Parlamento
Reportage dal mondo a parte del Parlamento: così nasce un Presidente
Politici noti e politici ignoti. Giornalisti e faccendieri. Addetti stampa ed ex parlamentari che non si sono mai abituati ad essere ex. Comparse abituali e comparse saltuarie. Gli ingredienti del menù di Montecitorio sono più o meno sempre quelli. In giorni come questi, quando si decide sul Presidente della Repubblica, li si vede tutti insieme, alla Camera, e in quantità tanto massicce da saturare l’aria. Da renderla un ambiente specifico: quello che si respira là dentro.
Chissà cosa penserebbe il mitologico paese reale se frequentasse il Palazzo. E cosa penserebbe, il paese reale, se l’avesse frequentato mentre, febbrilmente, si preparava a eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Chissà quale Virgilio potrebbe guidare la casalinga, il metalmeccanico, l’insegnante, l’architetto, il medico, il disoccupato e il barista, nelle pieghe interne della politica italiana.
In questi giorni di politica teatrale, di rappresentazioni di forze e debolezze, pieni e vuoti, il viaggio nel Palazzo della Camera dei deputati è l’esperienza su un pianeta in cui si parla di una cosa sola, in una lingua per iniziati, e che sembra non toccare mai la quotidianità di chi abita fuori, là fuori.
«Renzi si è dimostrato ancora una volta un genio, ha dimostrato una grande abilita politica perché in questo modo ha ricompattato il Pd, presentando un nome su cui non ci si poteva spaccare e anzi capace di attrarre Sel e mettere in difficoltà Berlusconi ed Ncd, su cui rischiava di schiacciarsi». Su questa frase, ad esempio, c’è un sostanziale consenso. Chiedi a destra e a manca, anche dentro al Pd ma lontano dall’ortodossia renziana, e tutti sono d’accordo. Ma cosa vuol dire questa frase? A quante persone davvero interessa? Di tanto in tanto, chi ha il privilegio di poter andare per lavoro dove si fa la politica e il doppio privilegio di poterci andare quando vuole e quindi non spesso, queste domande di senso – diciamo così – le pone. Ai politici, ai colleghi giornalisti. Spesso la risposta è uno sguardo disorientato, e i più disorientati non sono comunque i politici, soprattutto se, anche in un tempo ormai lontano, i voti dovevano prenderseli nel paese.
Solitamente mi guardano come se fossi un ingenuo ragazzo di campagna. I più benevoli, mi guardano invece come se facessi finta di essere un ingenuo ragazzo di campagna, che fa domande provocatorie e un po’ da frescone. Per il resto, stando un paio di giorni là dentro – Transatlantico e dintorni – e proprio mentre l’astro di Mattarella stava per essere lanciato nell’empireo del Quirinale, le parole che si rincorrono nella politica italiana sono di quelle che abbisognano di mediazione culturale. Tra il “dentro” e il “fuori”. «Vedi», ragiona un deputato Pd che viene dalla tradizione post-comunista, «la scelta di Renzi di candidare Mattarella ha anche un altro grande merito: quello di mostrare che un’altra maggioranza politica, su cose importanti, è possibile. Si possono fare cose interessanti con Sel, e senza il bisogno di NCD». Non è un’osservazione banale, intendiamoci, e avrebbe anche delle implicazioni serie. Il punto, il problema, è che i discorsi sul cosa, dentro al Palazzo, finiscono con il morire sempre in bocca. Mentre si parla sempre con attenzione del come e del con chi, quali alleati, quali assi. Il gioco di ruolo, insomma, sembra sempre vincere sullo scopo del gioco.
«Vedi, il film va sempre guardato fino in fondo: ci sono i titoli di coda, che spiegano chi ha scritto la sceneggiatura. Sono cose importanti». Criptico, ma neanche troppo, così parlava Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds, sui divanetti di Montecitorio, in una mattinata di viglia e attesa, quella prima del sabato fatale. Cos’avrà voluto dire? Niente di speciale, o molto di specialissimo, a seconda di quanto si sia addentro alle cose del Palazzo. C’è chi dice che da lì, dal suo mondo di riferimento (quello di Massimo D’Alema) venissero le resistenze – o, meglio, i residui mal di pancia – nei confronti del nome di Sergio Mattarella. Non solo da lì: anche dal giro di Beppe Fioroni, di Piero Fassino (che sperava toccasse a lui), e di qualche giovane turco (nel senso di italiano, turco è un modo di dire). Perché? Eh, boh, vai a capire, e dopo che l’hai capito, vallo a spiegare a chi sta “fuori”.
Fuori dal centrosinistra, che ne pensano di Mattarella? Quel che resta di Silvio si contorce, Alfano è confuso e oscilla tra il sì e il no (ma quasi sempre finisce con un sì, in questi casi, per lui), Casini è nervoso (vedi Fassino, poco sopra), ma sornione. Perché piace o non piace, Mattarella? Perché garantirà bene o male la costituzione? Perchè sarà troppo permissivo (o troppo poco) con il decisionismo di Renzi? La spiegazione migliore, forse, arriva da chi può testimoniare l’opera di moral suasion svolta un pragmatico e influente deputato democratico del nordest. Dove vedeva un capannello di giovani colleghi di partito, si avvicinava e diceva: «Io ve lo dico: Mattarella non scioglie le Camere. Cantone, o chi verrà dopo di un eventuale bruciatura di Mattarella, sì…».
E fuori dal palazzo, fuori dal Pd e da Ncd, invece. Fuori lontano, chi lo sa. Ma fuori più vicino, a venti metri dalla Camera, si vedevano anche scene curiose. Seduti a parlare fitto fitto di politica con lingua incomprensibile, quella che avete letto stigmatizzata se siete arrivati fin qui, mentre c’erano attorno urla e schiamazzi di improbabili gruppuscoli antagonistici, capitava di sentirci chiedere, dal vicino di tavolo: «Ma perché fanno tutto ‘sto casino, oggi? Succede qualcosa di particolare, in parlamento?». Ehm, sì. Cioè, no. Niente che si possa spiegare. Niente che abbiamo voglia di spiegare, forse: siamo iniziati ai misteri, noi, e ce li teniamo tutti per noi.
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