Partiti e politici

La sondocrazia e gli incantatori del v(u)oto

4 Aprile 2016

Nel delirio della campagna elettorale più pazza del mondo, quella per il sindaco di Roma, si staglia prepotentemente la follia delle follie: l’offerta politica del centrodestra, diviso tra 4 candidati “maggiori” (Meloni, Bertolaso, Marchini e Storace) e non si sa più quanti candidati minori (Adinolfi, Razzi, Di Stefano, Iorio, Pivetti…). Tra i candidati “big” è in atto una trattativa da giorni. Si parla di una convergenza su due nomi, per coprire il campo “moderato” e quello “lepenista”. Le voci più frequenti vedrebbero Meloni e Marchini come gli highlander di questa selezione (in)naturale. C’è anche chi spera ancora, forse fuori tempo massimo, in una convergenza su un candidato unitario. Ma sembra difficile, dato che per alcuni il candidato unitario è Meloni, per altri Bertolaso e per altri Marchini…Staremo a vedere.

La cosa più interessante di questa vicenda, dal mio punto di vista, è il ruolo dei sondaggi. In particolare di una rilevazione di due giorni fa, che per l’autore (IPSOS) e il “palcoscenico” utilizzato (Corriere della Sera), ha immediatamente conquistato una “credibilità” simile a quella dell’infallibilità papale.

Ieri, addirittura, Belpietro apre il suo editoriale così: “Ora c’è la prova. Il centrodestra unito vincerebbe”. E la “prova” è ovviamente il sondaggio di Pagnoncelli.

Cosa dice questo sondaggio? Tante cose, avendo rilevato notorietà, gradimento, intenzioni di voto per il sindaco e per i partiti e intenzioni di voto per i ballottaggi. La cosa che ha più colpito l’immaginario degli opinion leader di centrodestra, però, è il fatto che Meloni batterebbe comodamente Giachetti al ballottaggio e perderebbe di pochissimo con Virginia Raggi. Fosse vero, sarebbe indubbiamente un dato significativo, al punto tale da dover riscrivere parecchi manuali di scienza politica sui quali si legge che al doppio turno è sempre favorito il candidato più trasversale e inclusivo. Fosse vero, appunto.

Sull’attendibilità dei sondaggi mi sono espresso fin troppe volte. E direi che tutte le elezioni recenti ci hanno dato ampie prove di “inattendibilità”. Per colpa dei sondati, non dei sondaggisti. Siamo noi a essere imprevedibili ormai. Sono sondaggi di emozione, non di opinione. E se l’opinione cambia repentinamente, l’emozione muta ancora più rapidamente. All’euforia di ieri e di oggi sul dato di Meloni al ballottaggio, vorrei innanzitutto ricordare una cosa che in pochi conoscono, perché riguarda sondaggi mai resi pubblici a causa dei divieti imposti dalla legge. Tre anni fa, alla vigilia del primo turno Alemanno-Marino, due sondaggisti importanti sostenevano che il sindaco uscente e il candidato del centrosinistra fossero pari o addirittura che Alemanno fosse avanti di un punto. Il giorno dopo si votò e scoprimmo che Marino era avanti di oltre 12 punti. Quella per me resta la “bussola”. Potete immaginare quanta attendibilità io possa dare ai sondaggi da quel dì.

C’è poi un altro rilievo. I sondaggi bisogna saperli fare, leggere e interpretare. E quando sono ricchi come quello di ieri, di cose da dire ce ne sono parecchie.

