Partiti e politici
Baciami, signor Presidente!
Ascoltare Pablo Iglesias di Podemos offrire un bacio a Pedro Sánchez, segretario del Partito Socialista spagnolo e incaricato dal re Filippo VI di formare il primo governo di coalizione della breve storia della democrazia di questo paese, si ha l’impressione di assistere, più che a una proposta programmatica, alla nascita di un’avanguardia politica. Diceva Marcuse che un’avanguardia ha il dovere di comunicare la disfatta delle forme di comunicazione esistenti, e la faccia di Pedro Sánchez, erede di una tradizione operaia che nasce dalla filosofia classica tedesca, cioè dall’illuminismo europeo fino a Hegel, diventa tutto a un tratto quella di un matusa, malgrado abbia appena quarantadue anni.
L’irruzione di Podemos in Parlamento, i rasta di alcuni suoi deputati, la tenuta senza giacca di Pablo Iglesias (la cravatta non rientra nel novero degli accessori possibili) e i continui ammiccamenti con il suo numero due, Iñigo Errejon, più adatti a una festa tra amici che a un voto di fiducia, hanno illustrato in questi giorni il vero obiettivo dei nuovissimi della politica spagnola: precipitare nel passato i difensori dell’attuale ordine costituzionale, nato dopo la morte del dittatore Francisco Franco per mano di Juan Carlos di Borbone. Quell’ordine prevedeva un ruolo di prima grandezza per il Partito Socialista, che sarebbe andato al governo pochi anni più tardi con Felipe González, e per il Partito Comunista, guidato da Santiago Carrillo e legalizzato ad hoc. L’avanguardia podemista, ispirata da un’ideologia totalizzante della politica, come tutte le avanguardie lo sono della disciplina in cui s’inscrivono, vuol spazzare via governanti e oppositori di quella fase che dura da trentotto anni in nome della proclamazione della Terza Repubblica. Il referendum sulla forma costituzionale da dare al paese, come quello che sancì l’esilio dei Savoia nel 1946, sarebbe il primo passo da dare senza fretta, ma meglio prima che dopo.
Podemos sa cosa c’è stato prima, e non ne vuole più sapere. Mette il veto su qualsiasi contatto con il Partido Popular, espressione del vecchiume, ma anche con Ciudadanos, che di quel vecchiume credono voglia essere un incipriamento. Accettano di dialogare soltanto con il Partito Socialista, perché c’è sempre un corrotto sistemico meno corrotto e meno sistemico degli altri, ma lo fanno per interesse: senza i voti socialisti hanno soltanto sessantanove deputati. Eppure, come in tutte le avanguardie, il discorso teorico fila più di quello pratico, e anche con i voti dei matusa, dovrebbero accordarsi con Izquierda Unida, nazionalisti catalani, nazionalisti baschi, nazionalisti valenciani e nazionalisti galiziani, un guazzabuglio che darebbe solo tre deputati di maggioranza; il PSOE, in queste condizioni, preferisce l’appoggio di Ciudadanos e rincipriare lo status quo. È diverso da Madrid, Valencia e Barcellona, dove Podemos amministra con l’appoggio di quei vegliardi, lì comandano loro e la musica è sempre alta.
Podemos ha reciso la vicenda epica della lotta di classe spagnola; non ne accetta più l’inizio nel Manifesto di Marx ed Engels, o, meglio, accetta quell’inizio ma mette in discussione lo svolgimento, almeno a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, che videro l’avvicinamento dei partiti di sinistra al governo in tutti i paesi occidentali. Vorrebbe sancire un nuovo inizio della lotta di classe, anche se non la chiamerebbe così: una riscossa del basso contro l’alto riossigenatasi in Venezuela dopo le tristi balere dove risuonano le canzoni popolari degli sconfitti della Guerra Civile del 1936. Vorrebbe chiudere la parentesi della sinistra di potere e ricostruirne un’altra, nuova; ma come sarebbe questa nuova sinistra? È una sinistra talmente nuova da non poter nemmeno accordarsi con la vecchia? Attenzione, sappiamo bene che all’inizio del Manifesto, la narrazione epica sostiene che la borghesia conquista il potere, organizza il modo di produzione capitalistico, si costruisce una sua economia, dà vita a un mondo retto da leggi e valori nuovi, ma intanto genera e si alleva al suo interno il nemico, quello che lo sconfiggerà ereditandone il patrimonio di valori. Il cuore della lotta tra i vecchio e nuovo, anche in Italia, è sempre stato stabilire chi sia quel nemico vezzeggiato dal potere stesso, affinché non cambi niente di sostanziale: per ora è rimasto un mistero.
Per l’avanguardista Pablo Iglesias il dibattito parlamentare non è che un segno di punteggiatura decadente da ringiovanire, quindi propone un bacio come si farebbe con un happening, comunicazione diretta che salta il politichese: Perché fai tanto il difficile, signor presidente del consiglio incaricato dal re? Pedro Sánchez, impietrito, pensa alle care formalità di un tempo, Cari colleghi, Eccellenze, Sacri rappresentanti del popolo, quelle formalità che il fondatore del suo partito, che guarda caso si chiamava, anche lui, Pablo Iglesias, amava e usava con un certo profitto. Il capo di Podemos gli sembra una sua mimesi crudele, irrispettosa, quasi incomprensibile.
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