Storia
L’ossessione italiana per la “bella figura”
In una lunga nota di “Le Monde”, non lusinghiera sulla nostra Expo milanese dal titolo che già dice tutto e che non occorre tradurre “Exposition universelle de Milan, un chantier à l’italienne”, il corrispondente dall’Italia Philippe Ridet scrive che «Matteo Renzi ( …) vuole credere che una volta ancora gli italiani si mostreranno all’altezza della loro reputazione e che un ultimo colpo di reni eviterà al suo paese di fare “brutta figura”». Ridet scrive la locuzione direttamente in italiano.
Ma non solo “bella o brutta figura” è un modo di dire quasi intraducibile, intimamente legato alla nostra cultura. Si potrebbe tentare un catalogo degli elementi caratterizzanti la cultura italiana a seconda dei prestiti linguistici italiani alle lingue straniere: si vedrà che ad esempio abbiamo esportato più che altro termini musicali o legati al teatro ( allegro, vivace, andante, ma anche bravo!, fiasco, lamento etc); termini criminali o relativi alla furbizia o all’arte circense (mafia, imbroglio, salto mortale, questi ultimi due nel Duden tedesco qui e qui ), termini culinari e gastronomici (spaghetti, pizza, prosecco), ecc, ecc. Cosa vuol dire ciò? Che tali termini sono sentiti specificamente come un prodotto della “civilizzazione culturale” italiana, ossia gli sono così propri che non possono essere tradotti in equivalenti termini linguistici stranieri. Queste parole-chiavi possono servire a ricostruire, come degli ossi di Cuvier, l’intero quadro culturale della civilizzazione italiana, il nostro contributo all’Anima o alla Storia Universale (Weltseele, Weltgeschichte ) per dirla con Hegel. (Ovviamente i prestiti tedeschi come Blitz o Bunker rimandano a scenari di una particolare Weltanschauung legati all’arte della guerra tipicamente tedesca).
In effetti, l’ossessione italiana per la bella (o per la brutta) figura chiede la citazione diretta nella lingua di Dante come una locuzione che se tradotta in altri idiomi perderebbe forza semantica. Sulla “Bella figura” Severgnini ha scritto un libro per il pubblico anglosassone. Ma io vorrei qui ricordare il classico Gli italiani (1965) di Luigi Barzini, ancora al primo posto secondo The Guardian tra i libri sugli italiani letti in Inghilterra da 50 anni a questa parte.
Tutto ciò che rimanda alla faccia o alla facciata, all’esteriorità, all’apparire (o a non scomparire), all’esposizione (Expo?), è di primaria importanza nella cultura italiana. Per Barzini addirittura è il tratto fondamentale del nostro carattere nazionale.
« In altre parti del mondo la sostanza ha sempre la precedenza e il suo aspetto esteriore viene considerato utile ma secondario. Qui da noi invece la rappresentazione è importante quanto la realtà, anzi molte volte più importante… Questa fiducia riposta nei simboli e nelle rappresentazioni va compresa con chiarezza se si vuol capire l’Italia, la storia, le costumanze, la civiltà, le abitudini dell’Italia e prevedere l’avvenire. Non deve essere trascurata da nessuno che non voglia ingannarsi. È il tratto fondamentale del nostro carattere nazionale. Aiuta l’individuo a risolvere quasi tutte le sue difficoltà private. Domina la vita pubblica. Foggia la politica e i disegni politici. È, incidentalmente, una delle ragioni per le quali gli italiani hanno primeggiato in tutte le attività nelle quali la forma è predominante: l’architettura, la decorazione, la disposizione artistica dei giardini, le arti figurative, la pompa, i fuochi artificiali, le cerimonie, il teatro lirico, ed ora il disegno industriale, le carrozzerie delle automobili, i gioielli, la moda e il cinema. La corazza rinascimentale italiana fu giustamente considerata la più bella d’Europa: era elegantemente disegnata e decorata, ben fatta, ingegnosamente costruita, comoda ma troppo leggera e sottile per poter essere impiegata in combattimento. In guerra anche gli italiani preferivano la corazza tedesca, ch’era più brutta ma sicura». (Luigi Barzini, Gli italiani, Mondadori 1965, pp.130-131).
