Partiti e politici

L’Unità e De Gregorio che paga i debiti: così funziona la ‘libertà di stampa’…

5 Maggio 2015

Facile parlare di libertà di stampa. Davvero molto facile e interessante. Ognuno, a vario titolo, si è fregiato del titolo tutore di questo principio della democrazia. L’ultimo esempio fragoroso è stato quello, ormai logorato per l’abuso, di Je suis Charlie, in cui in ogni dichiarazione riecheggiava il credo dei novelli pretoriani dell’informazione libera e imparziale, nonché della critica severa e pungente. Tutti hanno sventolato questo vessillo che rende le anime più belle.

Ma oggi è esplosa, letteralmente esplosa, una notizia che mostra i veri problemi che riguardano proprio la sacra e inviolabile – almeno leggendo le dichiarazioni – libertà di stampa. Non servono chissà quali grandissime riforme con l’evocazione di “bavagli e bavaglini”: è già minata da alcuni aspetti giuridici. Il riepilogo dei fatti è semplice: i giornalisti de L’Unità, compresa l’ex direttrice Concita De Gregorio, sono costretti a pagare i debiti della società editrice, finita in liquidazione. A un occhio esterno, dotato di buonsenso, sembrerà un errore. E invece no: è l’applicazione della legge. Un evento che spiega – più di mille convegni – quali sono i problemi basilari del giornalismo italiano.

Quei soldi sono relativi alle cause per diffamazione perse, il cui costo – per l’80% – spetta all’editore, mentre il restante 20% viene suddiviso equamente tra direttore e giornalista. Ma «la responsabilità è in solido», ha sottolineato Concita De Gregorio. Quindi funziona così: la società non può ripagare i creditori (chi ha vinto la causa), i quali possono rivalersi sugli altri soggetti, ossia giornalisti e direttore. Morale della favola: gli autori degli articoli devono pagare di tasca propria una causa persa. Si dirà: beh, è un po’ come la responsabilità civile per i magistrati, se sbagli paghi.

In realtà il problema è diverso per due ragioni: il giornalista è già tenuto a risarcire (il già menzionato 10%) chi vince la causa. Inoltre, il caso specifico presenta una peculiarità che lo ingarbuglia ulteriormente: De Gregorio, nonostante fosse alla guida del quotidiano, non era a conoscenza della cause in corso (sic!), in quanto la segreteria di redazione non l’aveva informata. Probabilmente è stata prodotta una difesa inadeguata, in quanto non concordata dal legale di fiducia della società con il cronista (in possesso dei dettagli della notizia ‘incriminata’).

Un bel patatrac, che svela le dinamiche di gran parte del sistema informativo tricolore. Ora, è bene evitare gazzarre tipo Je Suis Unità, perché non serve la grancassa mediatica e social. Proprio no. E nemmeno voglio tirare in ballo il Pd che dovrebbe dire qualche parolina, visto che – fino a prova contraria – L’Unità è (stato) il giornale di partito e che da soggetto di centrosinistra dovrebbe ergersi a tutela della libertà di informazione. Sarebbe inutile giocare al rimpiattino polemico con i vertici democrat, troppo presi dai litigi sulla legge elettorale per parlare di cose serie.

Il caso-Unità pone comunque una questione forte: l’esigenza della revisione organica di alcune normative, che non devono tutelare una ‘casta’, ma inquadrare il perimetro entro cui muoversi. Anche perché la professione è molto cambiata. Il ragionamento, insomma, deve interessare tutti i partiti, quelli presenti in Parlamento e quelli che sono fuori, per andare in giro a spiegare come funziona davvero l’informazione in Italia.

Perché – sebbene possa sembrare un’affermazione di ‘casta’ – c’è da annotare un fatto: con quale animo un giornalista, di una testata che naviga in cattive acque (e non è un caso raro), può essere tanto temerario da scrivere un articolo scomodo, con il rischio di trovarsi una causa sul groppone, senza avere un’adeguata tutela legale, quindi con il pericolo che debba saldare il conto personalmente? Ma chissà, forse è proprio questo l’obiettivo…

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