Partiti e politici

Di ballottaggi e altri disastri

21 Giugno 2016

Per analizzare la sconfitta del PD ai ballottaggi ho scelto di seguire alcuni principi banali. Ecco quali.

Il Principio Del Cane Da Portare A Spasso.

Da qualche tempo lo ripeto ad ogni occasione buona: ogni circolo partitico dovrebbe essere dotato di un cane da portare a spasso mattina pomeriggio e sera. Un cane – almeno il mio è così – ti obbliga a interagire con le persone: si mette ad annusare dove non deve, rincorre bambini e persone che hanno la sfortuna di tenere in mano un panino, viene accarezzato da persone sole che non vedono l’ora di attaccare bottone e di raccontarti delle loro paure e delle loro preoccupazioni. Se il PD romano avesse portato a spasso il cane un po’ più spesso, forse, si sarebbe reso conto con anticipo che puntare sulle Olimpiadi nel bel mezzo di una delle più gravi crisi migratorie degli ultimi anni non era proprio un’idea geniale: che forse la preoccupazione delle persone è orientata verso temi più urgenti, più reali. Qualcuno, dal PD romano, ha provato a dirlo anche durante la campagna: ho assistito su Facebook a spiacevoli discussioni in cui chi provava a sollevare dubbi sulle priorità veniva velocemente liquidato come qualcuno che rema contro. Eppure lo ricordo bene, il lontano 2013: se non fosse stato per alcuni esponenti della allora minoranza – quelle belle intelligenze che Renzi all’inizio era riuscito a radunare intorno a sé, come un bravo leader dovrebbe saper fare – magari anche per me votare Bersani sarebbe stato più difficile, e senz’altro avrei avuto motivazioni meno forti per farlo. La dialettica interna, se si occupa di cose serie, può essere fonte di reale ricchezza.

Corollario: L’Area Cani Come Metafora Della Società.

Se si occupa di cose serie, appunto.

L’area cani è uno spaccato di società: anche lì si formano gruppi, vere classi sociali, alcuni padroni di cani di razza si incontrano solo con padroni di cani della stessa razza, e soprattutto: si litiga. Anche di brutto. A me è capitato una volta sola, ero nervosa e un cane ha attaccato la mia senza motivo: quando mi hanno fatto capire che la colpa sarebbe stata della mia non ci ho visto più e ho fatto una mezza scenata. Ma di cose del genere ne capitano tutti i momenti, perché nell’area cani, come nella società, esiste il conflitto. Possiamo sognare una società pacificata, in cui tutti sono buoni e improvvisamente la polizia non serve più, per non parlare degli eserciti. Ma la verità è che la società è conflitto, per forza di cose. Perché in conflitto sono le persone con se stesse, perché ci sono sempre interessi contrastanti, invidie, c’è sempre qualcuno di più bravo e qualcuno di meno bravo, qualcuno che pretende di insegnare agli altri come si sta al mondo e qualcuno che rifiuta di raccogliere la cacca del cane per principio, perché chissenefrega. Il ruolo della politica è quello di creare le condizioni perché i conflitti inevitabili in ogni consesso umano vengano limitati, gestiti, risolti. La politica deve essere sublimazione e possibilità di risoluzione delle tensioni: deve servire a sublimare, appunto, non a creare tensioni ulteriori. Quindi va benissimo usare un linguaggio combattivo per catalizzare i conflitti, ma bisogna stare attenti a non superare il limite: bisogna capire quando si supera la china e anziché catalizzare il conflitto lo si genera, creando le basi per una disgregazione ulteriore della società, ben prima che del partito (sì, caro Renzi, e sì, cari comunicatori del PD: sto parlando a voi). E va benissimo voler combattere battaglie di minoranza, anzi è doveroso: ma dovrebbero essere battaglie che portano alla luce conflitti irrisolti, non dispute in politichese su allucinazioni autoritarie e richiami al trapassato remoto (sì, cara minoranza PD: sto parlando di voi). Se la maggioranza del partito non si accorge del mondo che cambia ben venga qualcuno che dall’interno del partito gridi fortissimo che le persone non sono contente, che qualcosa non sta funzionando, che le categorie tradizionali stanno cambiando, che in molti non si riconoscono in quello che si dice a Roma. Ben venga: e infatti il caso di Milano ha fatto vedere con chiarezza cristallina che dove c’è qualcuno che urla abbastanza forte e abbastanza bene che c’è un problema e il comandante in capo è abbastanza saggio da ascoltarlo le cose vanno molto meglio che altrove, da ogni punto di vista. Ma non è possibile che mentre il mondo va a rotoli, una deputata inglese viene uccisa al grido di Britain First, le città si impoveriscono e si imbruttiscono, l’Austria per poco non finisce in mano a dei pazzi, a Orlando vengono fatti fuori cinquanta gay – no, non è possibile che l’unica preoccupazione di Speranza sia posizionarsi in vista del congresso del 2017. Come on, get real.

