Partiti e politici

Finita l’era di Mafia Capitale, nel Pd crollano le preferenze

7 Giugno 2016

C’era una volta il capobastone, ora non c’è più. O, se c’è, non conta più come un tempo.“Dopo Mafia Capitale il Pd non è più il partito delle truppe cammellate” aveva detto il commissario Matteo Orfini, commentando la scarsa affluenza delle primarie di centrosinistra. E i dati delle ultime elezioni potrebbero dargli ragione, mettendo una pietra tombale in anticipo sull’esito del ballottaggio del prossimo 19 giugno.

Sono tanti, decine di migliaia, i voti sicuri del Pd su cui Roberto Giachetti, infatti, ha capito di non poter contare rispetto al passato. Non solo gli oltre 6mila voti di Mirko Coratti o i 5 mila e più di Pierpaolo Pedetti e Daniele Ozzimo, tutti e tre coinvolti nell’inchiesta giudiziaria Mafia Capitale. Ma oltre 72 mila preferenze personali, che dal 2013 ad oggi si sono praticamente polverizzate, contribuendo in maniera decisiva al calo del Pd, che in 3 anni ha perso circa 65 mila voti, passando dal 26,26% al 17,20%.

Quello dei voti ottenuti dagli aspiranti consiglieri comunali, crollati verticalmente dopo Mafia Capitale, è il dato che più di tutti segna la fine di un’epoca all’interno del Pd. Certo, il rinnovamento è ancora lontano e i consiglieri che entrerebbero, anche in caso di sconfitta di Giachetti, fanno ancora riferimento ai capicorrente del passato. Ma le preferenze complessive per i consiglieri, che erano state 135.954 nel 2013 quando il Pd prese 267.605 voti, lo scorso 5 giugno, sono diventate 63.571 sui 200.790 voti totali, in pratica meno della metà. Il crollo è notevole e desta preocuppazione in vista del ballottaggio, anche perchè se prima le preferenze dei singoli candidati pesavano sul 50,8% dei voti totali,  questa percentuale si è abbassata al 31,6%. E senza la capacità di mobilitare il territorio, da sempre il suo punto di forza, per il Pd sarà difficile riempire il distacco con Virginia Raggi, potendo contare solo sulle proprie forze.

Anche perchè, contestualmente il Movimento 5 Stelle, rispetto a tre anni fa, ha fatto notevoli progressi, non solo nei voti complessivi, triplicati, ma anche nelle preferenze personali, aumentate  in maniera del tutto proporzionale ai voti della lista. Erano 13.684 nel 2013, quando la lista del M5S prese 130 mila voti circa al Campidoglio (il 12,82%).  Sono diventate 41.694 sui 412.285 complessivi (il 35,38 %). Il rapporto del 10% fra voti di preferenza e voti di lista è rimasto pressochè invariato, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Nel 2013 Daniele Frongia con 1.721 preferenze fu il consigliere più votato del Movimento 5 Stelle, mentre Estella Marino, grazie anche all’omonimia con il candidato sindaco, arrivò prima nel Pd con 9.417 voti, seguita da Mirko Coratti a 6565. Nel 2016, invece, Marcello De Vito, primo della lista del M5S, con i suoi 6.451 voti, supera di oltre mille voti la prima arrivata fa le fila del Pd, Michela di Biase, moglie del ministro Dario Franceschini, ferma a 5186 preferenze, nonostante sia stata “sponsorizzata” da diverse correnti interne. La Di Biase, con gli stessi voti, tre anni fa sarebbe arrivata settima. Oggi, al contrario, è una delle poche sicure di entrare in Campidoglio anche in caso di sconfitta, insieme a qualche reduce delle passate consigliature fra cui Giulio Pelonzi, Marco Palumbo, Valeria Baglio, Ilaria Piccolo, Giulia Tempesta e Orlando Corsetti. Per il rinnovamento, insomma, c’è ancora tempo.

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