Musica
Il mio bando suona il jazz: ecco i progetti finanziati dal ministero
Per chi si occupa di jazz nel nostro scalcagnato stivale, queste settimane offrono argomenti di discussione piuttosto interessanti e divertenti, specie se si ha modo di seguire un po’ il dibattito sui social network.
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Sono settimane in cui si dibatte su referendum “popolari” indetti da riviste e dagli esiti un po’ bizzarri (con musicisti che ricevono migliaia di voti per strumenti che non hanno mai suonato, altri che chiedono su Facebook che almeno qualcuno delle centinaia di votanti per lui si palesi, senza che nemmeno uno si faccia vivo…), in cui si organizzano festival che fanno del “rifiuto” del nome “jazz” una bandiera, con una propaganda che forse potrebbe interessare più sociologi e psicologi che chi si occupa di musica.
Sono soprattutto i giorni in cui il MiBacT ha reso noti gli esiti del bando che il ministro Franceschini ha lanciato lo scorso novembre per “la promozione e il sostegno della musica jazz“, specificando le finalità dell’intervento nel “rafforzamento delle strutture che operano nel settore del jazz, con particolare riferimento al sostegno e alla formazione di giovani talenti, alla realizzazione di punti nazionali di raccordo tra le diverse esperienze territoriali e associative, anche online“.
Esiti che hanno stanno suscitando – come prevedibile – molti commenti e critiche.
Premesso che un’analisi più puntuale potrà essere fatta solo quando i contenuti dei progetti vincitori saranno resi noti nel dettaglio e messi in pratica, qualche riflessione interessante può essere fatta già a caldo, leggendo il decreto che comunica gli esiti del bando.
A ricevere finanziamento dal bando sono 9 progetti, a fronte di altri 99 non ammessi a contributo e questo, a livello del tutto generale, è comunque un segnale preciso (e anche condivisibile) di rifiuto della contribuzione “a pioggia”, così perniciosamente presente nel nostro sistema pubblico e in realtà dannosa sia perché non utile alla crescita dei soggetti, sia perché la relativa esiguità del finanziamento complessivo (500mila euro) l’avrebbe resa strategicamente ancora meno significativa.
I titolari dei progetti vincitori sono l’Associazione Jazz Network di Ravenna per un progetto di carattere educational, Mulab di Torvaianica per un progetto sulle donne, la scuola Saint Louis di Roma con “Italian jazz on the road”, la International Musica Festival Foundation di Roma con “Italian jazz hub”, il Consorzio Piemonte Jazz con “Italian jazz link”, Time in Jazz di Berchidda per il progetto “I luoghi del jazz”, il Teatro Puccini di Firenze per l’Orchestra Nazionale Nuovi Talenti, l’Associazione I-Jazz che raduna molti festival con “The Italian Jazz Network” e Siena Jazz con il progetto “Gioiosi Jazz.it”, per importi che vanno dai 43mila ai 73mila euro.
I primi commenti nei social network sono improntati a un certo (eufemisticamente parlando) scetticismo sul lavoro della commissione giudicatrice.
Ci torneremo presto, ma va notato come una superficiali lettura dei dati rischi di fuorviare da alcune questioni basilari.
Si ironizza molto, ad esempio, sul fatto che Paolo Fresu (con il suo Festival Time in Jazz), da sempre in stretti e mai celati buoni rapporti con il Ministro, abbia ottenuto il finanziamento più alto, magari ignorando il fatto che il progetto in questione prevede la cooperazione di soggetti di diverse regioni (Lecce, Matera, Ancona, Thiene, Barga, Berchidda, Novara) con il sostegno di strutture internazionali.
(E teniamo conto che 70mila euro divisi per 7 strutture sono davvero un’inezia per voler attivare qualcosa di davvero significativo dal punto di vista strategico)
Emerge a una prima lettura la constatazione che ad essere premiate sono state le domande che hanno fatto una certa, per così chiamarla, “massa critica” attorno a alcuni temi che erano centrali nel bando di Franceschini.
Tra l’altro pienamente in linea con il modo con cui il MibacT ha operato nella recentissima riforma del sistema teatrale, che ha premiato chi si accorpava e progettava con determinati numeri, strategia che si può sposare o meno – io trovo abbia più di qualche criticità sia in ambito teatrale che musicale – ma che è comunque “coerente” al disegno ministeriale complessivo.
Il Ministero ragiona principalmente per numeri, per aggregazione e “leggibilità” (in senso ampio) del progetto e ovviamente ha come interlocutori privilegiati quei soggetti con cui ha già relazione e che fanno in un qualche modo “lobby” (termine che in Italia viene sempre inteso in modo mafioso e spregiativo, ma che nelle politiche culturali europee è un requisito essenziale dell’azione di finanziamento).
Ma proseguiamo. Una scorsa alla lunga lista di domande che non sono state accolte ci fornisce più di qualche elemento interessante.
Anche ammesso che tutti i richiedenti fossero in possesso dei requisiti formali e amministrativi – le prime indiscrezioni che trapelano raccontano invece di un’alta percentuale di domande viziate da errori e manchevolezze anche marchiane – balza all’occhio come un grande numero di progetti denunci già dal titolo una sospetta incongruenza rispetto all’oggetto del bando.
