Questioni di genere

Le ragazze sono già educate alla diffidenza ma non funziona e non basta

14 Settembre 2017

Noemi Durini è scomparsa domenica 3 settembre in provincia di Lecce. Aveva solo 16 anni. Li avrà per sempre, perché dieci giorni dopo la sua scomparsa, il fidanzato, un giovane di diciassette anni con alle spalle tre trattamenti sanitari obbligatori, ha confessato di averla uccisa (e non importa come) indicando il luogo in cui si trovava il cadavere. Il padre del giovane è indagato per concorso in omicidio volontario. La vicenda ha diversi lati oscuri, tanto che il Csm ha aperto un fascicolo sulla procura per i minorenni di Lecce alla quale la madre di Noemi aveva già segnalato la pericolosità del ragazzo. Una denuncia, quella della donna, completamente inutile.

L’ultimo post pubblicato su Facebook dalla ragazza rivela la consapevolezza di vivere un rapporto malato, fatto di abusi e violenze, che niente hanno a che vedere con l’amore: «Non è amore se ti fa male. Non è amore se ti controlla. Non è amore se ti fa paura di essere ciò che sei. Non è amore, se ti picchia. Non è amore se ti umilia (…). Il nome è abuso. E tu meriti l’amore. Molto amore. C’è vita fuori da una relazione abusiva. Fidati!». Una vita che Noemi non avrà modo di vivere, come le 117 donne uccise nel 2015 nel nostro paese (dati della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna).

Oggi, una donna su tre subisce violenza nel corso della sua vita e i fatti delittuosi sono in aumento, soprattutto – come afferma la presidente di Cerchi d’Acqua, Graziella Mazzoli, che da oltre trent’anni si batte contro la violenza di genere – perché l’uomo non si adatta ad accogliere un rifiuto.

Che fare quindi? «Purtroppo è necessario che le ragazze sappiano che i rapporti con i ragazzi, e con gli uomini in generale, possono comportare dei rischi», scrive Valentina Saini su queste pagine, che continua, «Rischi da non dare per scontati, ovviamente, ma neanche da liquidare come rari o patologici o eccezionali. Bisogna educare le ragazze a individuare subito i segnali di pericolo, e ad agire di conseguenza». Mentre si educa la società al cambiamento culturale necessario affinché non vi sia più la piaga del femminicidio e del maschilismo, bisogna educare le ragazzine, le donne, alla diffidenza, afferma Valentina.

Insomma, bisogna tamponare, in attesa di risolvere il problema, ma a farne le spese, sono comunque le donne. Il punto, però, è che a quella diffidenza, in un modo o nell’altro, sono già educate, siamo già educate, tutte. Da quando sono adolescente, scelgo di non camminare da sola in luoghi isolati la sera, soprattutto in città, mi guardo alle spalle se rientro col buio d’inverno, ho sperimentato la paura di certi sguardi, e il terrore che qualcuno mi stesse seguendo (e sì mi stava seguendo). Se prendo un taxi a tarda sera, chiedo al tassista di aspettare che sia entrata in condominio prima di andare via. Da ragazzina, ho imparato che se metto il rossetto rosso, allora non devo troppo truccare gli occhi, e non per una questione di buon gusto, ma per non sembrare quella che molti definirebbero una facile, perché “non si sa mai”. In coda per entrare nei locali, ai concerti, ho avuto addosso “per sbaglio” le mani di molti uomini, italiani e stranieri. Cosa sarà mai una “palpata”?! Ho avuto la fortuna (perché anche di questo si tratta) di aver vissuto e vivere relazioni sane, ma mi sono ritrovata, a volte, a dover difendere lo stesso il mio diritto ad essere fisicamente e mentalmente libera e considerata in qualità di persona, al di là del genere. Pretendo per questo rispetto. Come me, moltissime mie amiche, a volte anche a sproposito, alzano la guardia se un uomo urla troppo forte, o ha un atteggiamento che somiglia al sessismo, al maschilismo. Siamo già educate alla diffidenza, soprattutto noi fortunate, cresciute in un contesto comodo e accogliente, in famiglie in cui un uomo o una donna hanno esattamente lo stesso valore di essere umani, le stesse opportunità, gli stessi diritti e doveri (mio fratello comunque cucina molto meglio di me). E in ogni caso, molto spesso, la violenza di genere non è affatto frutto di situazioni di degrado o emarginazione come spesso si pensa, quindi, anche le più fortunate ne sono vittime.

Non sono sicura, nonostante tutto, che continuare ad educare alla diffidenza le ragazzine, mentre la società si impegna e lavora per il cambiamento che ormai noi donne aspettiamo da sempre, possa essere una delle strade migliori da percorrere oggi, peraltro in un momento in cui le più varie paure verso l’altro vengono continuamente alimentate. Non vorrei che mia nipote vivesse tenendo alta la guardia. Forse ha ragione Valentina, che spesso si occupa di questioni di genere e femminismo, e la cruda realtà suggerirebbe una soluzione di questo tipo, insieme a molto altro. Di sicuro però (e su questo siamo d’accordo) c’è l’esigenza di un’educazione ai sentimenti, al rispetto dell’altro, che è sempre diverso da noi. Anche perché l’educazione alla diffidenza non mi sembra che abbia granché funzionato finora.

 

 

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