Storia
25 anni fa la riunificazione tedesca, l’Europa di oggi nasceva a Berlino
Probabilmente, fuori dalla Germania, nessuno ricorderà oggi il quarto di secolo che ci divide dalla ratifica dell’riunificazione della Germania, il 3 ottobre 1990. A differenza della scena del 9 novembre 1989, ovvero del crollo del Muro di Berlino, che è vissuta come una data internazionale, comunque una data in cui la dimensione internazionale “si mangia” quella nazionale, la scena del 3 ottobre è stata presto accantonata come una vicenda tutta interna. A voler fare della facile retorica si potrebbe dire che le commemorazioni sono più attraenti ed entusiasmanti quando mettono in scena l’attimo dell’esaltazione, l’atto prometeico della liberazione, piuttosto che quello dell’ultimo tassello del percorso.
Eppure la scena del 3 ottobre 1990, per noi europei di oggi, è molto più significativa che non quella del 9 novembre 1989. Mentre il 9 novembre evoca la scena della liberazione, il 3 ottobre evoca quella della libertà.
La prima è l’irruzione sulla scena della Storia della forza, dell’emozione, del gesto non controllato, della moltitudine che mette in scena la storia. La seconda è una dimensione più prosaica, meno esaltante, certamente più dimessa. A differenza della prima è costruita sul futuro, e non sulla nostalgia dell’istante prometeico cui costantemente ricorre per ritrovare un senso della propria identità e, soprattutto, non avere la convinzione che il mondo voglia di nuovo “rinchiuderli”.
Il mito sta nella prima scena. La politica si concentra nella seconda. Eppure non solo per i tedeschi di allora e di oggi, ma anche per noi europei di allora e di oggi è la seconda data che dovrebbe farci pensare di più. Infatti, è la seconda scena quella più fondante ed espressiva per l’Europa che vogliamo, che non la prima. La prima, al massimo, dice che cosa non vogliamo più. O, più correttamente e precisamente, dice cosa gli europei di allora pensavano che non avremmo voluto più, perché stando alle opinioni, senza peraltro tralasciare le parole, i sentimenti e l’immaginario, che corrono per le strade dell’Europa di oggi, non sono poi così sicuro che una parte consistente di noi europei non lo voglia per davvero più quello cui allora ha detto “addio”o in una certa misura non provi nostalgie.
Ma ripercorriamo la scena di quei mesi.
La Repubblica Democratica Tedesca, ovvero la Germania dell’Est, arrivò penultima alla scadenza di quell’89. Prima ci furono l’Ungheria che con lentezza avviò il processo nel 1986, poi la Cecoslovacchia, nel gennaio 1989, poi la Polonia più o meno nelle stesse settimane, poi la Bulgaria, la Romania iniziò a muoversi in ottobre. La Germania ci mise un po’, ma quando arrivò il problema non poteva risolversi solo nella riunificazione. Quello era un processo che potevano permettersi e vivevano come auspicabile quelle realtà nazionali alle quali la storia dava per la seconda volta l’opportunità di avere un’identità nazionale. Tutto il blocco est-europeo uscito dalla protezione sovietica riscoprì il fascino dei nazionalismi, l’orgoglio dell‘identità del proprio paese. Da quella condizione non si è allontanato molto da allora. In breve nessuno di quei nuovi soggetti in questi venticinque anni è stato in grado di superare completamente la dimensione dell’istante della liberazione per andare verso la libertà.
Se il crollo del Muro fu la scena simbolica più esaltante, il processo di unificazione della Germania era il passaggio simbolico e politico più problematico ma anche denso di futuro. Perché segnava non la fine della guerra fredda, come tutte le altre realtà nazionali, ma la fine del secondo dopoguerra. Il discorso per una costruzione dell’Europa cominciava allora per davvero.
Non fu un passaggio indolore per la Germania come ben sapevano i protagonisti di quel processo, tanto a Est come Ovest, tanto Helmut Kohl che Lothar de Maiziere, ultimo premier tedesco-orientale. La riunificazione rapida e accelerata significò: disagio a Est, nascita e diffusione di una destra radicale, crisi del modello industriale e riconversione, processi d’integrazione interna prima di tutto nel settore dell’economia, della società ma anche nell’apparato scolastico, nelle discipline studiate, nel senso e nella funzione che doveva assumere la scuola, ovvero il luogo di passaggio e di formazione dei futuri tedeschi. Tutti settori in cui la sfida era ricomporre ma in cui potevano seriamente aumentare i disagi, facendo registrare le differenze interne tra le aree corrispondenti alle due ex Germanie.
Quella lunga transizione durò un decennio e aprì all’UE. Il processo di riunificazione politica, economica, sociale e culturale dei due segmenti di Germania, mettendo la Germania in condizione di essere un paese unificato e non solo liberato, in realtà non era e non fu un processo di ricostruzione nazionale. O almeno non fu solo e nel suo significato politico non fu nemmeno prevalentemente questo.
Il 3 ottobre 1990 fu l’inizio incerto di un processo verso l’Europa in cui al centro già allora stava la Germania perché già allora si muoveva in una dimensione la cui misura era il continente e non la nazione. È anche per questo che con difficoltà tutti gli altri europei, noi compresi, si misurano con difficoltà con quella data. Perché appunto ci riguarda molto da vicino non come storia della liberazione, non come “festa”, bensì come processo concreto.
La sfida per l’Europa cominciava allora. La festa era avvenuta, ora si trattava di fare sul serio. A Berlino chi doveva governare quel processo lo aveva molto chiaro in testa. Non così molti altri spettatori fuori da quella piazza.
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In copertina, la nuova cupola del Reichstag di Berlino, sede del Parlamento tedesco
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