Lavoro

Il modello turistico di Rimini e della riviera romagnola (e forse italiano)

15 Ottobre 2016

Nel contesto delle grosse polemiche alimentate negli ultimi giorni dalla diffusione di alcuni dati relativi all’andamento dell’industria turistica in Italia e dalla contrapposizione netta fra le associazioni degli albergatori e realtà più recenti come per esempio Airbnb, ieri il vescovo di Rimini mons. Lambiasi ha rilanciato l’appello per un diverso approccio alle strategie turistiche della città e della riviera tutta.

Pare inevitabile che – in un territorio dove le sacche di evasione e sommerso esistono probabilmente un po’ più che in alcune altre parti d’Italia – questo intervento alimentasse ancora di più il confronto fra le varie parti in causa. Alcuni fra i rappresentanti della politica e insomma delle amministrazioni coinvolte si sono sentiti “invasi” o chiamati in causa in modo del tutto inopportuno. Eppure il vescovo ha profondamente ragione. Sempre di più, infatti, anche alla luce delle più recenti decisioni di politica fiscale ed economica, è evidente che una cattiva prassi contributiva rischia di mettere una pesante ipoteca alle possibilità di sviluppo locale e in ultima analisi sulle vite delle persone, oltre che sul bene comune. Bene comune che costituiva appunto il cuore dell’intervento del vescovo.

Sia chiaro: i riminesi si sono inventati dal nulla un sistema economico che ha retto le sorti di buona parte della riviera per molti decenni. Dal dopoguerra però, nella provincia di Rimini, il turismo – pur essendo inferiore all’industria o al commercio per dimensioni economiche e occupazionali – ha sempre occupato una quota di popolazione superiore alla media italiana e, viceversa, il settore industriale, pur essendo il primo nella zona, ha occupato un numero inferiore di individui rispetto alla stessa media italiana. Storicamente, è questo uno dei principali fattori che hanno creato il mito del turismo come settore economico più importante; opinione solo parzialmente corrispondente alla realtà che in compenso ha generato nella zona la pericolosa percezione di “dipendere” dal turismo, spingendo troppo spesso alcuni amministratori e alcune istituzioni a chiudere un occhio, talvolta anche entrambi, su pratiche illecite o apertamente illegali.

In modo piuttosto paradossale, di fronte alle rilevazioni statistiche che hanno attribuito all’industria un peso maggiore i rappresentanti degli operatori turistici, il più delle volte, hanno fatto appello all’incidenza del “nero” per sottolineare il mancato conteggio – da parte delle statistiche – di buona parte del contributo fornito all’economia dal loro settore. Ciò che peraltro non è del tutto vero. Eppure il nero, nella zona, incide davvero: ma non sono i dati relativi al peso economico dei diversi settori i primi a esser toccati. Come ho avuto occasione di approfondire in un libro pubblicato ormai diversi anni fa, sono i dati sui redditi imponibili Irpef a risultare piuttosto deludenti, soprattutto se messi a confronto con quelli, nettamente contrastanti, relativi ad alcuni di quegli indici normalmente ritenuti in grado di “testimoniare”, in modo indiretto, il livello “reale” della ricchezza, come per esempio la “spesa delle famiglie per consumi interni”, l’ammontare dei depositi bancari, l’ammontare dei patrimoni delle famiglie, i veicoli intestati pro-capite, i premi pagati alle assicurazioni nel ramo “vita”, il numero di sportelli bancari a disposizione, per un quadro che insomma sostiene ampiamente quanto dichiarato ieri dal vescovo. Il quale ha invocato, per tutta la riviera, un cambiamento di modello di sviluppo, una inversione di tendenza che sia fondata su un turismo più consapevole – artistico e culturale – e dunque capace di abbandonare il modello dell’abbattimento dei costi, un terreno più che fertile per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per l’evasione fiscale e per l’abbandono di ogni responsabilità collettiva. Una sorte che una delle zone italiane a più alto potenziale sociale, imprenditoriale, naturistico e ambientale – e, mi si lasci dire, in definitiva anche umano – davvero non merita.

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