Teatro

A Matera cercando il senso del teatro

25 Luglio 2017

La questione, ancora, è arrivarci a Matera. In macchina da Roma, si tratta di scendere lungo la Bradanica, attraversando l’insediamento di Melfi o lunghe distese di campi. L’azzurro aspro del cielo è un passaggio spaziotemporale, fa tornare a un passato eterno, antico, eppure presentissimo. Il ritmo, a queste latitudini, cambia. Si incardina ancora su simili prospettive la questione meridiana, cara a Franco Cassano: non è detto che il Sud debba sempre inseguire il solerte Nord. Ci si perde in certi ragionamenti, abbagliati da sole che di colpo portano a pensare il Mediterraneo in prospettiva diversa, quasi un ponte – e non un lago carico di morte – tra civiltà, culture, tempi, sogni tanto vicini da una costa all’altra. Matera è un luogo dell’affetto e del dolore, della passione e del silenzio, della musica che riecheggia ovunque dalle finestre del conservatorio e delle campane delle chiese che battono ogni istante.

Poi, finalmente, basta affacciarsi sulla Piazza Vittorio Veneto, in una delle tante terrazze, per vedere i Sassi: sono là, ancora e sempre. E il cuore si riempie di commozione.

Molte cose succedono a Matera. La città cambia in fretta, è diventata Capitale europea della cultura per il 2019. Guidata da Paolo Verri, rinforzata dalla presenza di una manager culturale del calibro di Ariane Bieou, la fondazione Matera2019 procede a rapidi passi in una riflessione ampia che intreccia cultura, lavoro, identità, accessibilità.

Uno scorcio dei Sassi di Matera

Intanto, però, nell’afa che attanaglia i Sassi, prende vita un piccolo e coraggioso festival, che si è dato – dalla prima edizione dello scorso anno – un titolo programmatico: Nessuno resti fuori.

Forse bisogna guardare di più a queste manifestazioni, che nascono dal basso, frutto di esigenze sentite e condivise, organizzate con passione e dedizione da un manipolo di giovani coraggiosi e talentuosi. Vanno bene i festivaloni milionari, le vetrine più o meno scintillanti in cui mostrare spettacoli internazionali, vanno benissimo le manifestazioni provocatorie e di tendenza, ma ci sono festival – a volte piccoli o piccolissimi – che sono intenso frutto di ragionamento o, per dirla con una frase di crescente uso, di cittadinanza attiva.

Nessuno resti fuori, ideato da Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, con uno staff giovanissimo, è uno di questi: certo non l’unico, ma sicuramente emblematico di un modo di intendere il teatro come attività di rigenerazione urbana e sociale.

L’edizione 2017 è iniziata da qualche giorno, ho perso i primi spettacoli, ma al mio arrivo ho l’occasione di assistere a una serata speciale. Siamo nel quartiere Serra Venerdì, un insediamento che risale a metà degli anni Cinquanta – quando i Sassi, considerati come è noto “vergogna nazionale” vennero forzatamente sgomberati. Serra Venerdì si deve all’architetto Luigi Piccinato – un archistar del tempo – che seguì la sua vocazione all’armonia tra insediamento umano e ambiente circostante, considerando la città, qualsiasi città, un “organismo vivente”.

Il cortile della Scuola dopo lo spettacolo

Di fatto, a Matera, ogni iniziativa assume un carattere più ampio: fare spettacolo nei Sassi, o in questo quartiere, non è indifferente. Gli organizzatori di Nessuno resti fuori hanno fatto della scuola elementare “Francesco Nitti” il loro centro operativo: qui si svolgono non solo i laboratori – di cui diremo più avanti – e gli incontri con il pubblico, ma anche appunto alcuni spettacoli. Nel cortile della scuola, appena fa sera e rinfresca un po’, va in scena L’O, spettacolo proposto dalle danzatrici e coreografe Rossella Iacovone e Lucia Pennacchia. Il lavoro, ancora in divenire, parte da suggestioni astratte e concretissime: un cellophane messo a terra, scosso dal vento, diventa mare; poi ci sono piccole pietre e cumuli di sale, a far da scena a una coreografia inizialmente rarefatta, eterea. Un pubblico composto dagli abitanti del quartiere, giovani e anziani, un bambino che piange, il rombo di una moto, mentre, poco più in là, in un piazzale, un gruppo di ragazzi gioca rumorosamente a calcio. Loro, le danzatrici, concentrate e serissime, continuano nello spettacolo: portano la loro arte, frammenti di poesia, in un territorio difficile. Lo fanno con grazia e affetto. Ecco i veri “guerrieri della bellezza” tanto cari a Jan Fabre. La battaglia si gioca qua, in queste aree periferiche, in questo angolo di mondo che ha una storia difficile, dove riuscire a distogliere qualcuno dall’ipnosi televisiva è una questione di vita o di morte, di futuro e di società possibile. È qui che la bellezza segna la differenza, o l’alternativa. Lo scarto politico è anche nel fare teatro di fronte alle signore che negli anni Cinquanta vivevano nelle grotte dei Sassi, non al pubblico borghese delle sale vellutate nei grandi teatri europei. Applausi, condivisione, incomprensione, ma alla fine restano tutti a chiacchierare un po’ di più del normale.

Ed è bello, poi, avviarsi a una “visita guidata” del quartiere. Serra Venerdì è un piccolo mondo: le palazzine di cinque piani, in quei lontani anni Cinquanta, erano i grattacieli di New York. Erano la novità, il benessere. La comodità. C’è una guida esperta che racconta, ma presto alle sue parole si aggiungono quelle degli abitanti. «Nei sassi vivevamo tutti assieme, c’era anche il cavallo. Io avevo dieci anni, dovevo fare quattro chili di pasta al giorno. Il pane lo impastavamo alle 2 di notte, e alle 7 di mattina venivano a prenderlo per cuocerlo quelli del forno. Ogni famiglia aveva il suo marchio per riconoscerlo. Durava una settimana» racconta Bruna Iacovone, classe 1936. «Adesso abbiamo tante comodità» aggiunge sorridendo e stringendo la mano alla nipote che studia all’Università di Torino. Ora i Sassi sono diventati una metà turistica, piena di ristorantini e locali. Ma quella memoria, quei ricordi non si cancellano. A Nessuno resti fuori vogliono lavorare anche su questo: recuperare una memoria rimossa, indagare la frattura tra quella Matera del passato e quella di oggi, ripensando l’identità di una città che è, molto più di altre, simbolo della storia recente d’Italia.

Il teatro, allora, quest’arte antica e popolare, torna nelle strade, nelle piazze per ritrovare, e ricostruire, comunità. Sfida non facile da affrontare, ma in gioco c’è, nientemeno, che il futuro.

Per saperne di più: www.nessunorestifuori.it

 

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