Il Principio Del Vescovo Imbolsito.

Quando Renzi era sindaco di Firenze girava la città in bicicletta. Si doveva prendere insulti e complimenti, e siccome l’intuito e l’istinto politico non gli sono mai mancati sapeva tradurre gli insulti e i complimenti in progetti politici. Sapeva che le partite IVA facevano fatica, che i sindacati non stavano funzionando bene, che il malcontento verso la politica cresceva velocemente e bisognava porvi rimedio in fretta. Sapeva che bisognava cambiare lingua per parlare con le persone, che anche il modo di comunicare andava adeguato ai tempi. Quello che sarebbe diventato un pezzo grosso della comunicazione di governo, Francesco Nicodemo, raccontava quotidianamente gli aneddoti di Paolo il barista, per sottolineare l’importanza della vita delle persone normali nelle prese di posizione politiche. Il passaggio al governo – anche al netto di tutte le (brutte) questioni legate alla presa del partito – ha significato un cambiamento netto: non solo della comunicazione, ma anche della percezione della realtà (la comunicazione, essendo comunicazione di qualcosa, con il modo in cui si percepisce la realtà è strettamente legata).

Mi sono chiesta spesso come mai i vescovi fossero (quasi) sempre più imbolsiti e più noiosi dei normali parroci, e credo che in parte la risposta sia semplice: non hanno a che fare con le beghe dei parrocchiani, con l’organizzazione dei campi estivi, con le vecchiette che hanno bisogno di compagnia. Hanno a che fare con problemi diversi: la gestione del “personale”, oltre che di soldi e patrimonio, gli incontri istituzionali, le mani da stringere e le inaugurazioni e le cresime. È chiaro che anche il prete più battagliero faccia la sua bella fatica a non cambiare con il passaggio di ruolo, è fisiologico che sia così. Forse ci si aspettava da Renzi che non cambiasse di una virgola una volta a Roma, dove anziché prendersi gli insulti dei cittadini pranza, immagino, con Guerini e la Serracchiani e Orfini? Dove le sue giornate sono fatte di calcoli parlamentari e di equilibri numerici da non rompere, e dove non può girare se non con la scorta?

Pensare che non cambiasse niente nella sua percezione della realtà era da illusi; ma pretendere che scegliesse antenne migliori per analizzarla, questa realtà, avendo l’umiltà di riconoscere che non si può arrivare ovunque, questo lo si può e lo si deve fare. Se penso velocemente ai miei contatti Facebook, per ogni città “persa” ricordo almeno qualcuno che da tempo gridava nel deserto denunciando situazioni insostenibili. Se l’ho sentito io, che c’era un problema, possibile che non se ne siano accorti al Nazareno? Possibile, certo, perché evidentemente al Nazareno hanno scelto di ascoltare persone diverse. Che avevano torto. La valutazione di chi sia giusto ascoltare non è semplice: ma anziché tirar fuori il lanciafiamme, forse, i dirigenti del PD – Renzi in testa – dovrebbero interrogarsi profondamente su quelli a cui hanno dato retta, sul perché, e su come fare per imparare ad ascoltare, al prossimo giro, le persone giuste. I modi ci sono: tocca a loro trovarli.

Corollario: Della Pazienza Di Cambiare.

