Partiti e politici

Sulla cosiddetta “democrazia diretta” dei grillini

1 Marzo 2016

Quello della democrazia diretta è un concetto oggi forsennatamente brandito da variopinti capipopolo totalmente digiuni di ogni sapere politico e che pure trascinano con sé masse di giovani nonché  un terzo dell’elettorato italiano. E ciò è  da un lato semplicemente spaventoso perché irretisce una massa di ignari e  di “absolute beginners” politici, un po’ meno dall’altro ove si consideri che questo democraticismo estremo è totalmente falso, ossia di facciata,  un trucco. Ma non è  paradossale  la considerazione che l’oltranzismo dei grillini e  la formula “uno vale uno” essendo  una semplice  frode a danno dei più per garantire un potere incontrollato alle oligarchie che governano il MoVimento ci sollevi dalla preoccupazione  di un pericolo reale che le loro confuse asserzioni pur prefigurano?

Non è chiaro se i pensatori del MoVimento  si richiamino a Rousseau ossia al suo democraticismo rigoroso che si rivolta in totalitarismo come ormai è pacifico fra gli studiosi che  hanno letto il filosofo ginevrino dopo l’ubriacatura ideologica degli anni ’70, epoca che inscriveva  il suo pensiero direttamente nel perimetro del democraticismo marxista visto allora come un punto progressivo e non  quello spaventoso preambolo alla “democrazia totalitaria” del cosiddetto socialismo reale in cui  la “sovranità generale” era amministrata dal Politburo in nome e per conto del proletariato.

In ogni caso è bene fare chiarezza  anche sulla cosiddetta democrazia diretta di Rousseau appigliandoci a qualche studio recente sull’Illuminismo. Per schiarirci le idee in tema trascriverò due paginette (pp.58-59)  di “Una rivoluzione della mente. L’illuminismo radicale e le origini intellettuali della democrazia moderna” di Jonathan Israel  (Einaudi  2011) che sembrano scritte proprio per noi, per il nostro confuso quadro politico. (I grassetti sono miei).

«Rifiutando la diretta o “semplice democrazia” come la chiamava Paine, del tipo raccomandato da Rousseau, i primi artefici della rivoluzione filosofica democratica, in Olanda, come in Francia e in Gran Bretagna, cercavano una soluzione convincente al problema di come organizzare una democrazia effettiva e praticabile. Il principale strumento politico individuato era quello della rappresentanza intesa come modo di organizzare democrazie di vasta scala su basi realizzabili e stabili e di democratizzare  le monarchie miste. Un’idea chiaramente delineata da Diderot, d’Holbach e dalla loro “sinagoga” parigina intorno al 1763 per la voce “Représentants” nell’Encycolpédie, da quel momento fortemente presente nel lavoro, tra gli altri, di d’Holbach e Mably. Costituiva anche una delle differenze fondamentali tra quella che si potrebbe chiamare la linea principale dell’ideologia repubblicana radicale europea negli anni sessanta e settanta del Settecento, con la sua istanza per una stampa libera, non soggetta a regole, e il deviazionismo repubblicano di Rousseau, con la sua concezione radicalmente diversa di “volontà generale” e la sua richiesta di una forte censura sulla stampa*. L’idea che la sovranità popolare, essendo assoluta, non potesse essere delegata e che i rappresentanti avrebbero dovuto quindi sempre essere controllati, rigidamente comandati dai costituenti e soggetti a censura, restava infatti una delle dottrine fondamentali di Rousseau.

La concezione di Rousseau si sviluppò in seguito nella retorica rivoluzionaria della “volontà”, del sentimento e dalla sovranità popolare assoluta, che si opponeva all’impulso dell’Illuminismo radicale interno alla Rivoluzione francese, al discorso della “ragione”, come è stato opportunamente chiamato. ** La nozione di Rousseau di una sovranità “assoluta e inalienabile”, qualcosa che non poteva essere “né delegato né rappresentato”, richiede una forte censura della stampa, specialmente per controllare l’influenza dei philosophes modernes che egli accusava di propagare idee su Dio, l’anima, il patriottismo e le donne completamente contrarie a quelle della gente comune. Gli obiettivi politici di Rousseau, di conseguenza, miravano a un programma che i philosophes radicali – d’Holbach, Diderot, Helvétius e Mably, e tutti i più importanti portavoce dei patriotten olandesi – disapprovavano in misura diversa e volevano consapevolmente evitare. D’Holbach e Diderot, inoltre, negavano che il loro modello implicasse qualunque riduzione della libertà individuale rispetto a quella di Rousseau. Sovrana in apparenza, in realtà la gente comune in una democrazia diretta è schiava dei “demagoghi perversi” che sanno come manipolarla e adularla. Nella democrazia diretta la gente spesso non ha una concezione reale di che cosa sia la libertà e il suo governo può essere più rigido di quello del peggiore dei tiranni. La libertà senza la ragione, sosteneva d’Holbach, ha un valore in sé  insufficiente; di conseguenza “la storia della maggior parte delle repubbliche – ammoniva – richiama di contunuo alla mente l’immagine sinistra di nazioni che fanno il bagno nel proprio sangue a causa dell’anarchia”

L’illuminismo radicale, dunque, è definito in parte da una netta, anti rousseauiana preferenza per la democrazia rappresentativa».

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*J. Miller, Rousseau: Dreamer of Democracy, New Haven, 1984, pp- 64, 80, 116-18, 120.

** K.M. Baker, Reason and Revolution: Political Consciousness and Ideological Invention at the End of tre Old Regime, Dordrecht 1991, pp. 79-91.

 

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