Loliée, francese. Questo straniamento semantico si riverbera in interpretazioni altrettanto uniche. Lui è “naturalmente” e sapientemente metateatrale: gioca su toni sempre un po’ “stupiti”, è costantemente altrove, cita, evoca, mostra più che dire, con movenze altrettanto astratte, addirittura surreali. Smonta il ritmo, scarta di fianco, lavorando a creare lentamente una complicità con lo spettatore. All’inizio spiazza, sorprende, magari indispone: si pone in modo volutamente poco credibile. Il suo personaggio, Franco, arriva in casa con una busta che contiene le ceneri della madre testé defunta, pronta da inumare. Ma pian piano, nella sua surrealtà, conquista la scena: manipola gli altri.
Poi c’è lei, Katarina, che è la straordinaria Loliée. È da tanto in Italia: l’abbiamo già apprezzata, per citare solo alcuni suoi ruoli, prima come Elettra, poi come Lady Macbeth con la regia di Andrea de Rosa. È una attrice fantastica a dir poco.
Riesce sempre a fare il contrario di quel che ti aspetti: in questo Demoni inizia con una danza strampalata, scomposta, verissima. E basterebbe osservarla come mette i piedi, come si muove suadente, come guarda altrove per carpire la millimetrica ricerca attorale che fa. Bisognerebbe studiarla: studiare quei toni gravi, quelle matte risate, quelle svagate divagazioni che nascondono la tragedia, quel modo che ha quasi di piangere (con un naso che cola che ricorda Danio Manfredini), quel suo arrotare la “r” francese: rende il suo personaggio come un continuo e complicato divenire umano…
È smagliante, accattivante, geniale nella sua imprevedibilità. Un vero piacere del teatro.
Il secondo motivo è il meccanismo drammaturgico. Norén gioca al massacro. Non risparmia nulla. Spiattella in campo il grande tabu: il sesso. Le due coppie si confrontano sul desiderio reciproco, sull’insoddisfazione, sulla brama di conquista e di annientamento dell’altro. Le dinamiche sono aperte: chi vuole andare con chi? Tutto è fluido, tutto è possibile. Ogni colpo (basso) è ammesso, ogni diversivo è plausibile, pur di sentirsi vivi. È questa la deriva? La seduzione dell’altro, poi, si sciorina come elemento che rinsalda la coppia “chic”, ma che fa esplodere la coppia alternativa.
Infine il terzo elemento: lo scontro di classe. Qui la questione è più delicata, perché Demoni parla di una borghesia (intellettuale) europea che in Italia latita. Forse, addirittura, è scomparsa: nel regno della ex grande bellezza, siamo più pecorecci. Gli scambi di coppia si consumano nei privé della provincia veneta, oppure nella penombra del senso di colpa cattolico. Le coppie di Norén, invece, hanno una consapevolezza altra, una metacognizione del proprio stare al mondo che qua da noi (forse: almeno io) ci possiamo solo sognare. In Demoni le dinamiche sono possibili e credibili proprio perché sono chiari gli status: lo scontro di forze economico è manifesto. Quando arriva “l’altra” coppia – afflitta dalla routine quotidiana, con quei vestiti da grande magazzino – l’eccentrico vitalismo dei protagonisti ha il sopravvento.
E qui si apre l’unica nota dolente del bell’allestimento: un certo dislivello tra i due attori transalpini e i giovani italiani. Il giovane, in particolare, Michele di Paola, comunica un certo disagio – il corpo sempre a “s” (con il petto in dentro, il bacino in fuori) troppo impostato, la mascella sempre tirata in fuori, i riccetti sull’occhio – che rischia di inficiare le volute altissime raggiunte dagli altri due. A me non ha convinto. Mentre è più incisiva lei: Melania Genna, un po’ manierata all’inizio, via via si scioglie, si apre, regalando anche momenti di grande intensità – ad esempio quando si libra in una canzone. Lo scontro di coppie, insomma, nella bella scena ruotante creata da Yves Bernard (sue anche le luci), è chiaramente a favore dei più ricchi. Eppure resta un segno amaro, cupo, disperante da questa storia. I quattro esseri umani si inseguono, si blandiscono, si seducono, si insultano, si amano: ogni giorno la vita, ogni sera la speranza di arrivare al giorno dopo.
E infine il quarto motivo di interesse, ossia la struttura, il teatro Stabile di Genova. Come molti ricorderanno, il teatro genovese è uno degli “stabili” – dopo Milano e Torino – che hanno fatto la storia del teatro pubblico italiano. Basti pensare all’eccellenza raggiunta dalla scuola dello Stabile, che ha sfornato talenti a più non posso. Bene, in base alla riforma di settore, il Teatro di Genova non è diventato “Teatro Nazionale”, come il Piccolo o il Teatro di Roma per intenderci, ma è stato riconosciuto “Tric” ovvero Teatro di interesse Culturale. Una bocciatura, probabilmente legittima (è in atto un ricorso), che però ha di fatto ridimensionato lo stabile genovese. Il nuovo direttore, Angelo Pastore, non si è lasciato scoraggiare e anzi ha rilanciato. Nuove produzioni – come questo Demoni nato in collaborazione con la francese Comédie de Caen – nuovi orari, nuove aperture. Insomma, un altro slancio. Quel che è certo è che prodotti come lo spettacolo di Marcial di Fonzo Bo possono dare un contributo notevole a riportare lo Stabile di Genova all’eccellenza che gli compete.
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