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Troviamo così moltissime domande per festival già esistenti, per orchestre e scuole, per workshop, corsi, premi, spesso presentate da soggetti singoli di qualsiasi dimensione e natura (si va da Istituti salesiani al Museo MAXXI, da scuole di musica di provincia a licei scientifici, da comuni a fondazioni, di qualcuno di questi soggetti si stenta anche a trovare traccia online) senza alcun riferimento alla visione di rete in un certo senso suggerita dal bando.
Colpisce quella che a una prima lettura – ma potremmo sbagliarci – suona come la clamorosa “ingenuità” di Umbria Jazz, che non accede al finanziamento per la sua domanda di sostegno ai corsi estivi – attivi da decenni – della Berklee School.
Ma tra le vittime “eccellenti” troviamo anche i progetti presentati dall’associazione dei musicisti Midj e dalla Casa del Jazz, soggetti che erano comunque stati particolarmente attivi nella relazione con il Ministero che ha portato al bando.
Gli elementi sono per il momento davvero insufficienti per farsi un quadro preciso, ma qualche domanda sorge spontanea riguardo allo stato di maturità di chi opera nel settore in Italia.
Perchè non si sfugge a alcune evidenze: o il bando era formulato male (ne riparliamo tra poco) o un grande numero di soggetti sembra non avere inteso la ratio di questo intervento che – pur nella genericità e nella opinabilità di alcune definizioni – forniva comunque dei parametri e non era inteso come strumento per “dare soldi” al jazz italiano così tanto per darli, ma come sostegno a progettualità che rispondessero a detti criteri.
Non si spiega altrimenti come mai qualcuno abbia tentato di farsi finanziare progetti su Frank Sinatra e Billie Holiday, l’ennesima edizione di un piccolo festival, ennesimi corsi di jazz e via dicendo.
Più di qualcuno lamenta che i soldi sono andati sempre ai “soliti noti” (anche con qualche situazione di conflitto d’interesse che magari non suona molto elegante) e c’è certo – come sempre, come dappertutto – un elemento di tipo “politico/relazionale” che fa la sua parte, ma si ha l’impressione che, dati i criteri e le premesse del bando, non ci sia nulla di apertamente e particolarmente “scandaloso” negli esiti.
Quello che sembra emergere – ma vedremo anche gli esiti pratici delle attività finanziate – è che chi ha fatto rete o aveva i numeri e le competenze per presentare dei progetti dotati di una loro sostenibilità (non dimentichiamo che oltre alla valutazione di tipo “qualitativo”, il Ministero affida ai propri funzionari anche una valutazione di tipo formale e amministrativo per evitare di assegnare somme che dopo non possono essere erogate e vanno perdute) ha trovato appoggio, mentre chi ha pensato secondo logiche ormai superate, interpretando il bando solo come una sorta di risorsa a sostegno della propria attività (valida o meno che sia dal punto di vista artistico), si è visto escluso dalle assegnazioni.
Non ne voglio fare qui una questione di merito artistico, né tantomeno difendere in modo aprioristico l’operato del Ministero, ma credo che se si vuole affrontare un argomento con equilibrio, sia giusto partire proprio dalla semplice analisi dei dati a disposizione.
Di certo non si può dire che – pur nelle sue buone intenzioni – il bando sia stato formulato in modo impeccabile (e anche la terminologia lascia spesso a desiderare, come nel caso di definizione di “musica jazzistica italiana” presente sul sito del MibacT), né che tutti gli ambiti operativi individuati siano necessariamente quelli più “urgenti” per il settore.
Obbiettivi e criteri andranno – se, come si spera, l’intervento sarà ripresentato – evidenziati con maggiore chiarezza, per evitare il proliferare di domande difficilmente accoglibili e per leggere con maggiore puntualità le esigenze di uno scenario davvero pieno di problemi e contraddizioni.
Spiace ad esempio che, da quanto si capisce, non si sia trovata la possibilità di destinare dei soldi sia per stimolare la diffusione delle nostre eccellenze nei confronti degli operatori internazionali, sia per facilitare – di conseguenza – la mobilità degli artisti in ambito europeo, sostenendo ad esempio (in tutto o in parte) i costi di viaggio ad artisti che riescano a trovare un numero minimo di date all’estero.
Meriterebbero certamente più attenzione anche le attività – reali, non fittizie o occasionali – di residenzialità creativa, nonché quelle dirette a quell’audience development che è una delle azioni su cui la Comunità Europea punta di più nel prossimo quinquennio (e che in Italia assume dimensioni di assoluta urgenza).
C’è moltissimo da lavorare dal punto di vista dell’inquadramento giuridico, fiscale e previdenziale del jazzista come “lavoratore dello spettacolo” dotato di sue precise caratteristiche. C’è moltissimo da fare per semplificare un apparato burocratico che spesso scoraggia anche gli operatori più volenterosi.
Staremo a vedere.
Terremo gli occhi ben puntati sui progetti finanziati e capiremo meglio eccellenze e criticità di questa azione di finanziamento che, comunque, per la prima volta si rivolge esclusivamente al settore del jazz.
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Di strada da fare ce n’è davvero molta.
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