Anche se ci piace pensare di essere unici, non è così. Praticamente tutti hanno a che fare con populismo, disaffezione, rifiuto della politica tradizionale. I partiti “storici” sono in crisi (quasi) ovunque e anche se possiamo illuderci di trovare soluzioni semplici – “la sinistra faccia la sinistra!”, come se una tautologia riempibile a piacimento fosse la panacea di tutti i mali – qui di semplice non c’è proprio nulla. Il mondo cambia ad una velocità impressionante: pensiamo davvero che i partiti possano rimanere com’erano prima? Un partito è un organismo autoconservante, che reagisce lentamente ai cambiamenti al suo esterno: è dunque normale che ci sia una forte resistenza ad ogni cambiamento (la noto ogni volta che, anche solo nel mio circolo, dico che dobbiamo trovare una chiave nuova per il tesseramento: le reazioni di norma vanno dallo stranito al perplesso al contrariato). I partiti non sono sempre stati come adesso: non sono esseri immutabili, sono prodotti della storia e come tali sono soggetti a mutazioni e cambiamenti. Ma per capire come saranno – come vorremmo che siano – i partiti in un futuro neanche troppo lontano serve che rispondiamo, prima, ad un’altra domanda: che società dovranno rappresentare i partiti tra dieci anni? Come sarà il mondo? Quali saranno i conflitti da risolvere?

Forse sarebbe il caso che il Partito inizi a lavorare sul serio per capire come fare a uscire dall’impasse. Lavorare sul serio vuol dire prendersi il tempo che serve per capire la realtà, e poi per capire come rappresentarla al meglio. Mettendo in conto che si perderà qualche pezzo, che sarà un processo lungo e non indolore, che le elezioni non avranno risultati scintillanti per un po’. È inutile guardare indietro alla rottamazione non avvenuta – perché ormai è tardi per rottamare fette intere di partito che da Renzi sono state messe in posizioni apicali, per la necessità di garantirsi numeri che non ci sono – ed è inutile pensare che la rottamazione sia stato un errore, come fa il solito Speranza. Che due donne sotto i 40 anni abbiano vinto in città importanti come Roma e Torino forse è frutto dei tempi post-renziani più di quanto noi stessi non vediamo: solo qualche anno fa sembrava impossibile affacciarsi sulla scena politica “seria” sotto i quarant’anni, e per giunta da donna. Ma che la rotta vada aggiustata, e aggiustata bene, mi pare un fatto.

L’unica possibilità che vedo è che qualcuno si occupi del partito per davvero: poco importa se con l’incarico “ufficiale” di segretario o “solo” come plenipotenziario. Si occupi del partito con calma, con pazienza e con umiltà, guidando un processo di analisi e ricerca di soluzioni che sia radicale e profondo. Continuo a pensare che Barca sarebbe stata la persona giusta; chi possa esserlo oggi non lo so, ma certo non Orfini, e certo non l’ennesimo commissario pro forma mandato qua o là per dare parvenza di pulizia. Le persone osservano, e capiscono benissimo se si fa sul serio. Che il commissariamento di Orfini sia stata una manovra finalizzata a equilibri partitici più che non a una reale volontà di cambiamento deve essere stato piuttosto chiaro, ai cittadini di Roma. A nessuno piace essere preso per il naso.

Il Principio Delle Amarene Che Crescono Nonostante Il Gelo.

Sul mio balcone campeggia un albero di ciliegie selvatiche, con cui fantasticavo di fare la marmellata. Quest’anno ha nevicato a inizio maggio: le povere amarene sono state decimate dalla botta di gelo, ma il raccolto, alla fine, è arrivato lo stesso. Stasera coglierò le mie amarenine, poco più grandi di ribes da supermercato, e me le mangerò con il gelato alla panna.

Le botte di gelo arrivano, e certo fanno male. Ma quello che fa più male, in questo momento, è la mancanza di una prospettiva: la sensazione di spaesamento, di non sapere che cosa succederà in futuro, di non conoscere la direzione in cui si sta andando. Qualche anno fa la prospettiva c’era: adesso, tra accordicchi e mediazioni e scelte sbagliate in un momento storico in cui trovare la bussola è la cosa più difficile che esista, molto si è perso.

Se bastasse il lanciafiamme sarebbe tutto più semplice, e invece il lavoro è più faticoso; e comporta anche creare le condizioni perché le amarene buone rimaste – che ci sono, perché di persone valide del PD ce ne sono più di quanto si pensi – non cadano al prossimo calo di temperatura. Solo così si può provare a rimettere insieme un partito secondo regole nuove, secondo parametri adatti al mondo di adesso che guardino anche a quello che succederà.

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