Scienze
Precisazioni sul familismo amorale. Un tratto permanente della cultura italiana
Il termine e concetto di “familismo amorale” ha conosciuto decenni di oscuramento nella cultura italiana per ragioni non difficili da spiegare seguendo due ordini di fattori: 1) l’egemonia culturale marxista che sulla base del materialismo storico (dialettica tra struttura economica e sovrastruttura ideologica, la prima che determina la seconda) deprezzava ogni acquisizione sociologica o antropologica in cui, viceversa, venivano valorizzati i fattori mentali-culturali (le ideologie o le mentalità) che a certe condizioni precedono o determinano i fattori strutturali. Insomma Marx contro Weber per riportare il tutto alle “idee madri” dei due pensatori tedeschi. 2) il fatto che tale denominazione di familismo amorale fosse stata enucleata da un sociologo-antropologo americano conservatore al servizio del Pentagono e da alcuni sospettato addirittura di essere un “barba finta”. Inoltre, siccome tale nozione trascinava con sé la descrizione di una “società arretrata”, avvistata per di più in Italia, non piacque alla maggioranza dei nostri intellettuali di essere associati a questo ambito semantico, che come annoterò in seguito, ci svalorizzava.
Oggi invece il termine e concetto viene usato e abusato. Singolare quando addirittura viene associato pedestramente a fatti di cronaca cruenta come in questo titolo di “Dagospia”, che non sarà un giornale chic, ma sicuramente choc, e quel che conta attrae un gran numero di lettori: FAMILISMO AMORALE – A MILANO UNA SIGNORA DI 62 ANNI LITIGA CON LA FIGLIA AL SETTIMO MESE DI GRAVIDANZA E LE LANCIA ADDOSSO DUE COLTELLI, FERENDOLA GRAVEMENTE – I MEDICI HANNO DOVUTO PROCEDERE CON UN CESAREO D’URGENZA
Facciamo allora qualche sforzo di precisazione. Quando Edward C. Banfield coniò la celebre formula di “familismo amorale” (amoral familism) che appare nel libro Le basi morali di una società arretrata (“The moral basis of backward society”, 1ª ed. 1958) per descrivere certi comportamenti collettivi da lui osservati in una cittadina del nostro Mezzogiorno (chiamata Montegrano nella finzione sociologica) adottò l’aggettivo “amoral” in maniera piuttosto precisa dal punto di vista semantico. Non “immoral” (che pure esiste nel vocabolario anglosassone) ma “amoral”, e a ben ragione.
Se richiamiamo la definizione di familismo amorale che egli stesso ne fa e che cito dalla mia edizione del 1976: «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo», si capirà subito che non è stricto sensu “immorale” tendere ad anteporre la propria famiglia alla Città, alla collettività, alla comunità. È normale e non è dunque “immorale” pensare ai propri cari: ciò avviene sotto qualsiasi cielo morale. Quel che Banfield intendeva sottolineare con “amorale” è che questo comportamento quando non ha altri scopi che questo, non pensa collettivo, non sviluppa comportamenti orientati alla comunità (“community oriented”) non si pone nemmeno obiettivi relativi all’ethos, allo spirito pubblico. È cioè un comportamento esclusivo, ostile o avulso da preoccupazioni “sociali” che non siano interessi o convenienze. (“Chi cc’è ppi mia?” Cosa c’è per me, Che me ne viene a me, si interroga il catanese medio prima di muovere qualsiasi passo verso il collettivo).
