Musica

Giovanni Lindo Ferretti, dall’Urss ad Atreju

27 Settembre 2015

Diceva un vecchio adagio che non bisognerebbe mai fidarsi troppo di chi è diventato un punk dopo l’adolescenza. Giovanni Lindo Ferretti punk lo è diventato intorno ai trent’anni, dopo aver lavorato come operatore psichiatrico. L’anno cruciale è il 1982: a Berlino nacquero i Cccp – Fedeli alla Linea, una delle esperienze più sconvolgenti (e sconvolte) della musica italiana. Punk filosovietico e musica melodica emiliana, le coordinate dell’assalto erano quelle, tra un liscio e una batteria elettronica lanciata oltre i 100 bpm. Finiti gli anni ’80, finita l’Unione Sovietica, finirono anche loro. Arrivarono i C.S.I. (Il Consorzio Suonatori Indipendenti), supergruppo che ha attraversato gli anni ’90 fino agli inevitabili scazzi interni e alla rinascita sotto un altro nome ancora: i Pgr, Per Grazia Ricevuta. Dischi entrati nella memoria collettiva, parole come pietre da lanciare, concertoni, lo sfizio di essere arrivati una volta primi nella classifica delle vendite (con Tabula Rasa Elettrificata, anno 1997), un viaggio in Mongolia e un’aneddotica così vasta da sfiorare l’inverosimile.

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Poi, con l’arrivo del terzo millennio e l’ascesa di Ratzinger al soglio pontificio, Ferretti è diventato cattolico. Tanto cattolico: di quelli che la messa è in latino o non è, che vanno a prendere la benedizione almeno una volta al giorno e che il papa è davvero la parola di Dio in terra. Molti fan si dissero stupiti dopo l’outing, lui si limitò a dire di essere «tornato a casa». E d’altra parte le varie biografie più o meno ufficiali raccontano di un giovane Ferretti chierichetto. Pare sia stato proprio un prete a dirgli che sapeva cantare, anzi salmodiare, insomma, fare quello che poi l’ha reso un’icona. Passare dal comunismo filosovietico (un po’ per scherzo e un po’ no) al cattolicesimo più intransigente è stato visto da molti come una sorpresa enorme. A ben guardare non è necessariamente così: già ai tempi dei Cccp Ferretti cantava il «Libera Me Domine» (anno domini 1987), e il chitarrista Giorgio Canali continua a ripetere ancora adesso che lui lo conosce da trent’anni e che è sempre stato così, Giovanni Lindo: «Siete voi che vi fate distrarre dal buco nero dei suoi occhi». Amen. I compagni più disillusi si sono limitati a segnalare che il cantante era semplicemente passato dalla chiesa retta dal soviet supremo a quell’altra con sede a Roma.

Tutto vero, però vedere Giovanni Lindo Ferretti esaltato sulle pagine del Foglio (alcuni ricorderanno un mostruoso paginone esegetico firmato da Camillo Langone, titolo: «Il punk del veni creator», era il 2006), editorialista di Avvenire e relatore di un convegno sulla Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo al Meeting di Cl a Rimini ha fatto impressione a moltissimi. Ma se la religiosità è un fatto personale e gli indizi di una sostanziale continuità del Ferretti-pensiero dagli anni ’80 ad oggi sono moltissimi, il discorso politico è un’altra storia. Insomma, si può recedere dal principio che «il personale è politico», ma le dichiarazioni pubbliche di voto sono fatte per essere discusse. Sotto casa sua, in mezzo agli Appennini emiliani, qualcuno aveva scritto «Ferretti: dalle pere a Pera», alludendo a un (questo sì: presunto) passaggio dalla sinistra al centro democristiano. Non si hanno prove, insomma, che Giovanni Lindo abbia mai votato per l’Udc, ma non è questo il punto.

