Partiti e politici
Il referendum in Grecia e la sospensione della democrazia (rappresentativa)
Non sono sicuro che indire un referendum per decidere del destino della Grecia sia stato, come molti dicono, un modo per lasciare il cerino acceso nelle mani degli elettori, invece di prendersi la responsabilità di decidere. Non credo che Alexis Tsipras sia stato un Ponzio Pilato che se n’è lavato le mani, credo anzi che la sua decisione, da un punto di vista di tattica politica, sia stata la migliore. Quella che gli consente di uscirne, comunque vada, a testa alta. Se dovesse vincere il ‘no’, nessuna potrà accusarlo di aver forzato la mano. Se dovesse vincere il ‘sì’ – al di là delle dimissioni annunciate – potrà dire di aver lasciato l’ultima parola al popolo greco e di averne rispettato la volontà.
Da un punto di vista di tattica politica, quindi, la decisione del governo guidato da Tsipras è senza ombra di dubbio la migliore. Quella che lo mette al riparo dalle accuse di aver distrutto la Grecia e l’Europa (se si fosse preso la responsabilità del ‘no’) o di aver tradito il mandato di chi lo ha eletto in chiave anti-austerity (se si fosse arreso e avesse accettato le condizioni della Troika).
Il punto, però, è proprio che Alexis Tsipras ha ricevuto un mandato elettorale, chiaro e netto. E affermare che non poteva prendere una decisione così importante perché non ha la maggioranza assoluta dei voti è un errore grossolano: il suo è il governo legittimamente eletto, che ha il diritto e il dovere di assumersi le decisioni, anche le più gravi.
Anzi, soprattutto le più gravi. Altrimenti che cosa c’è la democrazia rappresentativa a fare? Per me, il difetto più grande nella decisione di indire il referendum per decidere se accettare o meno le condizioni di Fmi, Bce e Ue è il modo in cui sminuisce il valore della democrazia rappresentativa. Che si basa proprio sul concetto di mandare dei rappresentanti – quelli che più si avvicinano al nostro pensiero – in Parlamento e da lì, i vincitori, al governo.
Mandiamo loro a rappresentarci non solo perché negli stati-nazione moderni non sarebbe possibile la democrazia diretta, ma anche perché ci affidiamo alle competenze di persone che dovrebbero essere molto più preparate di noi semplici elettori, capaci di prendere decisioni, anche le più difficili. Più la decisione è difficile, più ha senso che decida chi è stato eletto proprio per questo. Noi votiamo le persone di cui ci fidiamo e ci affidiamo alle competenze di chi è stato eletto.
Questo non significa che il referendum non sia uno strumento utile, anzi. È uno strumento fondamentale, quando si tratta di abrogare leggi in vigore, quando si tratta di prendere decisione di tipo etico o sociale (aborto sì, aborto no), quando si tratta di porre le basi stesse di uno stato (repubblica vs monarchia).
Ma si può davvero ricorrere allo strumento del referendum per decidere in materia economico-finanziaria? Si può davvero affidare al popolo la decisione migliore da prendere, quando gli scenari che si possono aprire sono un’enorme incognita, quando le variabili da prendere in considerazione sono molteplici, quando si tratta di argomenti che sono materia specifica per economisti ed esperti (che manco loro, spesso, ci capiscono più di tanto)?
Non è questione di non fidarsi della voce del popolo. Sicuramente, non è questione di non fidarsi della democrazia. È questione di fidarsi della democrazia rappresentativa e del mandato elettorale.
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