Questioni di genere

Il problema sono gli uomini

18 Ottobre 2017

Quel che sta accadendo nel mondo in seguito al caso Weinstein (il produttore Holliwoodiano accusato di aver molestato e abusato sessualmente di molte attrici) sta diventando decisamente più significativo del caso in sé, che – pur nella sua brutale mostruosità – non stupisce in realtà nessuno.

Sta succedendo che a partire dagli Stati Uniti e in un’onda che si allarga arrivando fino alla Cina, all’India e naturalmente all’Europa e all’Italia, le donne di tutto il mondo hanno iniziato a dire, chi timidamente condividendo un hashtag (#metoo #quellavoltache e altri) chi raccontando dettagliatamente la propria esperienza, che tutte o quasi sono state molestate, quando non abusate e violentate. Osservare questa marea e le sue conseguenze è impressionante e mi pare che dica alcune cose che forse vale la pena mettere a fuoco.

Da un lato c’è la sproporzione tra ciò che le donne vivono come atto improprio e ciò che gli uomini sono disposti a riconoscere come tale, per cui è tutto un fiorire di controargomentazioni al limite dell’assurdo per cui “ormai non si può più flirtare senza finire accusati di stupro” e via così. Dall’altro lato c’è la difficoltà delle donne stesse nel definire ciò che è atto molesto per via di meccanismi di vergogna, identificazione, senso di corresponsabilità. È chiaro che i due movimenti si rafforzano a vicenda e questo momento di scoperchiamento spinge gli uni e le altre a confrontarsi con una realtà semplice eppure così ostica: ogni volta che una donna riceve attenzioni sessuali non volute è molestia, se queste attenzioni vengono da un superiore gerarchico, da un uomo molto più grande, in termini ricattatori è violenza. Ogni volta! Non soltanto se l’uomo in questione è brutto vecchio e laido, non soltanto se dice chiaramente che non starci comporta delle conseguenze professionali o se usa la forza, basta che lo faccia intendere o  se sul pullmann dopo aver dato un calcio a chi si “appoggiava” quello dice “ma per chi mi prendi ragazzina, sono un padre di famiglia io”.

Lo spettro delle molestie e violenze sessuali è molto più ampio di quello che si cerca di far credere e molto più complesso: le vittime possono anche innamorarsi del loro carnefice (si pensi al bellissimo “Espiazione” di Ian McEwan nel quale il violentatore sposa la bambina da lui abusata), le posizioni di forza possono cambiare con il tempo, i molestatori possono affermare anche in buona fede di non essere stati consapevoli del peso dei loro atti perché da sempre immersi in una cultura della dominazione machista eccetera eccetera, questi sono solo degli esempi ovviamente.

La complessità è data anche dal fatto che esiste una dimensione privata del dolore, che va a toccare zone molto profonde della persona perché legate al sesso e allo spazio personale e che in qualche modo nei racconti di questi giorni si cerca di elaborare, ma esiste anche una dimensione pubblica, direi politica che  deve trovare la giusta maniera di collocarsi per trovare delle risposte. Non si può assistere a un fenomeno così macroscopico considerandolo solo dal punto di vista dei singoli, come fossero tutti casi isolati e senza  porsi immediatamente il problema di quale azione culturale forte mettere in campo. Perché questo ora è il punto: quale azione culturale avviare? A questo devono pensare i governi di tutto il mondo, compreso il nostro e devono farlo a partire dall’educazione degli uomini.

C’è un’emergenza planetaria di violenza sessuale sulle donne e non si affronterà mai se non si partirà dagli uomini che sono il vero soggetto in questione. Occorre partire dal mettere l’accento su chi quelle violenze perpetra piuttosto che su chi le subisce, su chi molesta, piuttosto che sulle condizioni (possibilmente attenuanti) nelle quali quelle molestie si sono verificate. Quando ci si arrenderà all’idea che si tratta di un comportamento diffuso, non minoritario, non estremo, quotidiano, familiare, sfaccettato, sfuggente e si lavorerà sugli uomini perché imparino a riconoscerlo in se stessi, anche solo in nuce, allora potremo iniziare a vedere davvero una direzione. La molestia esiste quando un uomo la mette in atto, non quando una donna la denuncia e allora occorre insegnare agli uomini il senso dei confini, del rispetto, del no. Sono loro il nostro target educativo, pensiamoci.

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