Tutto ciò quanto all’aggettivo amorale. Quanto al sostantivo, familismo, si capirà ben presto che tale termine non descrive sempre e solo il proprio nucleo familiare ovvero gli atti di promozione della famiglia verso i propri componenti. Facile intuire che, per Banfield, in effetti la nozione di familismo amorale è estensibile a qualsiasi gruppo, non solo familiare, ma alla conventicola, alla corporazione, alla cricca, al sindacato, al partito, al gruppo amicale detto cronyism ecc., ossia tutti quei soggetti che contrappongono valori “particolaristici” a quelli universalistici: in altri termini è un valore mentale-culturale oltre che una devastante prassi sociale che, così come prospettato da Banfield, si contrappone alla civicness, al senso civico. Sotto questo riguardo è “familismo amorale” per esempio accettare o chiedere voti di scambio (fatto esplicitamente trattato da Banfield in alcune implicazioni che troverete in fondo pagina), accettare o chiedere raccomandazioni, ma anche, stressando il concetto nei suoi confini semantici, non donare il sangue, non denunciare comportamenti criminosi ecc., farsi i fatti propri, ecc.; ovvero non condividere o osteggiare comportamenti community oriented.
Da questa incapacità a “pensare collettivo” motivata da particolarismo e da sfiducia verso gli altri nasce per Banfield un problema sia per l’economia che per la politica. In economia non fai un passo avanti nello sviluppo se non sai aggregarti agli altri, e in politica non otterrai la democrazia (autogoverno), perché come aveva già osservato Tocqueville nella Democrazia in America (fonte di ispirazione di Banfield) tale assetto politico nasce dall’associazionismo, ossia dalla capacità che hanno gli individui di uscire fuori da se stessi, dal proprio nucleo familiare e dalla propria corporazione per sviluppare comportamenti orientati verso la comunità, di partecipare alla vita pubblica. E avrai pertanto in ultima analisi una società “arretrata”.
Riporto il passo cruciale ove Banfield chiarisce questo concetto.
«Non si può attuare un sistema economico moderno se non si sa curare e mantenere in vita un’organizzazione professionale; in altri termini, più elevato è il livello di vita che ci si propone di raggiungere, tanto più risulterà indispensabile l’organizzazione. L’incapacità di organizzarsi costituisce ugualmente un ostacolo al progresso politico: infatti proprio dalla possibilità di coordinare, in relazione ai problemi di interesse pubblico, le linee di condotta di un gran numero di persone dipende, tra l’altro, l’attuazione di forme di autogoverno. In breve, i medesimi elementi che concorrono alla formazione di un’associazione ai fini economici, concorrono altresì alla formazione di associazioni di carattere politico».
Un’ultima noterella linguistica che però la dice lunga sull’adozione dei termini è la seguente: la prima traduzione italiana del libro (1961) ebbe un titolo generico Una comunità del Mezzogiorno. Perché? Voleva evitare quella etichetta deprezzatoria che è nel titolo e che è già un giudizio di valore: “società arretrata”. E nessuno ama essere definito “arretrato”.
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Ma Banfield fa qualcosa di più nel tentativo di formulare in maniera ricca e articolata la nozione di cui si discute. Trae dalla regola aurea di cui sopra «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo», una specie di doppio decalogo (17 implicazioni), dove il familismo amorale viene osservato nei suoi riverberi verso la società e la politica. Occorre trascriverli, seppure in sintesi, perché riguardano ancora oggi molti di noi montegranesi (soprattutto nel Mezzogiorno) e perché costituiscono quanto di più acuto sia stato scritto sul rapporto che in Italia intercorre fra antropologia culturale e politica.
1. In una società di familisti amorali nessuno perseguirà l’interesse del gruppo o della comunità a meno che ciò non torni a suo vantaggio personale.
2. In una società di familisti amorali soltanto i funzionari si occupano della cosa pubblica, perché essi soltanto vengono pagati per questo. Che un privato cittadino si interessi seriamente a un problema pubblico, è considerato anormale e perfino sconveniente.
3. In una società di familisti amorali mancherà qualsiasi forma di controllo sull’attività dei pubblici ufficiali, poiché questo compito spetta solo ai superiori gerarchici dei funzionari in questione.
