Partiti e politici

Il Pd di Renzi e Martina vive in un non-luogo: sapreste dargli una definizione?

7 Marzo 2017

Ho capito molto del nuovo Partito Democratico da un significativo scambio di tweet con il ministro Martina. Il quale ministro Martina nei giorni scorsi è stato scelto da Matteo Renzi come ideale co-condottiero in un’ottica di ticket governativo. Un’idea nient’affatto balzana dell’ex segratario: mollare scenograficamente gli andreottiani del partito, Guerini & C., per coprirsi con la vecchia, gloriosa e mai dimenticata storia comunista e post-comunista. Una cosa di sinistra, alla Moretti. Un richiamo alle origini che nei programmi di Renzi dovrebbe garantire gli scettici di sinistra sulle buone intenzioni del già segretario. La scelta del giovane Martina è valsa al medesimo l’ovvia attenzione dei giornali, per cui nella sua prima intervista al “Corriere” da vice-segretario virtuale, il ministro dell’Agricoltura ha raccontato la sua idea di sinistra (compatibile con quella di Renzi). Gli hanno chiesto di Orlando, del competitor forse più attrezzato politicamente e lui ne ha sottolineato un passaggio: «Mi ha molto colpito il suo richiamo a Bad Godesberg (da uno storico congresso della socialdemocrazia tedesca del ’59). Quel modello è insufficiente per le sfide enormi, sociali e democratiche, che abbiamo davanti».

A questo punto, sollecitato dalla riflessione del ministro, mi sono posto un problema di identità. In un concetto,  in che casella mettere oggi Maurizio Martina, già di formazione post-comunista. L’elemento che mi ha impressionato, infatti, è che il nostro protagonista non riconosce più nulla della sua stessa storia. Non più quella comunista, ovviamente, superata dagli eventi e dalla maturazione personale, ma neppure più quella socialdemocratica, che ancora oggi rappresenta la forma più sincera, appassionata e moderna di sinistra. Ammesso che sia moderna, appunto, e che abbia piena consapevolezza dello sviluppo sociale, scientifico, artistico, del mondo che ci tocca di vivere. A oggi la parola riformismo, probabilmente strapazzata a uso e consumo personale, non si potrebbe declinare se non in quel contesto socialdemocratico. Il problema è che ancora nessuno, in una condizione di grandissima difficoltà sociale, è riuscito a darle moderna forma compiuta, in grado di tamponare se non addirittura di prevenire i fenomeni di disagio universale che abbiamo sotto gli occhi.

Alla fine di questa riflessione, mi sono fatto la domanda-chiave: ma se Martina da giovanissimo post-comunista si è formato negli anni della transizione verso la piena socialdemocrazia, oggi che non riconosce più neppure quella, che cosa è diventato? A furia di spostarsi di lato, il rischio è di non trovare più una casella nella quale riconoscersi (e soprattutto farsi riconoscere). È per questo, come potete leggere, che gli ho mandato il seguente tweet: «Un già comunista come @maumartina nega la socialdemocrazia come visione possibile. Non resta molto, allora, meglio non dirsi più di sinistra».  La sua risposta ha aumentato il mio scetticismo: «Non è negazione @mic_fusco, ma considero oggi insufficiente quel richiamo. Abbiamo bisogno di lavorare su innovazione sociale e democratica».

Ecco dunque il punto. Il punto sono le ultime due righe del tweet, sono quelle che dovrebbero identificare la nuova sinistra. Il luogo, finalmente. Il simbolo. L’evocazione. Ciò che lega gli elettori. Ciò che spinge ad appassionarsi. Il concetto-chiave è dunque: “Innovazione sociale e democratica”. Converrete che non è un concetto così immediato e suggestivo come può essere riformismo o, addirittura, socialdemocrazia. Ma è il concetto di questo tempo, che passa di bocca in bocca come un mantra, che lega tutte le visioni possibili in un unico contenitore: innovazione sociale. La si credeva una pre-condizione, un pre-requisito, al pari dell’onestà per dire, e invece si scopre che è l’innesto nuovo da cui partirà il treno delle riforme e del cambiamento.

Quello che appare abbastanza chiaro e muove a una certa preoccupazione è che il Partito Democratico non ha (più) un luogo. Non ha (più) un simbolo. A richiesta precisa, il Pd non saprebbe dirti dove sta, come sta, e che cosa intende indossare se per caso arriva la fine del mondo. E soprattutto non vuole riconoscere quasi più nulla della sua storia passata, come in una rimozione inflessibile e forzata. Questo, almeno questo, dev’essere un grande tormento per chi ha studiato e ha vissuto la grande storia della sinistra. Pescare in quello stagno è uno sfregio nel tabernacolo di una nuova modernità che non contempla contaminazioni. La parola è solenne, per altri versi orribile: ma questo atteggiamento è negazionismo.

Le chiedo, ministro Martina: questo è un pedaggio inevitabile da pagare a Matteo Renzi?

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