Questo gusto dell’esposizione (Expo?), della facciata, della rappresentazione, della forma, dell’esteriorità così mirabilmente enucleato da Barzini – e che è uno dei tratti per i quali vale la pena di vivere nel nostro Paese – è talora «una forma di messinscena eroica, l’unico patetico mezzo per ribellarsi ad un destino, per affrontare le ingiustizie della vita con una delle poche armi a disposizione di gente coraggiosa e disperata, l’immaginazione». (p.122). Ma talaltra può riservare qualche ambivalenza di troppo, finanche qualche tranello, quando non un principio di frode o di dissimulazione per nulla onesta. Si prenda il bel “cappuccino”, la bevanda di latte e caffè mattutina: richiama il carattere furbesco e un tantino fraudolento dei connazionali. La schiuma nasconde una piccola frode: è sì la “barba” del frate, ma anche un netto risparmio sul latte… Ciò, nell’Italia povera di una volta, quando è stato inventato il cappuccino, aveva un suo impatto nelle tasche dei gestori dei bar, oggi è puro e gradevole folclore. In Sicilia gli imballatori dei prodotti ortofrutticoli, soprattutto delle arance, amano predisporre le cassette con la “mustra” (pronuncia retroflessa nel gruppo “tr”) ossia l’esposizione (Expo?), la “mostra” della prima fila di arance, spesso le più grosse e lucide, atte a nascondere il fondo della cassetta e la scarsa qualità degli altri frutti.
Ma vi sono altre “mustre”, altre esposizioni (Expo?). La bella figura come espressione di esteriorità, di vita vissuta all’aperto, di decoro estetico piuttosto che di funzionalità (come le corazze di Barzini) la si ritrova anche in ambiti molto lontani dalla vita di ogni giorno, perfino nella Carta Costituzionale, la nostra Corazza. La Costituzione italiana è spesso definita la più “bella” del mondo, non la più funzionale (a cos’altro dovrebbero servire la Carta se non a regolare le istituzioni?) e infatti s’è “dimenticata” – depotenziando con vaghi cenni le funzioni del Capo del Governo – la cosa più importante per la vita collettiva: la stabilità, la continuità dei governi che da noi, a differenza di tutti gli altri paesi europei, hanno avuto perciò la durata media di poco più di un anno con tripudio di Governi “balneari” annessi . La prima parte della Costituzione è una magniloquente e operistica ouverture-declamazione di principi quasi mai applicati,i quali stanno lì come la “mustra” delle arance, vogliono illuderci, consolarci, suggerirci un mondo “altro” che non è, e che forse non sarà mai: è come un’esposizione (un’Expo?), un compito in “bella” (eccola la parola) di bei principi, una bella facciata, una corazza finemente disegnata, il cui ricamo (cinque articoli per il Governo, nove per il Presidente della Repubblica, tale che ognuno che sale al Quirinale “interpreta” a modo proprio il ruolo) poco ci ha difesi. Una Carta che incarta anche organi fasulli, vere e proprie patacche come il CNEL. Una Carta di facciata che ci ha fatto disperare da subito e che tanto bella non doveva essere visto che ha avuto ben otto tentativi di riforma ( secondo il costituzionalista Enzo Cheli), dal decalogo Spadolini, alla Commissione Bozzi, alla bozza Violante, alla Bicamerale, ecc.
La pulsione per la facciata, per le pure forme, per gli almanaccamenti fa sì che anche alcune leggi elettorali abbiano avuto alcune norme di facciata. Si prenda il Porcellum. Non consentiva l’elezione del Capo del Governo come tutti continuano a ripetere. Il Porcellum decretava la vittoria di una coalizione cui fu consentito di inserire nel simbolo, e dunque nella scheda elettorale, il nome del capo di quella coalizione; ma tale espediente – meramente di facciata, una esposizione (un’Expo?)- non obbligava e vincolava il Presidente della Repubblica a nominare quel capo coalizione, poiché la Costituzione rimaneva immutata e spettava sempre al Capo dello Stato nominare il capo del governo ( in grado di ricevere la fiducia parlamentare). Fu una debolezza o forse un errore di Ciampi aver consentito l’amplificazione ambigua del solito giochino italiano tra “formale” e “sostanziale”, una Costituzione che formalmente restava invariata ma che sostanzialmente veniva innovata, ma con l’uscita di sicurezza incorporata: tant’è vero che i governi successivi sono stati nominati e mandati davanti al Parlamento per la fiducia.
Ma questa divaricazione tra “formale” e “sostanziale” fra una facciata, una esposizione (un’Expo?) e la cosa, la trovate anche in ambiti sociali e aziendali insospettabili. Aprite la porta di una grande Azienda Pubblica, di una Banca, finanche di un Grande Giornale e penserete che al governo di queste strutture sovrintenda l’organigramma ufficiale, quello che leggete nei siti web. In realtà è una facciata, una esposizione (un’Expo?), un organigramma solo formale. Spesso – come in certi comuni siciliani dove c’è lo scaccino mafioso che comanda più del sindaco – c’è un oscuro Sindacalista che comanda e che non appare, sta nascosto, oppure un Massone, oppure anche un Ecclesiastico, uno che non vedrete mai apparire nella facciata, nell’Esposizione (Expo?).
È un bene? È un male? È l’Italia!
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Vedi anche su “Gli Stati Generali”:
“Il dolore di essere italiani”, di Giulio Savelli
Perché gli italiani non leggono?
Sugli italiani: Leopardi il primo, la Ginzburg icastica e perfetta, Flaiano stufo
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