Partiti e politici
Raggi abbaglianti, parte II. Le responsabilità della politica
Alessandro Di Battista riconosce sempre una cosa e gli va dato atto di questo: “Se non ci fossero stati i vecchi partiti a combinare guai, noi non esisteremmo neanche”.
Giorni fa, in questo articolo, ho focalizzato l’attenzione sulle responsabilità dei media come vettori di un’antropologia individualizzante, semplicistica, voyeuristica che produce atteggiamenti “naturalmente” antisistema e fa danni seri alla Politica con la P maiuscola. Alimenta la convinzione che “tutti possono fare politica” e che una “brava ragazza” possa salvare Roma. La variabile dipendente della media logic è l’elettore-consumatore, succube della dittatura dell’immagine, dell’istantaneo e di quell’alluvione di stimoli politicamente irrilevanti (Ferrari, curriculum, gravidanze, amicizie, comparsate nei video…) che però diventano rilevanti quando va a votare – essendo invece spariti dai radar programmi, idee, squadre di governo, competenze. Le cose davvero rilevanti, insomma.
Oggi l’elettore informato può sapere tante cose, politicamente insignificanti ma utili a creare onde emotive che influenzano l’esito delle elezioni. E’ un “nulla-sapiente” convinto di sapere tante cose, grazie ai “nulla-sapienti” (ma presunti e convinti tuttologi) che pontificano soluzioni “semplici” su tutte le reti, suscitando bassi istinti prima che ragionamenti.
Mi è stato fatto notare, con ragione, che quell’articolo sembrava voler assolvere del tutto la politica. Non era mia intenzione. Ho solo voluto far emergere che la politica di oggi è costretta ad adeguarsi alla media logic per essere anche solo percepita, per affiorare in quell’oceano di informazioni che ci sommerge ogni giorno. Tradotto: se non urli, non la spari grossa, non banalizzi, non metti in pubblico il tuo privato, non giochi sulle immagini e su una narrazione vincente…non emergi, resti ignoto alla massa dei consumatori-elettori, continui a viaggiare nel “non percepito”, perché i media non hanno alcun interesse a darti spazio. Il ragionamento, la riflessione, la complessità annoiano, non stimolano interesse né curiosità. In poche parole, non divertono. E le cose noiose non hanno mercato.
Ciò non vuol dire che la politica, in questo scenario, non abbia le sue responsabilità, passate e presenti.
La politica, non solo in Italia, si è progressivamente vaporizzata e ha messo radici, letteralmente, nei palazzi perdendo contatto con la società. I partiti nascono come corpi intermedi tra società e Stato ma diventano, col tempo, un “cartello” oligopolistico più interessato a spartirsi risorse e a consolidare il proprio potere che a offrire nuovi modelli sociali. Non è un caso che, ormai qualche decennio fa, Katz e Mair (due politologi) coniarono il termine di “Cartel Party” e, come è evidente dai loro nomi e dalla formula che hanno coniato, non guardavano solo all’Italia.
Il “partito di cartello”, con gli anni, è diventato sempre più un partito anche “mediale” e “personale”. Leggero come struttura, ancorato fondamentalmente alla brand reputation del proprio capo – unico collante interno e vero driver elettorale – e tutto proiettato sulla comunicazione, il “braccio armato” del leader.
Il partito personale all’italiana ha fatto emergere tutti i limiti dei nostri leader. Due, in particolare, sono quelli più gravi.
Il primo riguarda la selezione della classe dirigente. Un leader vero si contorna di gente competente, anche se scomoda; egli deve essere in grado di guidare tutti, anche i “rompiscatole”, verso la meta comune. E di questa selezione “al rialzo” non s’è vista traccia, anzi. Basta guardare alla parabola di Forza Italia per rendercene conto: nasce con la partecipazione attiva o quanto meno l’interesse di Urbani, Baget Bozzo, Colletti, Martino, Marzano, Pera, Antiseri…e finisce con i nomi che sappiamo, riuniti in un cerchio magico “para-familiare”. I partiti personali (cioè quasi tutti) sono ormai fan club veri e propri la cui unica funzione è quella di tenere in vita il gradimento e la notorietà del capo. Perché dalla “longevità” del capo dipende la longevità politica dei membri del fan club. Ma se il leader si circonda di “servi” incompetenti e non proprio autonomi intellettualmente, semplicemente leader non è. È un tutt’al più un capetto. Con le conseguenze che conosciamo e che ancora vediamo e viviamo, quotidianamente, in un derby emotivo in cui i supporter si insultano a vicenda disinformando e stimolando pance e bile, non certo neuroni.
Il secondo limite è ancora più grave, in ottica sistemica. La leadership implica che il capo abbia idee forti e mobilitanti e sia in grado di convincere gli elettori sulla bontà del suo progetto. Quando, al contrario, si basa sugli umori della “gente” per orientare la propria offerta politica, il leader diventa un follower… Segue, anzi insegue l’opinione pubblica, che è sempre più mutevole e volatile, al punto che ormai tendo a definirla “emozione pubblica”. E, perdonatemi, un leader che cambia idea con la velocità con cui mutano le nostre emozioni è tutt’al più una banderuola al vento. In questo, è ovvio, la media logic ha avuto e continua ad avere un ruolo enorme. Ma la politica ha abdicato troppo facilmente al suo ruolo.
Nell’inseguire le nostre pance, i partiti hanno rivelato tutti i loro limiti. Hanno, di fatto, rinunciato alla loro funzione e da classe dirigente sono diventati “classe diretta” dalle nostre viscere.
