Partiti e politici

La sinistra contro Renzi e Salvini. Ma a favore di che cosa?

2 Marzo 2015

Oggi come oggi, il panorama politico è dominato da due soggetti: Matteo Renzi e Matteo Salvini. Il primo, iperattivo premier a capo del Partito Democratico, sempre più connotato come unica forza di governo in Italia; il secondo, onnipresente segretario di una Lega Nord in forma smagliante e sempre più connotata come unica vera forza di opposizione in Italia. Al di fuori dei due protagonisti, troviamo il “solito” Movimento 5 Stelle, i cui consensi, comunque largamente superiori a quelli del Carroccio, stagnano e che soprattutto sembra non trovare più la strada per recuperare forza propulsiva e spazio sui giornali.

Abbiamo quindi un partito moderato al governo, un partito di destra (estrema destra), un partito fuori dagli schemi. Chi manca in questo panorama? Ovviamente, la sinistra. Non che sia in letargo: dalle parti di Sel e della minoranza Pd – in attesa di celebrare un matrimonio che si continua a rimandare – piovono costantemente critiche a Renzi, dichiarazioni di guerra al governo e allarmismi nei confronti dell’estremizzazione del partito guidato da Matteo Salvini, che ha ormai arruolato in pianta stabile anche i neofascisti.

Sappiamo quindi benissimo cosa non piaccia alla sinistra: non gli piace Renzi e non gli piace nemmeno il suo oppositore numero uno: Matteo Salvini (e ci mancherebbe altro). Due grossi bersagli per Vendola, Fassina & co. Ma soprattutto due leader che, per le loro caratteristiche, aprono uno spazio elettorale potenzialmente sterminato. Se da una parte c’è un partito ormai chiaramente di centro, liberale, con qualche spruzzata sociale e di diritti civili per tenere fede alla provenienza storica, e dall’altra un partito che si rifà a Marine Le Pen e che pure a destra in molti (Tosi e Fini) considerano troppo sbilanciato, il comunque consistente elettorato in cerca di un soggetto di sinistra dovrebbe immediatamente precipitarsi tra le braccia di Sel o dare manforte all’opposizione interna del Partito Democratico.

E invece niente di tutto questo sta accadendo, i consensi di Sel sono sempre quelli (circa il 3%) e la minoranza Pd rimane debole. Si è visto come una parte importante del terribile periodo che la sinistra sta vivendo sia da ricercare nella mancanza di un vero leader, qualcuno in grado di incendiare gli animi. Ma non è solo questo: sul fronte del lavoro, l’opposizione è stata interamente delegata al sindacato (che ha comunque taciuto nei giorni dell’approvazione definitiva del jobs act); sul fronte dell’opposizione al governo, più in generale, la vera protagonista è la destra di Salvini. Addirittura uno dei leader della minoranza Pd, Stefano Fassina, si è messo a inseguire la destra – la più classica delle mosse della disperazione – cercando di imporre anche a sinistra la questione della necessità dell’uscita dell’euro.

L’opposizione al governo la fa la Lega Nord. Delle questioni legate al lavoro si occupa (neanche bene) il sindacato. Si cerca di copiare qualche tematica populista nel tentativo di richiamare un po’ di attenzione in strati sociali che ormai la sinistra non la guardano nemmeno da lontano. Si festeggiano pure le vittorie che la sinistra ottiene all’estero nella speranza che regalino, gratis, qualche consenso in più.

Tutto questo non funziona. Non basta dire di essere “contro” Renzi o “contro” Salvini per conquistare il voto dei tanti che non guardano con favore a nessuno dei due. Non basta festeggiare la vittoria di Tsipras per diventare gli Tsipras italiani. Bisognerebbe essere non solo “contro”, ma anche a favore di qualcosa. Indicare una strada nuova da seguire, un nuovo modello sociale, un nuovo orizzonte verso il quale sospingere chi è in cerca di una risposta diversa dal liberismo o dall’anti-europerismo.

Tsipras non ha vinto (solo) perché contro la Troika è l’austerità, ma perché la sua “narrazione” (come la chiamano gli esperti di comunicazione politica) faceva vedere al popolo greco la possibilità di tornare ad avere un orgoglio nazionale, di lasciarsi alle spalle anni e anni di umiliazioni e di eterodirezione dei poteri forti di Bruxelles. Mostrava un nuovo modello politico, simbolizzato da volti nuovi, giovani, lontani anni luce dalle delusioni provocate dal Pasok, in grado di parlare a tutte le classi sociali. E di farlo con un linguaggio chiaro, che indicava un programma generale, forte, all’interno della quale si inserivano proposte specifiche e concrete.

La sinistra italiana, oltre a essere contro Renzi e Salvini e a tifare per Tsipras, che cosa vuole conquistare? Qual è la sua alternativa al jobs act? In che modo pensa di lasciarsi alle spalle l’austerità? Come si pone nei confronti dell’Europa, al di là di una critica generica e generalizzata? Non è dato sapere. La sensazione è che il vero obiettivo della sinistra sia quello di lasciare tutto com’era prima che Renzi arrivasse a fare terremoti. O che si accontenti delle briciole che i due Mattei le lasciano.

@signorelli82

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