Roma
Spugne, ramazze e la tragica illusione che Roma sia «pulita» come Milano
C’è una questione di dignità ferita che coinvolge pesantemente le due grandi città italiane, Roma e Milano, le quali da sempre si sostengono su sentimenti contrapposti. A Roma i Palazzi e il Potere, a Milano l’Economia e la Fatica del vivere su basi meritocratiche e concorrenziali, queste almeno le linee guida letterariamente più conosciute. Due rette parallele che non s’intersecano mai, se non in quella convergenza politica e interessata della Lega anni ’90 che credette di risolvere la questione in uno slogan rimasto agli atti: «Roma ladrona», salvo poi finirci inghiottita con tutti i diamanti. Oggi, incredibilmente, queste due città sembrano ritrovarsi sotto il cielo di una socialità ferita, per parti diverse e per motivi diversi, ma che riporterebbe al centro del villaggio il ruolo fondamentale dei cittadini.
Qualche mese fa, in occasione dell’apertura di Expo, Milano si era fatta bella come nelle sue giornate migliori. A rovinarle la festa, come ricorderete, ci pensarono i black bloc che amabilmente “ridipinsero” le vie del centro, spaccando macchine e vetrine al loro passaggio. Fu effettivamente un choc, come tutte quelle situazioni nelle quali hai preparato una festa per una pesona cara che ti viene rovinata senza che ci sia una sola buona ragione. Nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo il giorno dopo lo scempio, fatto sta che totalmente dal basso, senza ispirazione politica che avrebbe reso meno nitida la “sollevazione”, i milanesi allargarono lo sguardo oltre il proprio portone, sentendosi per una volta comunità (se c’è un merito dell’amministrazione Pisapia è esattamente aver restituito “questa” dignità ai milanesi). Fu la giornata delle spugne strofinate allegramente ma fattivamente sui muri della città, fu uno straordinario momento d’insieme come effettivamente se n’erano visti pochi, al punto che nessuno tra i politici ebbe cuore, nè impudicizia, d’intestarsi quella storica giornata. Se possibile, la rivoluzione delle spugne segnò un prima e un dopo a Milano, che sarà difficile ignorare per il futuro.
È di pochi giorni fa la discesa in campo di Alessandro Gassmann, che dall’Uruguay dove sta girando un film ha twittato un #Romasonoio, un modo spiccio ma anche appassionato per dire ai suoi concittadini: svegliamoci, se il Comune non ci tutela, se il degrado non si ferma e le istituzioni non sono in grado di proteggerci, scendiamo noi per strada con le ramazze e puliamo fuori da ogni casa, fuori da ogni negozio. Anche in questo caso, una rivoluzione dal basso. Gassmann ha «spaccato», centinaia di reazioni, compresa quella del sindaco Marino, una buona parte di vicinanza e di sostegno, ma anche una parte considerevole di cittadinanza in totale disaccordo, convinti e consapevoli che il pagare le tasse, essere buoni e corretti cittadini, fosse bastevole a pretendere il minimo sindacale, cioè servizi e pulizia delle strade.
Qualcuno ha voluto vedere nel gesto di Gassmann e nel sostegno dei molti cittadini che hanno condiviso il suo hastag, quella rivoluzione dal basso che ha animato anche i milanesi. Come riunire, finalmente, sotto un unico destino due città così fondamentalmente diverse. Riunirle verso l’alto, verso un’idea virtuosa di dignità, a tutto guadagno – ciò andrà detto – della cittadinanza romana. Questa operazione, ancorché legittima, è per lo meno pretestuosa, innanzitutto perchè nasce da basi profondamente diverse. La sollevazione dei milanesi nacque da eventi chiari, sociologicamente impeccabili: un nemico aveva invaso il loro territorio, comportandosi in maniera totalmente inurbana. Del nemico aveva le fattezze, la configurazione, i linguaggi, tutto l’armamentario necessario a considerarlo tale. Avere un nemico vero, che attenta alla tua tranquillità, autorizza i cittadini a organizzare una difesa legittma e di livello eguale e contrario. I maledetti black bloc ebbero, per così dire, pan per focaccia. Loro spaccarono, i milanesi riedificarono. Il simbolo della spugna non si dimenticherà così facilmente.
È la stessa operazione che tocca ai romani? Proprio no. Qui il nemico non c’è o come al solito capita alla città dei Palazzi è tutto politico e particolarmente indistinto. Qui c’è una giunta che per una serie infinita di motivi – tra i quali anche la propria incapacità – non riesce più a governare la città. Non è un nemico, anzi, si dice costantemente e continuamente dalla parte dei cittadini. Nei giorni successivi alla sollevazione milanese, feci il mio personalissimo sondaggio per Roma: chiesi ad amici e anche a persone incontrate per caso, se una cosa del genere sarebbe potuta accadere anche nella Capitale. Mi guardarono con un certo sospetto e quel filo di ironico cinismo che sempre accompagna la romanità, ma la risposta fu chiara e netta: neppure per idea. Non si definirà qui l’asticella etica di romani e milanesi, per dire che questi sono meglio di quelli o viceversa. Ma sulle organizzazioni sociali, invece qualcosa si può dire, sulle attitudini a “concedere” troppo ai politici della propria città, su quella condizione diffusa per cui se “non fai” qualcuno farà per te e pazienza se alla fine non farà nessuno. Quella condizione che sposta sempre un centimetro più in là il momento dell’indignazione, della presa definitiva di consapevolezza, della ramazza mentale, dell’invettiva “questo è troppo”. Stiamo naturalmente parlando di Roma, che è molto malata e malati non immaginari sono i suoi cittadini. Gassmann, qualcuno dice in maniera buonista e veltroniana, ha cercato di interrompere un flusso millenario. Ma il suo #Romasonoio resterà lettera morta.
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