Storia

Astuzie e verità di un partigiano con la camicia nera

18 Febbraio 2017

Nella storia e nei ricordi di quella travagliata vicenda che fu la Resistenza italiana un posto particolare spetta a Uber Pulga, il partigiano in camicia nera. Pluridecorato della Repubblica di Salò ed eroe della Resistenza, Uber Pulga fu giustiziato per tradimento dai suoi stessi camerati repubblichini all’alba del 24 febbraio 1945. La sua è la storia intensa e drammatica di un travaglio umano narrata con impeto e l’ardore di un coinvolgimento personale da Alessandro Carlini, giornalista dell’Ansa e scrittore, il cui nonno, Franco Pulga, era cugino di Uber. E proprio dal nonno, Carlini trae la volontà di fare memoria della complessa vicenda di Uber, raccogliendo documenti, testimonianze, atti e tutto ciò che poteva servire per ricostruire il profilo di un fuggiasco che aiuterà la causa partigiana senza togliersi la camicia nera.

La storia di Uber inizia con un flashback: prigioniero in attesa che venga giustiziato a morte, è in un seminterrato dove don Augusto Sani si reca a confessarlo. È l’uomo giusto per raccogliere la storia di Uber: diversamente dai tanti preti schierati, lui si prodiga per tutti, è consapevole che in guerra il carnefice di oggi può essere la vittima di domani, che bene e male non sono poi così distanti e che i Caino e gli Abele si confondono poiché sono comunque figli di Dio.

«Ho poco da dire. Non credo più a nessuno. Non credo più nella divisa, nella patria, nella mia vita e non credo più in Dio. Guardate qui come mi sono ridotto, a credere in qualcosa». Uber si descrive come uno che ha tradito tutti. Eppure Uber era stato un uomo che aveva fortemente creduto; in viaggio col suo battaglione verso i Balcani a fianco dei tedeschi, desidera orgogliosamente portare una civiltà nutrita di quei principi fascisti di cui è stato sempre imbevuto sin dalla tenera età e al tempo stesso aveva creduto di poter riscattare la sua estrazione sociale risalendo la gerarchia militare. Dure sono le pagine in cui viene descritta la barbarie contro i civili e i partigiani, un orrore che non risparmia neppure i bambini fucilati barbaramente.

Crede così tanto da essere tacciato come traditore quando, nonostante Mussolini sia in declino, sceglie di restare fedele all’ideologia fascista. Sarà, ancora, dalla parte dei tedeschi quando, il suo nome tedesco, il suo aspetto fisico, i suoi modi duri e la lingua tedesca acquisita durante il suo addestramento alla scuola di controspionaggio, gli consentiranno di essere scelto per il ruolo di infiltrato tra i banditi nel Nord Italia, fingendosi un disertore della Wehrmacht, originario dell’Alto Adige. È così che entra in contatto con i partigiani, conquistandone la fiducia, e preparandosi a tradirli.

Mano a mano che il suo aspetto diventa sempre più simile a quello dei ribelli, gli sembra che anche il suo odio contro il nemico perda di vigore, quasi assuefatto al loro cibo, alle loro facce e alle loro idee. Sente parlare di una nuova fase storica in cui si esercitano diritti e uguaglianza di un’Italia democratica e libera.

La decisione di attaccare una caserma della brigata e fare un buco nel muro dell’edificio, rompe finalmente gli indugi. A Uber viene richiesto di riparare un lanciarazzi recuperato dall’armata tedesca che l’abile spia manomette prima di partecipare attivamente all’operazione. Solo dopo il fallimento dell’attacco, cogliendo a volo l’occasione offerta da una retata, Uber riprende la sua (vecchia) identità, consegnando il foglio di salvacondotto con cui rivela di essere un agente del controspionaggio e aiuta a catturare e poi torturare un partigiano, dando così sfogo all’indole repressa durante i mesi passati a confondersi col nemico partigiano.

Tuttavia qualcosa è cambiato in lui. Sotto il rumore dei bombardamenti alleati, Uber si sente un guardiano di rovine che difende un mondo che crolla, immagini di migliaia di italiani morti nei bombardamenti, nelle rappresaglie, nelle battaglie. L’idea del male scuote la sua mente e dinanzi a tanto orrore quasi, incredulo, piange. Persino l’incontro con Mussolini, da cui riceve la promozione a sottotenente della divisione Italia, non hanno più senso dentro gli incubi che ora lo tormentano.

La nuova strada di Uber non sarà però quella del disertore ma quella della collina, al fianco dei partigiani. Catturato dai ribelli, sarà costretto a rivelare a se stesso e agli altri che la sua incapacità di credere ancora nel fascismo. Per la prima volta siamo al cospetto non più del soldato addestrato a mentire ma di un uomo disarmato e nudo. Il soldato cinico e bruto mostra un’arte oratoria che riesce a toccare in profondità in quanto nasce da un impeto del cuore.

A questo punto, Uber è pronto al suo atroce redde rationemNel tentativo di trafugare un magazzino militare, viene riconosciuto, catturato, torturato, e infine fucilato. Solo il parroco riesce a confortarlo a liberarlo del peso del male gratuito commesso. L’urlo “Viva l’Italia” che pronuncia appena prima della fucilazione, è la rivendicazione di un uomo che vede in quell’ideale di libertà, pregustato nei discorsi dei partigiani, quella che avrebbe spazzato via e rimpiazzato tutto l’armamentario di motti imposti dal regime, la realizzazione, quindi, dell’uguaglianza di ogni essere umano.

Con Partigiano in camicia nera (Chiare Lettere, 2017, pagg 180, 16 euro), Carlini ci offre un racconto in cui il piano della narrazione storica e della trasfigurazione fantastica si intrecciano continuamente, un romanzo di grande coinvolgimento emotivo e di seria riflessione sul dramma eterno della guerra con il suo bagaglio fatto di morte e distruzione, ma anche della capacità umana di conservare, malgrado tutto, la speranza.

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