4. In una società di familisti amorali, sarà difficile dare vita e mantenere in vita forme di organizzazione (cioè attività organizzate in base a esplicito accordo). Infatti i fattori che inducono la gente a prestare le proprie energie in organizzazioni sono in larga misura atteggiamenti di altruismo e spesso non di ordine materiale, elementi questi estranei ai familisti amorali che si muovono solo in vista di interessi materiali e personali.
5. In una società di familisti amorali, coloro che ricoprono cariche pubbliche, non identificandosi con gli scopi dell’organizzazione a cui appartengono, si daranno da fare quel tanto che basti per conservare il posto che occupano o (…) per ottenere promozioni. E d’altra parte, le persone istruite ed i professionisti, di solito non saranno mossi da uno spirito di vocazione o di missione. In realtà le cariche pubbliche o le conoscenze specializzate, saranno considerate da coloro che ne dispongono come armi da usare a proprio vantaggio o contro gli altri.
6. In una società di familisti amorali, si agirà in violazione della legge ogni qualvolta non vi sia ragione di temere una punizione
7. Il familista amorale, quando riveste una carica pubblica, accetterà buste e favori, se riesce a farlo senza avere noie, ma in ogni caso, che egli lo faccia o no, la società di familisti amorali non ha dubbi sulla sua disonestà.
8. In una società di familisti amorali i deboli sono favorevoli ad un sistema in cui l’ordine sia mantenuto con la maniera forte.
9. In una società di familisti amorali il fatto che un individuo o un’istituzione dichiari di agire in nome del pubblico interesse piuttosto che per fini personali, verrà considerato una frode.
10. In una società di familisti amorali manca qualsiasi connessione fra astratti principi e il comportamento concreto nei rapporti di vita quotidiana.
11. In una società di familisti amorali non ci sono né leader né buoni gregari. Nessuno prende l’iniziativa di proporre una linea d’azione e persuadere gli altri a seguirla (a meno che questo non torni a suo vantaggio personale) e d’altronde se qualcuno assumesse una posizione di leader, il gruppo non lo accetterebbe come tale, per mancanza di fiducia.
12. Il familista amorale si serve del voto per ottenere il maggior vantaggio a breve scadenza. Per quanto egli possa avere idee ben chiare su quelli che sono i suoi interessi a lunga scadenza, i suoi interessi di classe, o anche l’interesse pubblico, questi fattori non influiscono sul voto, se gli interessi immediati della famiglia sono in qualche modo coinvolti.
13. Il familista amorale apprezza i vantaggi che possono derivare alla comunità, solo se egli stesso e i suoi ne abbiano parte diretta. Anzi esso si opporrà a misure che possono aiutare la comunità ma non lui, perché, anche se la sua posizione, in senso assoluto, resta immutata, egli ritiene di venirsi a trovare in una situazione peggiore se i suoi vicini migliorano la propria posizione. (…)
14. In una società di familisti amorali l’elettore ha poca fiducia nelle promesse che gli vengono fatte dai partiti. Egli dà il voto in cambio di benefici già ricevuti (nell’ipotesi, naturalmente, che esista la prospettiva di riceverne altri per il futuro) piuttosto che per vantaggi promessi.
15. In una società di familisti amorali esiste la diffusa convinzione che qualunque sia il gruppo al potere, esso è già corrotto e agisce nel proprio interesse. (…)
16. Sebbene gli elettori siano disposti a vendere i voti, in una società di familisti amorali non esisterà una stabile e solida macchina politica, per 3 motivi: a) essendo la votazione segreta, non c’è modo di controllare se chi è stato pagato per votare in un certo modo lo faccia poi effettivamente(!!!) b) un’organizzazione di questo tipo non offre sufficienti vantaggi immediati perché qualcuno impegni in essa energie e capitali; c) come abbiamo spiegato sopra, in ogni caso è difficile dare vita e mantenere organizzazioni formali di qualsiasi tipo.
17. In una società di familisti amorali i funzionari di partito vendono i loro servizi al miglior offerente. La loro facilità a passare da una parte all’altra può spiegare gli imprevedibili sbalzi nei risultati elettorali.
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