Musica

“Segreti Pop” – La Musicarmata

23 Dicembre 2014

Mi sono sgocciolato fino a tardi sabato sera per il ciclo televisivo “Segreti Pop” la puntata dal titolo “La Musicarmata” a cura del sommo Michele Bovi sui rapporti tra criminalità organizzata e la canzone italiana, oltre che sulla primazia italiana nell’invenzione dei videoclip con i “cinebox”.  Seguiranno altre due serate nei prossimi sabati del 27 dicembre e del 6 gennaio che vedrò certamente.

Altrove ho raccontato della liaison dangereuse tra Mario Merola e la cantante Gloriana con alcuni bei tomi della mia borgata etnea, cui assistetti nelle vesti di giovane precettore dei figli incolpevoli del malavitoso di turno,  per cui non mi ha fatto specie apprendere dei rapporti di amicizia tra il boss Joe Adonis e Dori Ghezzi, tra Tony Renis e la mala newyorchese, tra il povero Pupo che rifiutò spaventato di fare il corriere di droga per i mafiosi e la storia tragica del cantante Rossano che invece ci rimise le penne.

Vorrei ricordare, tanto per stare in tema,  che Fabrizio De André nella pur bella canzone “Don Raffaè” non ha certo dimostrato una forte reiezione morale verso il crimine, ma contornando di suadenti melodie e di musicale rispetto il delinquente camorrista – neanche tanto dissimulato rispetto all’originale di Raffaele Cutolo, oltre che a stilare un ritratto asettico dei costumi italici che vale un saggio di sociologia (il secondino che si rivolge al carcerato per impetrare favori e raccomandazioni) –  in qualche modo se ne manifesta sinistramente succube.   Ciò andava incontro forse al suo codice morale ed espressivo di menestrello vagamente anarchico che trovava ispirazione nell’irridere, per esempio,  il giudice nano con il cuore troppo vicino al buco del c…,  o  a magnificare in una celebre e incauta esternazione a Roccella Jonica nell’agosto del 1998 la mafia, che a differenza delle imprese predatorie del Nord, darebbe lavoro al Sud, “pensiero stupendo” che fa il paio, con quello dell’altrettanto  profondo intellettuale genovese Beppe Grillo per cui la mafia avrebbe la sua “morale”.

E’ vero che l’artista è innocente per definizione; è vero che il Bello  risponde iuxta propria principia solo a se stesso e non al Vero, all’Utile, o al Buono;  è vero che perciò nella rappresentazione artistica non c’è né dolo né colpa; è vero anche che da sempre, quantomeno dai tempi dei “Masnadieri” di Schiller (in cui i rivoluzionari si fanno briganti) che gli artisti condividono con i criminali e tutti i drop out di ogni risma, dai forzati come Vidocq agli zingari, detti bohémiens dai francesi (Baudelaire vi ricomprenderà anche il prete a dir la verità) la loro virulenta e antagonista  – rispetto all’ethos borghese – condizione di marginali o di non integrati; è vero infine che con i cattivi sentimenti si fanno dei buoni versi piuttosto che il contrario, ma quando poi i masnadieri veri ti sequestrano chi ti viene in soccorso se non i giudici e lo Stato tanto irrisi ?

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