Partiti e politici
Vi racconto il mio Pisapia (occhio perché è un osso)
Un atteggiamento che è anche stile di vita: non dare mai a nessuno la sicurezza di averti catturato. Più della riconosciuta autonomia di giudizio, che in fondo è la parte meno faticosa, mi appare questa la caratteristica migliore di Giuliano Pisapia. Almeno per la conoscenza che ne ho avuto in questi anni. È un osso, come i compagni del Milan chiamavano Donadoni. Per molti non è proprio un simpaticone, a me sta grandemente simpatico perchè riesce a imbarazzarsi, a diventare rosso, e quelli veri di potere hanno il pallore incastonato. Gli piace sorridere della vita, ricordare gli amici, non dimenticare la funzione sociale del suo vero mestiere, che è quello dell’avvocato. Grandi clienti importanti e pagatori, ma altrettanti squattrinati e dunque a gratuito patrocinio sempre che un principio alto valga il suo impegno (mi ha sempre fatto credere che sarei potuto rientrare in questa seconda categoria).
A proposito di clienti importanti e pagatori. Uno tra questi, uno dei grandi, è l’ingegner De Benedetti. Un giorno, a margine di una trasmissione tv, si era in amabile chiacchiera di amici, lui ed io soli per intenderci, si parlava di vita e delle sue sfumature. Di mestieri come il suo, che poi era anche quello del mio adorato papà, e di parcelle, forse la parte più delicata di un rapporto di lavoro. Mi raccontò del suo con l’Ingenere, aveva un sorriso sornione e ironico. «Vedi Michele, ogni volta che gli mando una parcella c’è un cerimoniale a cui non si sfugge. Lui la riceve, la esamina attentamente, poi mi chiama: “La cerca l’ingegner De Benedetti”, mi avverte la segretaria di studio e io so già dove si andrà a parare. “Avvocato buongiorno, come sta?”, poi due parole sulle generali per arrivare al dunque. “Avvocato, ma ho visto la parcella, cosa è successo?” Insomma, per De Benedetti la parcella era sempre un evento inaspettato, credendola sempre molto al di sopra di quel che lui avrebbe mai potuto immaginare. Io provavo a spiegare ogni volta, entrando nei particolari di cause anche molto complesse e sapendo che dalla mia avevo la più perfetta buona fede. Quella parcella era assolutamente attenta a un fattore decisivo: l’essere lui un cliente a cui mi legava uno straordinario rapporto e dunque meritevole della massima attenzione anche economica. Ma tutto ciò non cambiava le cose, ogni volte era una telefonata sofferente. Allora decisi di tirargli uno “scherzetto”, che naturalmente aveva una sua funzione pedagogica. Alla fine di un lavoro complesso svolto per lui, feci stilare la parcella secondo il nostro tabellario dell’Ordine degli Avvocati, se vogliamo un riferimento inoppugnabile. E la inviai. Aspettai serenamente la sua telefonata, che regolarmente arrivò. Quella volta lo sentii davvero inquietato, non si capacitava di come quella parcella potesse volare così alto, ben più alto di tutte le altre occasioni. Me lo disse senza tante cerimonie. Aspettai che finisse, poi gli semplicemente gli feci osservare: “Vede Ingegnere, quella che ha sotto gli occhi è la parcella ricavata esattamente dal nostro tabellario di categoria. Non ci possono essere fraintendimenti nè interpretazioni. Ecco. Ora, lei la abbatta del cinquanta per cento e questa è la parcella dell’avvocato Pisapia”. Da quel momento, come per incanto, le telefonate del giorno dopo-parcella cessarono».
Questo episodio testimonia di una predisposizione mentale di Giuliano Pisapia. Evitare lo scontro, finchè è possibile naturalmente. Abbattere i muri, come ha spesso detto in questo tempo. Arrivare a una composizione virtuosa dei conflitti. Se l’impresa è riuscita con l’ingegner De Benedetti, soggetto di una qualche complessità, possibile che non riesca con il variegato mondo della sinistra? In molti ci sono rimasti male per il suo annuncio dell’altro giorno, quando ha confermato che non si candiderà non aspirando a poltrone, ha già dato per un paio di legislature e quello resta. Anche in questo caso, poco di nuovo. L’avvocato ha una sua naturale claustrofobia per l’inevitabile rito della politica che intende cristallizzarti i movimenti, farti suo. Appena manca l’aria, Pisapia si sottrae. Tutte le volte, c’è qualcosa di inspiegabile: ma come, hai il piatto in mano e lascia? È accaduto così anche per il secondo mandato da sindaco, stessa, stessa, cosa. Ma l’Inspiegabile è la sua forza. Si tratta di capire se e come un atteggiamento di questo genere può sconfinare in un pericoloso eccesso di autocertificazione estetica, una sorta di orgoglio “inspiegabile”. È il fattore Pisapia.
Ecco, il fattore Pisapia. Non proprio una bagattella. Si è parlato molto, moltissimo di Macron e della sua impresa eccezionale. Quel che accadde a Milano nell’avventura che lo portò a sindaco ha una radice comune, con le evidenti differenze del caso. Primo tratto comune: la non appartenenza. Non appartenere a nessuno, ma ognuno coi suoi saldi principi. Quelli di Pisapia ben dentro una certa sinistra solidale e di lavoro, ma evidentemente votata al riformismo (il voto Sì al referendum del 4 dicembre che gli viene tanto contestato ne è la prova migliore). Del resto quel tratto solidale e riformista gli è stato riconosciuto dai mondi milanesi che poi spostarono l’asse, i moderati e quei perdigiorno dei cosiddetti salotti. Pisapia in città aveva una sua storia, il suo grande padre ha lasciato una traccia enorme. Quando lessi un semplice lancio di agenzia in cui lanciava la sua candidatura per Milano gli telefonai. «Giuliano ho letto, ma che è successo? “Nulla di che” rispose. “Ho intravisto una strada possibile, mi pare che ci sia una grande vuoto di contenuti, ho deciso di provare”. Ma prima hai sentito Vendola? No, assolutamente».
Questo giro è molto più complesso. Si tratta di mettere insieme idee e persone su quelle idee. Si votasse domani, non voterei Giuliano Pisapia. Non voterei, mi asterrei come da molti anni in qui. Non so nulla nè sulle idee nè sulle persone. Anzi, sulle persone sì. E quelle che ronzano attorno al cavallo migliore non sono per nulla affidabili. Aspetto la foto di gruppo. Aspetto le persone di Giuliano Pisapia, i dieci riconoscibili della prima fila. Non mi interessano quelli “vicino a lui” di cui parlano i giornali. Mi interessano le persone che deciderà di mostrare a possibili cittadini-elettori. Dovranno avere pochi ma decisivi requisiti: avere un lavoro serio, una sensibilità sociale acclarata, anche quel legittimo senso di smarrimento per la politica attiva che è proprio delle persone genuine (ma non ingenue), persone dal tratto gentile e competente, lo sguardo fiero. Non pieghevoli come le sdraio degli stabilimenti.
Adesso faccia lei, avvocato Pisapia. Ci rivediamo in aula (speriamo di no) o quella domenica al seggio (speriamo di sì ma non butta benissimo).
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