Roma

La destra romana torna in piazza ma si nasconde dietro a un pensionato

16 Novembre 2014

Nella sfilata che ieri a Roma ha condotto poco meno di un migliaio di persone al grido di “Rivogliamo la nostra città”, di facce note fra i manifestanti ce ne erano tante. Forse troppe per un semplice corteo che aveva l’ambizione di essere la voce dei comitati cittadini, presenti, ma relegati in fondo. Ad essere in piazza era soprattutto la destra romana,  ancora frastornata dalle sconfitte elettorali degli ultimi due anni, appesa come in tutto il paese al destino di Silvio Berlusconi, ma non per questo disposta ad avviare il necessario ricambio politico. Dal re dei caldarrostai, Giordano Tredicine (attuale consigliere comunale), che guidava la marcia,  fino all’ex sindaco Gianni Alemanno, accompagnato a distanza dal suo vecchio caposcorta, l’ex pugile Giancarlo Marinelli, costretto nel 2010 a lasciare il suo incarico con l’esplosione del caso Parentopoli e ora alla guida del comitato del suo quartiere, Torre Angela. Ad intonare “C’è da spostare una macchina”  di Francesco Salvi, uno dei brani più gettonati della giornata insieme all’inno d’Italia, non mancava quasi nessuno. C’era il deputato Fabio Rampelli, che rimane uno dei politici più influenti a Roma. C’erano i consiglieri regionali Luca Gramazio e Antonello Aurigemma, così come il consigliere comunale Marco Pomarici, che solo poche settimane ha annunciato la sua adesione alla Lega dei popoli, il progetto che sancisce l’ingresso nella politica romana del leader della Lega Matteo Salvini.

D’altronde l’occasione era troppo ghiotta. Le proteste  dei residenti di Corcolle e Tor Sapienza, che seguono le manifestazioni estive degli abitanti di Settecamini e Torre Angela, hanno portato alla ribalta mediatica nazionale il dramma dei residenti della periferia di Roma, dove alla mancanza di servizi si sommano fenomeni criminali come lo spaccio di droga, la prostituzione e i roghi tossici.  Lasciare che a guidare la guerra al sindaco Ignazio Marino fosse solamente  il Pd, sarebbe stato un autentico suicidio politico, anche perché una destra incapace di cavalcare strumentalmente questo disagio, dopo aver contribuito a generarlo, non sarebbe certo una destra credibile. Serviva solo un volto dietro cui nascondersi: Franco Pirina, l’organizzatore della manifestazione, poteva essere quello giusto. Pensionato, uomo per bene e dai modi squisiti, un fenomeno nato sui social che in pochi anni grazie a un lavoro certosino è riuscito ad aggregare prima sulla rete e poi nella vita reale, decine di comitati e pagine Facebook di denuncia locali. Una sorta di celebrità periferica, che da giorni pontifica su rom e immigrazione in tutti i più importanti media televisivi e cartacei al grido di “rivoglio la città in cui sono cresciuto”. La Fan page della sua organizzazione, il Caop, è un punto di riferimento per il suo quartiere, un agglomerato urbano alla periferia Est di Roma, Ponte di Nona, famoso soprattutto per un dettaglio: la via principale porta il nome del suo costruttore, Francesco Caltagirone.

Da quella strada Franco esce ogni notte con la sua macchina nera, dove campeggia un vistoso adesivo del Caop (Coordinamento Azioni Operative Ponte di Nona), alla ricerca di criminali da stanare. Non appena li vede avverte le forze dell’ordine, ma se serve è anche disposto a mettersi sulle loro tracce da solo. Perché questo deve fare un giustiziere della notte: agire.  Nella maggior parte dei casi, i malviventi sono disperati che trafugano nei cassonetti o coppiette in cerca di intimità. Ma non mancano però i colpi di scena, come la sventata rapina in un bar, forse il punto più alto dell’attività del Caop. Una volta, invece, vedendo un furgone sospetto fuori da un edificio scolastico, Franco pensò che qualcuno si fosse introdotto abusivamente all’interno dell’istituto.  Subito avvisò le forze dell’ordine che entrando in tenuta antisommossa trovarono però gli agenti della polizia locale. Il furgone era il loro, stavano facendo un servizio di controllo in borghese.

La sua pagina Facebook è colma di bollettini notturni e di fotografie oscure scattate dal cruscotto della macchina dove sembra che stia per accadere qualcosa ma alla fine non accade mai nulla. Le prese di posizione sono tante: in un post del 20 luglio Franco augura la morte a un disperato che fruga fra i cassonetti, proponendo come soluzione al rovistaggio l’inserimento di mine antiuomo all’interno “ci stiamo pensando”. Il 20 agosto, in un altro post, invece auspica “una soluzione finale” che tolga di mezzo tutti i rom. Anche sull’Isis le idee sono piuttosto chiare: vengano pure a Roma a patto che violentino solo Rosy Bindi, Susanna Camusso ed Emma Bonino, “sicuramente non vedono l’ora”. Sarà anche per questo che il suo quartiere di fatto lo ha isolato: alla prima manifestazione che venne indetta contro i roghi tossici provenienti dal campo di Salone, nell’autunno del 2013, scesero piazza in tanti, ma trovandosi a marciare insieme a Forza Nuova, lo abbandonarono subito. Alla seconda manifestazione, organizzata lo scorso maggio i cittadini erano già stati sostituiti dai militanti di Casa Pound e dal vicepresidente del parlamento europeo Antonio Tajani, catapultato lì da quelle forze oscure che governano le agende dei politici quando ci sono le elezioni.

Dopo ieri Franco è il nuovo volto della destra romana. Una destra impresentabile  che ha guidato con esiti disastrosi il paese (con Berlusconi), il comune di Roma (con Gianni Alemanno) e la regione Lazio (con Renata Polverini). Una destra che oggi lavora nell’oscurità delle periferie e irresponsabilmente gioca sul malessere degli abitanti. E che trae in inganno le persone in buona fede, convinte di manifestare per i loro diritti  e già fagocitate in un sistema di potere che, alla prima occasione utile, le vedrà di nuovo escluse.

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