Partiti e politici

house of crap – grazie a dio non siamo americani

10 Ottobre 2016

Grandissima puntata, ieri sera, di “House of Crap”, il nuovo comedy-show americano che sta facendo sghignazzare di gusto il mondo intero.

Una puntata che, da sola, ha provveduto a ribaltare definitivamente cinque luoghi comuni di cui noi italiani, noi soliti italiani sempre pronti a recitare il ruolo della vittima in ogni campo ad eccezione della buona tavola, eravamo fermamente convinti.

1) In America c’e’ un grande partito Repubblicano.

Per anni editorialisti e politologi ci hanno raccontato che negli Stati Uniti la destra conservatrice e’ una cosa molto seria, mica come da noi dove c’e’ (o c’era) Berlusconi, una figura imbarazzante che “soltanto da noi” avrebbe potuto guadagnarsi il centro della scena politica.

Ebbene, ventidue anni dopo la discesa in campo e ventiduemila sorrisini di compatimento e occhiate verso il cielo da parte dell’intellighentia americana dopo, gli USA sono rappresentati da un buzzurro che in TV dice cose che nemmeno Berlusconi nella notte del bunga-bunga, tirando fuori incesti, orge, e chissà cos’altro salterà fuori da qui a novembre.

La sua dialettica politica, poi, si basa esclusivamente su luoghi comuni davanti a cui esiterebbe anche un Calderoli ubriaco in un bar di Varese, senza uno straccio di pezza d’appoggio, mentendo non per calcolo ma per pura, purissima ignoranza.

Eccola qui, la grande tradizione conservatrice degli Stati Uniti, rappresentata da un tizio non imposto dal Cielo o da cause di forza maggiore, ma votato a larga, larghissima maggioranza dagli elettori.

Un tizio al confronto del quale il buon vecchio Silvio appare come un gigante politico.

2) In America c’e’ un grande partito Democratico.

Una legge dello spettacolo dice che ogni grande comico, per esprimersi davvero, ha bisogno di una spalla. E quell’artista della farsa di Trump non poteva avere spalla migliore che in Hillary Clinton.

Venduta dalla sua portentosa macchina propagandistica come una fine oratrice dall’impareggiabile ingegno politico, Hillary e’, in realtà, retorica come un democristiano degli anni ’60: i suoi discorsi si basano su slogan vuoti, identici al celebre “make America great again” della sua controparte, solo meno efficaci.

Il tentativo di mendicare il voto delle donne, che gia’ alle primarie le hanno voltato le spalle sbiadisce nel giro di una lancetta di orologio: basta che Trump le chieda conto di Paula Jones, la ragazza cui Bill Clinton diede 850 mila dollari per ritirare un’accusa di molestie sessuali, ed ecco che Hillary pensa bene di cambiare argomento.

La sua capacita dialettica fa acqua da tutte le parti, non essendo riuscita a ribattere neppure a una delle accuse di Trump (“sostieni le donne, perché stai ancora assieme a tuo marito? Dici che le tasse vanno tagliate, perché non hai fatto nulla in questo senso nei 30 anni che sei stata in politica? Dici che Michelle Obama ti sostiene, la stessa Michelle che 8 anni diceva che eri “una donna cattiva”. Vuoi combattere l’ISIS, ma l’ISIS e’ nato quando tu ti occupavi di politica estera”).

Ma il meglio forse lo offre quando parla di politica internazionale, tema su cui – per citare la Bibbia, ovvero il New York Times – “nessuno e’ più preparato di lei“. Ora: non sappiamo se al New York Times hanno dato un occhio al video che gira su Youtube, dove la Clinton – mentre migliaia di persone ogni giorno muoiono nel Mediterraneo –  ride di gusto della morte di Gaddafi come si trattasse di un gioco, ma forse hanno notato che ieri, alla domanda sull’ISIS, la sua confusa risposta circa la necessita’ di armare i curdi, anzi no, cioè’ forse si, va beh, a morte il Califfo! sembra la risposta di uno studente impreparato di prima liceo quando, non avendo studiato un emerito, prova a  “prenderla larga“.

In attesa che Assange pubblichi altre interessanti email sul suo conto, vederla imbarazzata sul palco col marito Bill che seduto in tribuna tiene gli occhi bassi (forse perché impegnato su Tinder?) la rende il giusto jing per il cotonato jang che le sta di fianco.

3) In America, le Primarie sono un grande strumento di democrazia.

Il problema e’ che l’America politica non e’ questa. Jeb Bush sarebbe stato un candidato migliore di Trump – tipo “anni-luce migliore”  – e qualunque senatore democratico avrebbe un curriculum meno compromesso di quello di Hillary (a proposito di Wikileaks, fantastici i discorsi pronunciati dalla candidata del popolo davanti allo stato maggiore di Goldman Sachs: “nessuno e’ più lontano di me dalla classe media“).

