Partiti e politici
Ma quanto è di sinistra la Bonino?
Tra gli elettori delusi del Pd si va diffondendo l’idea di “votare per la Bonino” (dicono proprio così: per la Bonino; forse perché, in effetti, è l’unica abbastanza sicura di entrare in Parlamento).
La scelta è del tutto legittima; lascia però un po’ sorpresi che qualcuno la compia “perché il Pd non è abbastanza a sinistra”. Con quella parte politica il programma di Più Europa ha solo pochi elementi in comune, cioè la proposta sull’immigrazione e quelle sull’ambiente e sui diritti civili (che però fuori dall’Italia sono spesso adottate da governi di destra: basti pensare alla legalizzazione della cannabis in alcuni Stati degli USA, al matrimonio egualitario voluto in Gran Bretagna da Cameron, all’eutanasia che nei Paesi Bassi è stata introdotta nel 2002 da un ministro del partito liberale); per il resto, si tratta di un programma liberale e liberista.
Per rendersene conto basta esaminare le proposte della lista radicale in campo economico. La più rilevante è senza dubbio il congelamento della spesa pubblica per cinque anni, unita al taglio delle imposte sui redditi di persone e imprese:
“Il debito pubblico italiano (…) è diventato una zavorra insostenibile per l’economia del paese. Per affrontare il problema proponiamo il congelamento della spesa pubblica in termini nominali per la durata della prossima legislatura insieme a una rimodulazione delle tasse con taglio delle aliquote sui redditi di persone e imprese e riduzione della spesa fiscale: in tal modo si realizzerebbe una redistribuzione di risorse dal pubblico al privato (…) Congelare la spesa nominale significa fissarne un limite invalicabile per cinque anni, il che comporta una riduzione della spesa stessa misurata sul PIL se inflazione e crescita economica sono positive. Occorre quindi tagliare uscite correnti e agevolazioni fiscali per compensare l’aumento inerziale dei costi delle pensioni, intervenendo sulla spesa corrente sulla base delle linee guida degli ex commissari alla spending review“.
Non ci vuole un genio della finanza per capire che è impossibile “coprire” l’aumento inevitabile della spesa pubblica (sanitaria e pensionistica in particolare) con i risparmi generati da una faticosa spending review; il risultato sarà quindi una riduzione delle risorse disponibili e un peggioramento dei servizi pubblici.
D’altra parte, appare poco “socialista” anche la proposta di “una drastica riduzione delle imposte dirette, (…) da perseguire attraverso un abbassamento delle aliquote marginali e medie” da compensare con l’aumento delle imposte indirette (“accorpamento dell’aliquota intermedia dell’IVA con quella più alta“) e con la reintroduzione della tassa sulla prima casa.
Le cose non vanno meglio se si esaminano gli altri punti del programma: vi si trovano la riaffermazione del principio del pareggio di bilancio; le privatizzazioni delle imprese pubbliche e dei servizi pubblici locali (come la fornitura dell’acqua o il trasporto urbano) e il passaggio ai privati della gestione del patrimonio demaniale; il rafforzamento della contrattazione aziendale; il mantenimento del Jobs Act e della legge Fornero sull’età pensionabile. Sembra di rileggere la famosa “Agenda Monti“, ispirata a sua volta dalla lettera della Troika al governo italiano (agosto 2011): nulla a che vedere con la visione delle forze di sinistra, sia italiane che europee.
C’è infine il tema dell’Europa, rivendicato dalla lista radicale nel suo stesso nome: a prima vista questo può sembrare un punto di contatto con la sinistra, ma non lo è. La sinistra intende “democratizzare l’Europa“, superando l’attuale assetto inter-governativo per affidare il potere a un Parlamento Europeo pienamente sovrano; i Radicali puntano invece a una struttura di “federazione leggera“ (seppure con l’elezione diretta del Presidente della Commissione Europea e del Consiglio dell’Unione Europea), in cui gli Stati devolvono all’Unione alcune delle loro funzioni (ricerca scientifica, controllo delle frontiere, difesa, diplomazia…), il metodo di governance economica attuale viene rafforzato (unione bancaria, Fondo Monetario Europeo, ministro europeo delle finanze) e l’Italia deve ambire a sedere al tavolo franco-tedesco come pari tra i pari: tutt’altra cosa dall’aspirazione a una vera democrazia transnazionale.
In definitiva, quindi, “votare la Bonino” significa scegliere un alleato decisamente “di destra” del Partito Democratico. Gli ottimisti forse pensano che saranno le linee programmatiche su immigrazione e diritti civili a entrare in un eventuale programma di coalizione, mentre quelle su economia e fisco verranno lasciate da parte: non c’è però da farsi troppe illusioni, perché sul primo tema Renzi ha già chiarito di preferire la strategia di Minniti, mentre sul secondo saranno gli alleati “popolari” a tirare il freno a mano.
Insomma: per un elettore di sinistra, sostenere “Più Europa” come alternativa al Pd vuol dire “mettere una toppa peggiore del buco”. Che fare allora: turarsi il naso e votare per il partito di Renzi? Astenersi? Scegliere una lista più a sinistra? Ogni opzione ha le sue buone ragioni: l’importante, come sempre, è fare una scelta informata e consapevole.
(immagine dell’ European University Institute)
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