Partiti e politici

Noi, socialisti e liberali, per questo civatiani

6 Maggio 2015

Oggi Pippo Civati ha annunciato che lascerà il grupppo parlamentare del Partito Democratico alla Camera, entrerà nel gruppo misto, e uscirà dal PD. Esce dal partito che lo aveva visto protagonista da candidato all’ultimo congresso, e se ne va perché non ha più fiducia in esso e nel governo che questo partito sostiene.
Non è una novità invece che Civati non condividesse molte delle scelte del governo in politica economica e del lavoro, sull’ambiente e sulle riforme istituzionali che hanno portato negli ultimi mesi alla riforma della Costituzione e del Senato, all’approvazione di Sbloccaitalia, Jobsact ed infine Italicum. Civati, lo va dicendo da mesi, sentiva di tradire gli elettori della coalizione Italia Bene Comune grazie ai voti dei quali è stato eletto in parlamento. Ammesso che sarebbe stato rimesso in lista, sarebbe stato in seria difficoltà a fare campagna elettorale per un partito di centrosinistra che ha compiuto certe scelte.
Penso onestamente che sia un fallimento, per tutto il Partito Democratico. In primo luogo del nuovo segretario che non ha voluto o saputo ascoltare le istanze della sua minoranza troppo attento a quelle degli alleati di governo. E che ha svilito e deriso gli oppositori interni (#gufi e #rosiconi anyone?) perché era funzionale al suo storytelling.

Ma anche dell’altra minoranza, che arroccata su rendite di posizioni e logiche vecchie non ha voluto o saputo collaborare con queste forze nuove e, diciamolo, un po’ irriverenti ma sempre corrette e trasparenti.
Sento anche io il peso del fallimento, seguo e sostengo Civati da anni, da ben prima che diventassi attiva durante il congresso del 2013. Civati è il politico che più ha dato voce alle mie idee, quelle idee socialiste e liberali che in Italia faticano così tanto ad affermarsi. Quelle idee che dovrebbero stare al centro di una sinistra moderna e di governo con un atteggiamento laico e rispettoso verso i diritti di tutti, delle istituzioni e anche verso il mercato. Non solo Civati mi rappresentava, ma lo faceva anche nel modo che piace a me, pacato, preparato, mai sguaiato con un sano understatement e molta ironia. Ci tengo inoltre a sottolineare che quando parlo di Civati in realtà mi riferisco anche e soprattutto al gruppo di persone che lui ha saputo attrarre, preparate e competenti sebbene lontane anni luce dalle scaltrezze necessarie a sopravvivere nel palazzo. Se c’è una cosa che ho capito negli ultimi tempi è che in effetti i civatiani vengono riconosciuti come portatori di contenuti e competenze, poi però si fa sempre in un altro modo.

La mozione, che scaturiva da quel gruppo di lavoro, conteneva il merito, la competizione, l’attenzione a chi lavora (in opposizione a chi vive di rendita) e a chi non lavora (i veri poveri), i diritti per tutti, un’idea di sviluppo moderna e sostenibile, la legge elettorale che rende più accountable i parlamentari e un’idea di partito aperto e moderno, ma solido e presente nella vita vera dei cittadini.
Nella stagione delle larghe intese e del “non ci sono alternative” Civati offriva una cultura politica della possibilità e voleva che il PD diventasse il Partito delle opportunità, perché “…la politica esiste se è un mezzo per diffondere il potere e non per requisirlo…”.
La frase di quella mozione che mi porto dentro e che credo rimarrà la mia bussola in qualsiasi attività politica che farò è “…si fanno diventare popolari soluzioni che riteniamo giuste ma che popolari ancora non sono.” Questo simboleggia per me il vivere la politica con alti ideali e spirito di sacrificio, mentre l’opposto (ovvero presentare come giuste scelte perché popolari) sembra aver guidato l’attività di governo negli ultimi anni.
Oggi, più di ieri, Pippo Civati non ha nessuno dietro ma mi auguro che avrà ancora molta gente davanti.

 

[la bellissima foto è di Pier Luigi Altieri @piellea ]

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