Scuola
Conviene davvero delegittimare gli insegnanti?
Come pedagogista, mi succede abbastanza spesso di discutere con qualche genitore convinto che lo schiaffo sia uno strumento educativo accettabile o addirittura indispensabile. L’argomento che in diversi paesi del mondo, e non certo tra i meno civili, schiaffeggiare un bambino è un reato, senza che questo divieto provochi disastri educativi, non sembra colpirli particolarmente. Così come non serve a molto osservare che un adulto non può essere preso a schiaffi a scopi educativi o rieducativi nemmeno se ha ucciso dieci persone, mentre un bambino può essere schiaffeggiato anche solo per aver versato una tazza di latte.
Il corpo del bambino in Italia è privo, si direbbe, di quella sacralità che appartiene nella nostra società al corpo umano in generale. A differenza dell’adulto, un bambino può essere toccato, sollevato, spostato, strattonato, picchiato senza che si abbia l’impressione, con questo, di compiere un abuso. Ma le cose non stanno proprio così, e per convincersene è sufficiente considerare qualche caso di cronaca. Buon ultimo, quello riguardante l’Asilo Monumento di Siena.
La retorica della guerra ha disseminato l’Italia di monumenti ai caduti, spesso non proprio sobri. Con più buon senso, anche non con miglior gusto, a Siena si decise di ricordare i caduti della Grande Guerra con un asilo: l’Asilo Monumento, appunto, che con il suo portico austero si affaccia sui giardini della Lizza. Una delle più solide istituzioni educative della città, che negli ultimi giorni si è trovata al centro di un mezzo scandalo di provincia. “Bimbi senza vestiti all’asilo”, titolava La Nazione; e Il Giornale: “I bimbi costretti a spogliarsi e spalmarsi di schiuma”. E’ successo che i bambini sono stati coinvolti in un progetto di esplorazione corporea e sensoriale pienamente in linea con le Indicazioni Nazionali del Ministero, approvato dal Coordinamento pedagogico e condiviso dalle stesse famiglie. Ma questo non basta. Corpo, emozioni, sensi: ce n’è abbastanza per scandalizzare i benpensanti e farne un caso politico. E poco importa che questo significhi mettere alla gogna, insinuando le cose peggiori, dei professionisti che fanno con passione il loro lavoro. “Farabutti, delinquenti e pedofili” li apostrofa nei commenti sul sito del Giornale il signor Mostardellis, mentre il signor gianky53 le definisce “maestre sporcaccione”. La pacata riflessione dell’Italia 2.0.
Qualche tempo fa ho scritto sul mio profilo Facebook che il giorno seguente avrei iniziato le mie lezioni in quarta su “Sesso e genere”. Mi contattò dopo qualche ora una giornalista: voleva un’intervista. Me ne meravigliai. Cosa c’era da intervistare? Insegno antropologia, sesso e genere è tra gli argomenti di routine. E’ un po’ come intervistare un docente di italiano sul fatto che spiegherà Petrarca, le dico. Ma non è convinta. C’è polemica su qualche bacheca, dice; e aggiunge: la gente deve sapere. Vedo poi che in effetti è già partito il linciaggio sulla bacheca di un locale politicante leghista, salito tempo fa agli onori della cronaca nazionale per una battuta sessista ai danni di Selvaggia Lucarelli. E gli insulti sono pesanti.
Trovo apprezzabile e rincuorante la reazione del sindaco di Siena, Valentini, che ha scritto: “Non posso permettere che le nostre maestre vengano denigrate e tantomeno che i genitori vengano sbeffeggiati per la loro presunta dabbenaggine o, peggio, per la loro complicità. Ne va di mezzo la credibilità e l’autorevolezza di un intero sistema scolastico, messo in pratica con grande professionalità e passione dai nostri insegnanti e condiviso con le famiglie”. E’ questo il punto. Si sta delegittimando l’intero sistema scolastico ed educativo. Ma perché accade?
