Partiti e politici

Difficile che Prodi jr (Pisapia) ce la possa fare

11 Febbraio 2017

Giuliano Pisapia come Prodi, secondo Gad Lerner: l’ex sindaco di Milano dovrebbe avere il ruolo di Romano come unificatore dell’articolato perimetro del centro-sinistra, dal Pd fino alle frange più radicali, nel tentativo di scalare la montagna del 40% delle prossime elezioni. Tre scommesse in una, e tutte di attuazione parecchio complicata.

La prima scommessa è quella, appunto, di riuscire a diventare il punto di riferimento delle decine di sigle che stanno alla sinistra del Pd: Rifondazione Comunista, Sel, Possibile, Sinistra Italiana, Comunisti Italiani, verdi, forse gli stessi radicali, ciò che resta dell’Italia dei Valori, e altre ancora che ora mi sfuggono. Tutti o quasi dovrebbero confluire sotto un unico cappello, rinunciando ai propri distinguo, ai propri modi di intendere la società, alla propria weltanschauung, con l’obiettivo di diventare una forza politica dotata di un peso elettorale significativo. Non il consueto 3-4% che ha caratterizzato le ultime consultazioni, dagli Arcobaleno alla lista Tsipras, passando per Ingroia, ma qualcosa che arrivi il più vicino possibile alla soglia mitica del 10%, necessaria per contare realmente qualcosa nel panorama politico attuale. Insomma: un Campo Progressista che raddoppi almeno i consensi ottenuti in questi anni.

La seconda scommessa è che questa forza politica possa dialogare efficacemente con il Partito Democratico (con o senza Renzi), che riesca ad entrare in un rapporto dialetticamente produttivo, fatto di un programma unitario, nel senso vero, con un progetto, una visione chiara del tipo di società futura che si ha in mente. Perché quel che manca da anni in quell’area politica è la capacità di mobilitare i cittadini in nome di un disegno intellegibile di quello che si vuole fare e di dove si vuole arrivare. Forse, l’ultimo (o l’unico) che ha fatto battere i cuori per qualcosa di comprensibile ai suoi potenziali elettori di riferimento è stato Walter Veltroni, quando nacque il Pd, quasi dieci anni orsono. Ma sono rimasti soltanto discorsi, ipotesi mai verificate e oltretutto durate lo spazio di un mattino. Alle prime difficoltà, tutto si è dissolto nel nulla, compreso lo stesso primo segretario del Pd, che si è presto allontanato dall’agone politico. E si sa, per generare affiliazione ci vuole tempo, anni di perseveranza. Non è possibile cambiare linea di pensiero ogni paio d’anni, come ha fatto appunto il Partito Democratico. E come non dovrebbe fare questo ipotetico raggruppamento di sinistra.

La terza scommessa, infine, è anche quella più ardua da vincere, e consiste semplicemente nel convincere almeno il 40% degli italiani che questo progetto ha un suo senso, e che si possa perseguire e mantenere costante nel tempo, senza defezioni alle prime difficoltà, come quelle di cui lo stesso Prodi è stato testimone privilegiato, nei suoi due litigiosi governi. I “poveri” elettori potenziali di sinistra e centro-sinistra ne hanno viste tante, in questi ultimi 25 anni, e molti se ne sono andati altrove, o tra i 5 stelle o verso l’astensione, in evidente riluttanza ad entrare ancora a far parte di progetti monchi o velocemente revocati. Se li si vuole recuperare alla causa, lo sforzo per convincerli deve essere forte e chiaro, e non si deve limitare ad una semplice ragione elettorale, per non far cadere l’Italia in mano a Beppe Grillo, o ad una nuova edizione del centro-destra a trazione lepenista.

Queste sono dunque le scommesse che deve affrontare la proposta di Pisapia. E, come appare evidente, sono quasi impossibili da vincere. Punto e a capo.

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