Roma
Roma pone ai giovani la grande domanda: volete diventare come Orfini?
In fondo Roma è strategica a tutti noi che siamo stati ragazzi e a tutti i ragazzi che verranno. Soprattutto per rispondere a una domanda centrale, che prima o poi si insinuerà nell’esistenza affannata e travolgente di chi ha tutta la vita davanti: c’è ancora uno spazio vitale per appassionarsi alla politica? Ma non solo alla politica, nel suo senso più esteso e descrittivo. Proprio ai partiti politici, al sentirsi parte di un’organizzazione che ha una certa idea di società, nella quale riconoscersi, contribuendo magari al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ciò che è accaduto a Roma, per questi aspetti ci è immensamente utile. Ragioniamo per corpi separati, cercando di non mischiare le singole vite, le singole scelte, con le scelte più collettive. Partiamo infatti dal gruppo. Tutti noi facciamo parte di un gruppo, che sia di piacere o di lavoro poco importa. Nel gruppo portiamo il nostro contributo intellettuale con la volontà di cederlo a carissimo prezzo, nel senso che ci piegheremo a una visione diversa, o comunque diversa dalla nostra, solo nella consapevolezza concreta e reale che quella scelta finale sarà “migliore” della nostra semplice visione, abbraccerà più sentimenti, coinvolgerà più persone, riuscirà a cogliere l’obiettivo prefissato con strumenti certamente più efficaci. All’interno di questo processo intellettuale, che magari finirà in un modo diverso da come ci eravamo immaginati, noi ci giochiamo tutto. Faccia, dignità, tutto. Almeno per chi considera faccia e dignità un tutto (qui infatti si aprirebbe la più ampia delle discussioni). Ognuno di noi, nel corso del confronto, stabilisce le sue “misure”, l’altezza della sua asticella etica, oltre la quale dovrà decidere cosa fare e come agire: abbandonare il gruppo, lottare sino all’ultimo per cambiare le cose e poi rimettersi alla maggioranza, uniformarsi da subito in nome di un sacro indirizzo che, applicato alla politica, tutto comprenderebbe e tutto spegne: l’intramontabile disciplina di partito.
Adesso torniamo a Roma e parliamo di un gruppo, anzi “il” gruppo. Il gruppo dei 19 consiglieri comunali del Pd che ha firmato le sue dimissioni preventive in modo da scaraventare un sindaco fuori dal comune. I consiglieri sono stati riuniti al Nazareno dove il commissario Orfini ha comunicato loro la decisione del Partito Democratico. Decisione senza ulteriori appelli. Nè discussioni. I 19 hanno firmato tutti, senza eccezioni. Ora trasportiamo la stessa situazione all’interno di 19 ragazzi di oggi, mettiamo che siano loro i 19 consiglieri del Partito Democratico. Cosa sarebbe successo? È difficile pensare, e anche sin troppo ingenuo, immaginare che tutto sarebbe filato come per i consiglieri “veri”, con i ragazzi che si rifanno alla disciplina di partito e in maniera pulita, ordinata, (“sembravano finti”, cit), mettono una bella firmetta e via. Con tutta probabilità, Orfini sarebbe uscito da quella riunione con la camicia strappata come quel simpatico direttore delle risorse umane dell’Air France che la polizia ha tolto letteralmente dalle mani dei lavoratori. Nel senso che ci sarebbe stata una discussione vera, accesa, lacerante, probabilmente disordinata, forse illogica, da poveri idealisti o da illusi impenitenti. Ma una discussione. Probabilmente sarebbe passata la linea più dignitosa, di chi pensava che quel sindaco, regolarmente scelto dal partito e votato dai romani, meritasse almeno l’onore delle armi e dunque la discussione in aula. Convinti tutti che la sua corsa fosse comunque finita.
C’è un significato profondo in questa differenza tra il mondo reale e il mondo dei giovani o è un capovolgimento naturale, senza contraddizioni, che segna l’ovvia linea di demarcazione tra il diritto di esprimere tutti i nostri sentimenti e il dovere di entrare nel mondo degli adulti dove si sbaglia da professionisti (cit.)? Una prima riflessione porterebbe a concludere che quando da entusiasta duro e puro, o almeno duretto e puretto, entri nel territorio della politica vieni gentilmente pregato di lasciare alla cassa una parte consistente delle tue aspettative etiche, perchè quello è il mondo della mediazione ed è bene che tu te ne renda conto in fretta. E sin qui, in fondo, niente di male, ogni organizzazione sociale vive sulle mediazioni, si tratta sempre di capire se poi la sintesi viene sospinta verso l’alto o finisce direttamente e spensieratamente nella fogna. Questa seconda opzione è oggi variamente praticata e i giovani ne sono molto consapevoli. Ciò che farebbe la differenza è il sentirsi utili e soprattutto l’idea che l’imposizione dall’alto è una pratica che non ha parentela con quell’autonomia intellettuale che la politica richiama spesso come virtù indispensabile. Ma c’è un’altra ipotesi, questa sì terribile e inaccettabile, per illustrare due linee che in linea teorica non si incontreranno mai: che dal momento in cui i giovani decidono di entrare nell’organizzazione politica, cominciano progressivamente a perdere nanoparticelle di verginità, sino al punto di maturazione finale, quando il responsabile del “laboratorio” politico, nel quale il giovane è stato allevato, lo restituisce alla società guarito dai suoi stupidi entusiasmi, dunque come un piccolo Orfini. In quel momento, la tua giovinezza si spegne definitivamente.
Un tempo, proprio per evitare questa fine malinconica, ci si inventò la figura dell’extra-parlamentare. Tutti noi che si voleva cambiare il mondo temevamo fortemente il rischio d’essere irregimentati. Pur amando perdutamente la politica, o forse proprio per questo, scansavamo debitamente l’organizzazione ufficiale, considerandola – appunto – l’inizio di ogni fine. Si aveva ovviamente il fiato corto, ma il tascapane pieno di sogni. Non siamo andati da nessuna parte. I peggiori di noi circolano ancora e sono variamente potenti, pensa un po’.
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