Ho detto che molti genitori considerano accettabile lo schiaffo educativo. Non ho trovato, però, un solo genitore che ritenga accettabile il ricorso allo schiaffo da parte degli insegnanti dei figli. Anzi: i genitori che con più vigore difendono il diritto di schiaffeggiare i loro bambini sono spesso quelli più accaniti nell’attaccare gli insegnanti quando hanno l’impressione che abbiano mancato di rispetto ai figli. Naturalmente non c’è molta logica, in questo. Se lo schiaffo è un metodo educativo accettabile o efficace, allora è giusto che lo usino anche i maestri. La contraddizione mette in luce un fenomeno che spiega anche, mi pare, la tentazione irresistibile di diffamare maestri e professori.
Con gli anni il numero di figli che una coppia mette al mondo si è drasticamente ridotto. Ora sono molti i figli unici, e raramente si va oltre i due figli. Questo fenomeno va di pari passo con un mutamento nella percezione del ruolo genitoriale. L’aspetto positivo di questo cambiamento è la maggiore responsabilità e consapevolezza educativa dei genitori. L’aspetto negativo è un senso di possesso esclusivo ed escludente che molti genitori hanno nei confronti dei figli. Un amore unico, che non ammette condivisioni, e che in qualche caso può sfociare nel suo opposto. Il bambino può essere schiaffeggiato dal genitore e non dall’insegnante perché il bambino è cosa del genitore: ha diritti su di lui che non ha l’insegnante. E poca importa che questi diritti si risolvano, dunque, nel diritto di esercitare violenza. Sminuire qualsiasi altra figura educativa è un modo per presentarsi, agli occhi dei bambini, come uniche figure di riferimento. Il genitore del terzo millennio è geloso come il Dio biblico, e non tollera un altro accanto ed oltre sé.
Non è questo il caso dell’Asilo Monumento di Siena, che si è smontato perché i genitori hanno difeso fermamente le maestre. Ma dà da pensare che dei politicanti abbiano montato un caso politico su una cosa del genere. Se lo fanno, è perché sanno che il tema “insegnanti che fanno cose strane ai nostri figli” è di quelli che indignano e mobilitano. E dai quali è possibile aspettarsi un ritorno politico. Ma a quale prezzo?
L’educazione è sempre stata una impresa di tutta la comunità. Se diventa affare della famiglia, se il ruolo educativo della comunità viene sminuito, può accadere di smarrire il vincolo sociale stesso, e di trovarci di fronte ad una pseudo-società che non è che l’aggregato di famiglie autoreferenziali, monadi sociali senza porte né finestre, che si guardano l’un l’altra con sospetto. E’ una dinamica sociale che ha già qualche anno e di cui sono avvertibili i primi effetti. Se si chiede ad un quindicenne di oggi quale è il suo valore più importante, è molto probabile che risponda che è la famiglia. Una cosa che non sarebbe mai venuta in mente ad un quindicenne degli anni Ottanta. Si dirà: non è una cosa negativa. Certo. Ma se si approfondisce viene fuori dell’altro. Viene fuori che la famiglia è percepita come un ambiente rassicurante e protettivo apertamente contrapposto al mondo di fuori, infido e pericoloso. La società stessa fa paura, e la famiglia è un nido nel quale cercare conforto. La crisi di progettualità politica degli adolescenti e dei giovani, uno dei tratti più facilmente constatabili nella generazione dei Millennials, è una conseguenza di questa chiusura. Si può agire sulla società solo insieme ad altri, ma per agire insieme ad altri bisogna avere fiducia, essere positivamente aperti agli altri, esser mossi dalla convinzione ottimistica che sia possibile cercare insieme ciò che è bene e ciò che è giusto. Ma questo è sempre più difficile per ragazzi che crescono in una società nella quale le figure e le istituzioni che erano un punto di riferimento tradizionale sono in crisi (una crisi in alcuni casi vistosa: si pensi al mondo politico ed alla Chiesa), e gli adulti che si occupano della loro educazione sembrano impegnati a delegittimarsi a vicenda.
C’è, a dire il vero, un’eccezione. Si può agire politicamente (nel senso di occupare la sfera pubblica: ma la politica è altra cosa) senza fiducia se a spingere verso l’azione è l’odio, l’indignazione cieca e sciocca, l’agitazione populistica. Ed è probabilmente per questo che i politicanti non si fanno scrupolo di delegittimare chi ogni giorno cerca di far accadere quella cosa delicata e difficile che è l’educazione.
Nell’immagine: l’Asilo Monumento di Siena.
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