Partiti e politici
Bertolaso e Meloni no, Marchini si: Berlusconi non vuole consegnare FI a Salvini
Alla fine non ci sarà una vera scissione. Ma alcuni potrebbero andarsene. Un pezzo di qua e un pezzo di là. Con Matteo Salvini oppure nella galassia centrista guidata da Angelino Alfano. La scena prende una nuova velocità dopo che oggi, a Roma, è stato ufficializzato il ritiro della candidatura di Guido Bertolaso e il contestuale sostegno di Forza Italia ad Alfio Marchini. Seguendo gli avvenimenti delle ultime settimane, e specialmente proprio la vicenda delle candidature a Roma, Forza Italia appare come un partito sempre più lacerato, diviso, spacchettato in gruppi e sottogruppi dove ormai quasi nessuno guarda ad Arcore o a Palazzo Grazioli per avere una linea chiara sul da farsi. Il più delle volte ci si muove in autonomia. La querelle su Guido Bertolaso è stata illuminante sulle bande e i gruppi di potere che dominano il partito azzurro. Innanzitutto quelli che vogliono mantenere ben salda l’alleanza di centrodestra, con Lega e Fratelli d’Italia. E in nome di questa alleanza sono pronti pure a sacrificare delle quote di potere. Giovanni Toti, Paolo Romani, Mariastella Gelmini, Altero Matteoli, Maurizio Gasparri sono i portabandiera del ribattezzato “fronte del nord”, anche se gli ultimi due del nord non sono. Toti e Gelmini in primis sono preoccupati di possibili ripercussioni sulle alleanze locali con il Carroccio. Gli azzurri, non dimentichiamolo, governano con la Lega in Lombardia, Veneto e Liguria (con Toti), più un numero consistente di città e piccoli comuni sopra il Po. Per loro, e quasi tutti gli amministratori locali, prima di tutto bisogna preservare l’alleanza. Anche perché alle Politiche, se l’Italicum non cambierà, si dovrà andare per forza verso un listone unico: Forza Italia ha bisogno della Lega e la Lega di Forza Italia. Poi c’è anche un altro argomento che il “fronte del nord” ha squadernato davanti al Cavaliere: Berlusconi non ha più i voti che aveva prima, il partito si avvia pericolosamente sotto il 10 per cento, per cui non si può più pensare di condurre trattative ancora da una posizione di forza. “Salvini ha più voti di noi e con lui dobbiamo scendere a patti”, ripetono. Ed è proprio questo l’argomento contestato dall’altro fronte, i “lealisti”, ovvero quelli convinti che Berlusconi non debba cedere nulla, nemmeno un metro, di fronte all’irruenza del giovane segretario leghista. “Salvini è come la web economy, è una bolla, si sgonfierà presto. Cedere sulla candidatura Meloni avrebbe significato regalare al leader leghista la leadership del centrodestra nazionale. Da quel momento Berlusconi non conterebbe più nulla”, vanno ripetendo da giorni Antonio Tajani, Nunzia De Girolano, Deborah Bergamini, Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo. La partita di Roma, dunque, è diventata la cartina di tornasole dei rapporti interni del centrodestra, il campo di battaglia dove si sta giocando la partita della leadership tra l’anziano leader ancora saldamente in campo e il giovane rottamatore leghista.
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In mezzo ai due schieramenti c’era poi il “cerchio magico”, composto da Maria Rosaria Rossi, Francesca Pascale, Alessia Ardesi e la new entry Silvia Cirocchi, grande amica della Rossi e portavoce, guarda un po’, di Bertolaso. Sono loro le più vicine al Cavaliere, quelle che di più riescono a captarne gli umori e influenzarne i giudizi. Il “cerchio” sulla questione romana ha contato, e sta contando, parecchio. E’ nota, infatti, la meridionale avversione della Pascale nei confronti di Salvini, che si è scatenata in un botta e risposta rimbalzato da Instagram fino ai titoli dei giornali. Ed è anche grazie al “cerchio” che Berlusconi ha deciso fino a ieri di tenere duro sull’ex capo della protezione civile. “Avanti con Bertolaso, semmai Marchini, ma mai la Meloni”, è il mantra ripetuto dalle “ragazze”, che contano poche truppe sul territorio, ma vantano e fanno pesare la golden share della loro vicinanza al capo. Visto che poi la decisione di ritirare Bertolaso e di convergere su Marchini è arrivata, è facile capire chi abbia vinto e chi abbia perso.
In questo quadro, infine, ci sono i “realisti”, quelli che vorrebbero ancora stare con Berlusconi, ma sanno bene che il suo regno, anche per sopraggiunti limiti di età del sovrano, non potrà durare in eterno. E allora nicchiano, stanno con un fronte ma senza rompere con quell’altro, danno ragione a questo o quello a fasi alterne. Oppure non si esprimono, restano defilati, fanno i pesci in barile, un giorno si dichiarano berluscones integerrimi e il giorno dopo sono pronti a trattare sottobanco col nemico, preoccupati anche dai futuri posti in lista alle amministrative e alle politiche.
Su tutto, innalzando l’asticella, due idee di centrodestra: una moderna e moderata, riformista, laica e liberale, che si rifà alla discesa in campo del 1994 e dovrebbe essere il vero lascito di Berlusconi alla storia politica italiana, e l’altra, quella più estrema, conservatrice, tradizionalista e cattolica, un po’ razzista, lepenista appunto, rappresentata da Meloni e Salvini.
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In tutto ciò, a generare ulteriore confusione, c’è pure “il partito del Nazareno”, ovvero quelli che dentro Forza Italia vedono in Renzi il vero e unico erede naturale di Berlusconi e lavorano per un patto di non belligeranza con il Pd renziano. Anzi di più: per il partito unico. E si adoperano per tenere vivo quel canale che, secondo alcuni, non si è mai interrotto tra Palazzo Grazioli e largo del Nazareno. Il famoso “partito della nazione” di cui i maligni dicono che il primo iscritto sia Berlusconi medesimo. Una fusione tra Pd e Forza Italia più Ncd, Ap, Ala e centristi vari, da Tosi a Fitto, che Pierferdinando Casini, che a Roma sta con Marchini fin dall’inizio, evoca come l’unica strada per la governance del Paese (“Uniamoci e sosteniamo insieme Renzi”, dice l’ex presidente della Camera). Chi si opponeva al disegno vedeva nell’affaire Bertolaso la pistola fumante del complotto. “Berlusconi a Roma vuole fare un favore a Renzi perché teme una legge del governo punitiva verso Mediaset sui diritti tv”, denuncia Salvini. Ma i fan del PN non demordono. “Non c’è alternativa per liberarsi dalla zavorra cattocomunista e da quella destrorsa e razzista”, dicono. Tagliare le ali, direbbero i politologi. Il Cavaliere li ascolta, non dice una parola, sorride sornione e li lascia lavorare nell’ombra, sguinzagliandoli in Parlamento, in Aula e nelle commissioni. Sicuro che tutto questo lavorìo sotterraneo un giorno, forse vicino, tornerà utile.
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