Ecco, nel 2008 Ferretti si dedicò anima e corpo alla campagna elettorale della lista antiabortista di Giuliano Ferrara, con tanto di partecipazione ai comizi e appelli al voto. Un altro colpo al cuore per molti. I più cinici, comunque, hanno rilevato che il direttore del Foglio e l’ex cantante dei Csi hanno in comune la militanza comunista del passato, eppure…

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Nel 2010 Ferretti sganciò la vera bomba: «Ho votato la Lega Nord». Ok, erano elezioni regionali e non politiche, e gli analisti di flussi elettorali hanno ampiamente spiegato come e perché molti (ex?) comunisti emiliani fossero finiti ad ingrossare le schiere del partito di Umberto Bossi. Ferretti, dal canto suo, continuava a parlare di «buongoverno cittadino» che lo aveva portato a votare i mitologici amministratori del Pci negli anni ’70 e ’80 e che ora lui vedeva nella Lega.

Il 2013 fu l’anno della resa definitiva all’evidenza. Ferretti, addirittura in un libro, afferma di aver votato Fratelli d’Italia. Non un rumore dagli ex compagni: Ferretti è ormai un uomo di destra. La destra dura e pura poi, i figli della lupa, eredi di Almirante e della Repubblica Sociale. Quelli. A suggello della sconfortante dichiarazioni cominciarono a uscire foto del cantante in compagnia di Giorgia Meloni: il camerata Ferretti. Il tempo delle giustificazioni era finito, ormai si poteva solo fare ironia: «Il Roipnol fa un casino se mescolato all’alcol», si disse citando un verso di Emilia Paranoica, cavallo di battaglia dei Cccp (ora diventati «Casa Casa Casa Pound», per gli amanti più delusi).

La cronaca degli ultimi giorni ci racconta di un Ferretti finito addirittura ad Atreju, la storica festa dei giovani di destra, nata ai tempi di Alleanza Nazionale. Inequivocabile. Serve a poco poi ricordare che, in fondo, da quelle parti si fece vedere in tempi non sospetti anche il sessantottino Mario Capanna, se poi Giovanni Lindo rilascia interviste che poi vengono titolate con «Gli immigrati? Prima gli italiani» e in cui si parla di «debito» nei confronti dei ragazzi di destra che erano costretti ad andare a sentire i suoi concerti alle feste dell’Unità (!).

Certo, non è da ieri che Giovanni Lindo Ferretti non è più di sinistra. Non tanto in senso politico, quanto in un’ottica di comunità di persone che ha i propri riti, le proprie paturnie e le proprie fissazioni. Oggi lui si trova più a suo agio da un’altra parte, lontana lontana. C’è poco da fare, la separazione si è consumata anche sui palcoscenici: adesso mentre gli ex Csi vanno in giro per l’Italia con Angela Baraldi alla voce (e sono granitici e intensi come ai bei tempi), lui mette in scena spettacoli equestri. Chi gli sta più dietro, a Ferretti? Su Facebook il ‘suo’ bassista Gianni Maroccolo pure si è detto deluso, incredulo, perplesso. Vedere Ferretti in corrispondenza d’amorosi sensi con preti retrogradi e noti fascistoni è un colpo al cuore per tutti.

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Eppure lui l’aveva annunciato. Aveva fatto di tutto per avvertire i fan e gli amici. Anno 1994, il disco si chiama «Ko de Mondo», la canzone «A Tratti». Lui canta: «Non fare di me un idolo, mi brucerò. Se divento un megafono, m’incepperò». Ai concerti tutti quanti urlavano questi i versi verso il cielo. Sembrava una dichiarazione d’indipendenza. E lo era, in fondo. Solo che era indipendenza da tutti: da se stesso, da chi stava vicino, da chi lo seguiva come un profeta. Lester Bangs diceva che, in sostanza, «il punk è fottere il punk». La parabola di Ferretti è una prova in favore di questo assunto. C’era un Ferretti che cantava «Allah è grande, Gheddafi è il suo profeta», o «Produci, consuma, crepa», oppure ancora «I soviet più l’elettricità non fanno il comunismo, anche se un dato di fatto che a Stalingrado non passano». E c’è un Ferretti sul palco con Giorgia Meloni o con Giuliano Ferrara. C’è un idolo che si è bruciato, un megafono che si è inceppato. L’aveva promesso, ha mantenuto la promessa.

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