Eppure, questo e’ quello che hanno deciso le Primarie, uno strumento che negli ultimi quindici anni ci siamo affrettati a copiare, scambiandolo per la Pietra Filosofale in grado di sanare tutti i mali delle politica.

La verita’ e’ che le Primarie nell’epoca dello spettacolo integrato, fatta di meme e social network, diventano strumento di pancia, e non più di testa come sono state fino a ieri. E cosi’ finiscono per non essere più una gara basata sulle idee o le diverse visioni del futuro, ma una competizione fine a se stessa dove a vincere sono le apparenze, i re-tweet, gli slogan che poi la gente usa online per randellarsi in testa nei commenti.

Se Trump-Clinton sono i candidati del 2016, allora per il 2020 c’e’ da prepararsi a un Hulk Hogan – Paris Hilton o a un Kim Kardashian – Arthur Fonzarelli.

4) In America i giornalisti sono imparziali. 

Questo mantra, che dagli anni del berlusconismo fino ad oggi e’ stato ripetuto in Italia fino allo sfinimento,  crolla una volta per tutte vedendo il modo in cui i grossi network stanno trattando la campagna elettorale.

Trump, come detto, sarebbe più credibile come sesto fratello Marx che come candidato alla Presidenza. Ma ha vinto le primarie, e come tale ha diritto di competere con le stesse identiche regole valide per la sua controparte.  Eppure bastava guardare l’atteggiamento dei due moderatori di ieri sera per capire come nella realtà cio’ non avvenga, e Trump debba fronteggiare un atteggiamento dei media così ostile ed accanito da farlo risultare simpatico.

I cosiddetti “scoop” sulle sue battute, voci e pettegolezzi sulle sue dichiarazioni dei redditi, presunte “gole profonde” sui suoi contatti con Putin condiscono le prime pagine dei grandi giornali da mesi. Per non parlare degli appelli quotidiani con cui attivisti, intellettuali e maitre-a-penser ammorbano la vita dei loro contatti Facebook dallo scorso agosto, nei quali – al termine di orazioni strappa-lacrime – si finisce sempre per paragonare il cotonato del Queens ad Adolph Hitler e a pronosticare una nuova pulizia etnica se il candidato del GOP dovesse prevalere.

Questo atteggiamento e’ quanto di più lontano ci possa essere da quel minimo di imparzialità’ che la deontologia di ogni giornalista, anche il più apertamente schierato, dovrebbe conservare: Trump e l’inconsistenza della sua inesistente proposta politica dovrebbe essere mostrata per quello che e’, senza il bisogno di trasformarsi in un esercito di Emili Fede pronti a pubblicare qualunque cosa pur di dargli addosso.

Piaccia o non piaccia, centinaia di migliaia di americani si sono identificati in lui e lo hanno indicato come candidato Presidente. Rifiutarsi di trattarlo come tale nuoce alla credibilita’ dell’informazione e non certo a lui, che diventa inesorabilmente più forte – a dispetto dei sondaggi a-la-carte commissionati dagli stessi Emili Fede.

5) In America, i partiti sono due.

Anche qui, per anni abbiamo vissuto nel mito della politica Americana basata su “due grandi partiti”, contrapposta  ai nostri “partitini” che rendevano la vita del Premier di turno un inferno.

Nell’anno di grazia 2016 scopriamo che non e’ così, che i partiti non sono due ma quattro, e che il terzo e’ accreditato addirittura dell’8% – su per giu’ la stessa percentuale con cui Craxi Bettino tenne in scacco l’Italia per un decennio abbondante.

Fa niente che questo terzo, di nome Gary Johnson, sia una specie di hippie avvinazzato, che a domanda “cosa pensa di fare per Aleppo?” risponda “E cosa diamine e’ Aleppo?“,  e che invece di scomparire continui a salire nei sondaggi.

L’importante e’ capire che anche su questo fronte quello che pensavamo fino a ieri si e’ dimostrato falso alla prova dei fatti.

Il 2016, insomma, sta diventando davvero l’anno zero della Storia Americana.

Zero come le possibilita’ che da queste elezioni esca qualcosa di buono per il resto del mondo.

Zero come le chiacchiere e le lezioni politico-morali che da ora in poi noi italiani, noi soliti italiani sempre pronti a far le vittime, dovremo essere pronti ad accettare da qualunque zelante intellettualone a Stelle e Striscie.

P.S. Nella foto, il dibattito di ieri visto in diretta presso il Crown Inn, quartier generale hipster di Crown Heights, Brooklyn. Quando Hillary parla dei curdi, scatta il panico tra la gente in cappello di lana al chiuso e smart-phone d’ordinanza per twittare in diretta battute simpatiche: e chi diavolo sono i curdi? Dopo un attimo di silenzio irrompe una barbigia sapiente: “I curdi sono i turchi del Sud”.

Continuiamo cosi’. Facciamoci del male. 

 

 

 

 

 

 

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