Da classe dirigente a classe “digerente”, in sintesi.
E questo, inevitabilmente, ha prodotto un terreno sempre più fertile per la contro-proposta a 5 Stelle. Se si cambia idea su un progetto di legge “dopo aver visto i sondaggi”, se si fanno dimettere ministri a rotta di collo senza che siano indagati, se si considera un avviso di garanzia come una condanna definitiva, se si dice “basta ai politici di professione!” cercando surrogati civici o tecnici, se si abolisce del tutto il finanziamento pubblico ai partiti, se ci si fa la guerra sugli scontrini, sulle Ferrari, sulle auto blu, sulle dichiarazioni patrimoniali e dei redditi, se si difende l’abolizione del Senato soprattutto per aver “mandato a casa oltre centinaia di Senatori”, se si invocano ruspe e fucili come risoluzioni di problemi geopolitici di portata planetaria…beh, questa non è leadership.
È “gentismo” trasformato in programma di governo. “Sondocrazia di emozione” al posto della democrazia di opinione. In una parola, populismo a tutto spiano. La formula chic sarebbe Market Oriented Party, partito orientato al mercato (o dal mercato, cioè dai sondaggi). Ma è solo un modo per distinguere i partiti pro-sistema dagli anti-sistema, lasciando l’etichetta negativa di “populista” a questi ultimi. La realtà ci dice che tutti inseguono i nostri capricci, le nostre debolissime opinioni, la nostra ignoranza rumorosa. Siamo noi a dettare il posizionamento dei partiti e a orientare la loro followship disperata per restare “sulla cresta dell’onda”.
Se il M5S è senz’altro populista, altrettanto lo sono gli altri, da destra a sinistra. E siccome tra la copia e l’originale si sceglie sempre l’originale, non meravigliatevi di quello che sta succedendo.
Se c’è un errore, grave, da parte della politica “tradizionale”, non è tanto quello di aver “rubato”, corrotto, essersi finanziata illecitamente o cose del genere. Quelle sono responsabilità individuali e andrebbero trattate come tali. E anche qualora fosse un problema diffuso, non esiste una comunità di ladri o di onesti a prescindere, una diversità antropologica tra “noi e loro” (ma ormai è troppo tardi per rimettere in moto i neuroni su questo ragionamento, per quanto semplice).
L’errore, quello vero, è non aver tutelato la Politica da tutto questo. Dai media, dalla magistratura, dalla metamorfosi dei partiti, dalle “caste” e soprattutto dalla “gggente”. Se c’era una cosa per cui valeva la pena “fare cartello” era questa. Riportare tutto e tutti alla logica, alla razionalità, alle conoscenze, all’esperienza, alla complessità, alla missione autentica della Politica. Invocare e praticare una rigenerazione dei partiti, non la fine della politica di professione e l’inseguimento del consenso “emozionale”. E invece è partito un “fuggi fuggi” generale che peraltro continua ad alimentare rancore, disaffezione, invidia sociale e, nonostante le continue “calate di braghe”, antipolitica galoppante. Perché, come scrivevo qualche giorno fa, la via intrapresa è autodistruttiva, non salverà nessuno.
Se volete dare un futuro a questa comunità nazionale, tornate a fare Politica, con dignità e competenza. Rivendicandolo con orgoglio e provando a stimolare teste e non pance. Se in tv vi fanno una domanda sulla Ferrari di Marchini o sui tailleur della Boschi, rispondete: “sono cazzate, parliamo di cose serie”. Se vi chiedono di spiegare come si ferma l’immigrazione clandestina “in 30 secondi, perché c’è la pubblicità”, vi alzate e ve ne andate “per rispetto dell’intelligenza di chi ci ascolta”. Se vi chiedono di commentare intercettazioni private e irrilevanti, rispondete che “sono affari loro e non dovremmo essere qui a metterci il naso pubblicamente”. Se vi dicono che una vostra proposta “non piace agli italiani”, rispondete che voi siete stati votati per decidere e che lo stabiliranno le elezioni successive se sarà piaciuta o meno, non certo sondaggi fatti sull’onda emotiva del momento. Se vi chiedono, infine, “Tizio può salvare Roma?” la risposta è: “nessuno salva Roma da solo”.
Insomma, avete capito.Uscite dalla parte, fate scelte impopolari se le ritenete giuste. Non cambiate idea ogni 5 minuti in base alle emozioni della massa. In poche parole, smettetela di suicidarvi per sopravvivere. Non regge, neanche logicamente. Non ho mai visto un morto sopravvissuto.
Dovete sfidarlo questo destino, non continuare ad assecondare la “cerimonia cannibale” in cui siete finiti. Non è facile per niente, me ne rendo conto. Prima di tutto perché implica un cambio radicale di strategia da parte di tutti, maggioranza e opposizione e dunque la rinuncia a lucrare – nel breve – dei fallimenti altrui. In secondo luogo perché la media logic tenderebbe a snobbare una politica divenuta di colpo una cosa seria e noiosa, e dunque senza mercato. Infine, perché significa riprogettare da zero i partiti, ridando loro una funzione, tornando a ragionare di progetti di lungo periodo e reclutando una classe dirigente degna di questo nome. Ma non avete alternativa: la scorciatoia di sintonizzarvi sulle nostre emozioni per essere percepiti e graditi all’opinione pubblica non salverà nessuno. Abbrevia solo il tragitto verso il baratro. Un suicidio di massa, mediaticamente assistito.
Forse si fa ancora in tempo. In caso contrario, un enorme rutto libero ci seppellirà.
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