  • Il rapporto tra notorietà e gradimento. È ovvio che se io non conosco un candidato, di conseguenza non potrò esprimere il mio gradimento nei suoi confronti. Il sondaggio ci dice che Meloni è conosciuta dall’89% del campione, Raggi dal 55% e Giachetti dal 52%. I gradimenti rispettivi sono del 33%, del 27% e del 14%. È abbastanza evidente che se Raggi e Giachetti riescono a incrementare la loro notorietà in campagna elettorale, anche il loro gradimento è destinato a crescere, essendo due candidati dal profilo “spendibile”, non essendo cioè considerati “scaduti” o delegittimati. Viceversa il gradimento per Meloni dovrebbe essere abbastanza stabile essendo conosciuta da 9 cittadini su 10.
  • Il rapporto tra voti e gradimento. Questo è un errore tradizionale della destra italiana. Fini (come Almirante prima di lui) ha sempre avuto un gradimento personale molto alto che non si è mai tradotto in una quota di voti simile. Meloni rischia di subire lo stesso “trattamento”. Dal sondaggio risulta il candidato più gradito (33%) ma è terza come numero di voti (20%). Viceversa Raggi ha il 27% di gradimento e il 27,5% di voti e Giachetti ha il 14% di gradimento e il 22,5% di voti. Tornando al peso della notorietà sul gradimento, il margine di recupero di questi due candidati “ignoti” a un romano su due è enorme, quello di Meloni no.
  • Il rapporto tra voti al sindaco e voti ai partiti. Dal sondaggio emerge che Meloni, Bertolaso, Marchini e Storace avrebbero tutti una quota di voti maggiore rispetto ai partiti che li appoggiano, mentre Raggi, Giachetti, Marino e Fassina avrebbero meno voti rispetto ai propri partiti. Meloni, in particolare, avrebbe quasi 5 punti in più rispetto alle sue liste, mentre Raggi, Giachetti, Marino e Fassina otterrebbero dai 2 ai 3 punti in meno. Nessun candidato sindaco di Roma è mai riuscito, a prendere 5 punti in più rispetto alle sue liste. Alle ultime elezioni, per restare in area di centrodestra, Alemanno andò sotto alle sue liste (di un punto) mentre tutti gli altri presero più voti rispetto ai propri partiti (ma con un massimo di 1,5 punti da parte di Marchini). Invece, da questo sondaggio risulta una performance super dei candidati di centrodestra e una scadente di tutti gli altri. Dato quanto meno curioso, che ci porta al punto 4.
  • Il rapporto tra voto di area, voto al sindaco e voto ai partiti. Quegli scarti tra voto al sindaco e voto ai partiti danno uno scenario inedito in termini di voto di area, vale a dire che il centrodestra avrebbe il 40,5% di voti al sindaco e solo il 32,9% di voti ai partiti. Viceversa, il centrosinistra avrebbe il 30% di voti al sindaco e il 37% di voti ai partiti. Il M5S infine avrebbe il 30% di voti al partito e il 27,5% di voti al sindaco. Complessivamente, con un tasso di partecipazione inferiore al 50% come da sondaggio, ci sarebbero oltre 100 mila elettori che praticano il voto disgiunto o votano solo per il sindaco, tutti a favore del centrodestra (!). Peraltro, se facessimo un sondaggio su quanti romani sono a conoscenza della possibilità di praticare il voto disgiunto e di votare solo per il sindaco scopriremmo cose interessanti.

Proviamo a tirare le somme di questo ragionamento.

Meloni è il candidato più forte del centrodestra? Certo. È di Roma, giovane, donna, unico leader nazionale in campo e conosciuta da 9 romani su 10.

Ha la possibilità di arrivare al ballottaggio? A bocce ferme, no. Raggi e Giachetti hanno molto da guadagnare in campagna elettorale visto che 1 romano su 2 non li conosce. Meloni ha bisogno che almeno uno tra Bertolaso e Marchini si ritiri e la appoggi.

Meloni può vincere al secondo turno? Questo è il dato, a mio avviso, più sopravvalutato del sondaggio. Meloni è data vincente, comodamente, contro Giachetti e perdente di pochissimo contro Raggi. Due candidati che, in base a tutte le rilevazioni, hanno più voti di Meloni al primo turno, hanno un margine di crescita maggiore e presentano un profilo sicuramente più trasversale rispetto al leader di Fratelli d’Italia. Se davvero Meloni riuscisse a batterli al ballottaggio ci sarebbe da riscrivere la storia e tutti i libri di analisi elettorale. A quel punto tutti i Le Pen, sempre sconfitti in ogni consultazione a doppio turno, avrebbero un modello a cui guardare. Si potrebbe inaugurare il “melonismo” francese, altro che il lepenismo italiano…

Chiudo con due citazioni che spiegano meglio di quanto possa fare io la funzione dei sondaggi ai giorni nostri. Scrive Herstgaard: “I sondaggi di opinione regnano sovrani. Cinquecento americani vengono continuamente interrogati per dire a noi, cioè agli altri 250 milioni di americani, quello che dobbiamo pensare”. Mi sembra esattamente ciò che sta accadendo in questi giorni di dibattito interno al centrodestra. Tutto ruota su questo sondaggio. La “prova” di Belpietro, per capirci.

Così, invece, Christian Salmon: “Gli istituti demoscopici stanno alla democrazia come le agenzie di rating al credito. Giorno dopo giorno valutano la credibilità dei candidati sul mercato delle opinioni proprio come le agenzie di rating valutano la solvibilità dei debitori sui mercati finanziari. Al di là di questo, gli uni come le altre hanno la missione di orchestrare, stimolare, guidare l’attenzione pubblica. I sondaggi sono meno predittivi che performativi. Sondare è incantare il voto”.

Il problema è che non solo non riescono più a prevedere il voto, ma evidentemente neanche a “incantarlo”, visto lo scarto ormai abissale tra risultati reali e “previsioni” sondaggistiche. Personalmente continuo a fidarmi più della scienza, della ricerca e della storia elettorale (cioè di dati reali, di voti espressi). E questo trittico mi dice che se il centrodestra vuole vincere a Roma ha bisogno di un candidato possibilmente unitario (cioè unico) e trasversale.

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