Partiti e politici
La Leopolda di Zingaretti è pronta, Mafia Capitale permettendo
Doveva partire la scorsa settimana, il nome “Demò” era noto da mesi. C’era già la cornice, uno splendido agriturismo immerso nel parco della Marcigliana, ma tutto alla fine è saltato, in attesa di tempi migliori. La “Leopolda” di Nicola Zingaretti, che avrebbe dovuto aggregare quel pezzo della società civile, dei sindacati e del mondo dell’imprenditoria vicini al governatore del Lazio, con l’obiettivo di scalare la segreteria del Pd per arrivare al punto più alto, continua a rimanere ferma ai box. Ma c’è e prima o poi farà sentire il suo peso. A Roma come nel resto del paese.
L’annuncio, dopo mesi di rinvii, doveva essere dato lo scorso 16 giugno nella manifestazione “Regione Lazio due anni spesi bene”, dove Zingaretti ha presenziato sotto la pioggia insieme al consigliere regionale Massimiliano Valeriani (18mila voti alle regionali del 2013), che nelle intenzioni del governatore sarà il suo uomo forte di questa nuova area, una costituente di sinistra che al suo interno dovrebbe contenere anche figure del Parlamento. L’iniziativa, alla quale ha partecipato anche il presidente del Pd e commissario di Roma, Matteo Orfini, era stata preparata fin dai minimi dettagli già da un mese prima. Poi però, la nuova ondata dell’inchiesta su “Mafia capitale” , esplosa nei primi giorni di giugno, ha consigliato maggiore prudenza.
L’avviso di garanzia per turbativa d’asta che ha raggiunto Maurizio Venafro, l’ex capo di gabinetto che già si era dimesso lo scorso marzo, era un fatto noto. I rapporti fra Salvatore Buzzi e l’ex capogruppo Pd in regione Marco Vincenzi, no. “Le urla di Zingaretti si sentivano fino alla Cristoforo Colombo – raccontano persone ben informate. Che aggiungono: “Vincenzi (che non è indagato ndr) era un suo fedelissimo sin dai tempi della Provincia e le sue dimissioni sono state un duro colpo per tutto il gruppo. Per questo si è fermato. Allo stesso tempo, però, non volevamo che questa nuova area potesse essere usata da Renzi come alibi per imporre un’accelerata contro Marino nel chiedere le sue dimissioni”.
Perché a conti fatti, insieme a Marino, Zingaretti rimane il maggiore ostacolo per il premier Matteo Renzi nella presa di Roma, soprattutto dopo la relazione dell’ex ministro Fabrizio Barca sullo stato di salute dei circoli Pd, che di fatto ha colpito tutti gli uomini forti di Renzi in città: non solo la fedelissima Patrizia Prestipino, ex assessore provinciale e renziana della prima ora, ma tutti quei “capibastone”, come ha detto Ignazio Marino nel suo intervento alla festa dell’Unità di domenica scorsa, che vogliono la fine anticipata della sua esperienza amministrativa, indispettiti dalla troppa autonomia del sindaco, che sin dal suo insediamento non ha fatto altro che smarcarsi procedendo in maniera autonoma su quasi tutte le scelte, dall’urbanistica ai rifiuti.
Nella capitale, il premier della “rottamazione restauratrice” può contare sul sostegno di quasi tutta la classe dirigente legata ai pezzi forti del partito romano (fra questi Marroni, Bettini, Morassut, fra gli ex ds, e Franceschini, Bonaccorsi e Gasbarra), la quale però non vive certo giornate semplici. Inoltre, quello che di fatto era l’uomo più forte di Renzi all’interno del consiglio comunale, ossia il “proto renziano” Mirko Coratti, dallo scorso 4 giugno si trova agli arresti nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Da qui l’accelerazione di Renzi, a cui il sindaco Marino ha risposto con una inaspettata spregiudicatezza, potendo contare sul sostegno, almeno per ora, di Matto Orfini e sulla non belligeranza di Nicola Zingaretti, con cui in questi due anni non sono certo mancati gli scontri istituzionali (soprattutto sui trasporti e sui fondi europei).
Anche perché, e Renzi lo sa, non è sul piano della capitale che si giocano gli interessi più grandi. Il governatore del Lazio è determinato a portare a termine la sua esperienza in Regione Lazio fino alla fine del mandato (che scade nel 2018). Ma allo stesso modo, attraverso la sua costituente che guarda a sinistra, intende giocarsi la sua partita a livello nazionale all’interno del partito, non più monolitico come sembrava fino a pochi mesi fa, soprattutto dopo le elezioni europee del maggio 2014, quelle del 40%. E il dialogo con il mondo di Pippo Civati, che domenica scorsa proprio a Roma ha presentato con successo il suo nuovo movimento, sembra più che “Possibile”. Anzi è già partito.
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