Milano
Avanguardie educative: la didattica che mette al centro lo studente
Viviamo in tempi in cui i cambiamenti si annunciano, in cui si citano come un sogno le scuole finlandesi degli studenti invariabilmente primi nei punteggi PISA (più un miraggio che una buona pratica), mentre da noi si dibatte sul ruolo dei test Invalsi e la ribellione del corpo docente in un clima di sostanziale resistenza alla cultura del dato.
Il mondo aziendale e la società nel suo complesso domandano a gran voce una radicale trasformazione del modo di fare didattica, per rispondere alla vertigine con cui il progresso tecnologico cambia le nostre vite e, insieme ad esse, anche il mercato del lavoro. La scuola è l’istituzione che, meno di tutte, ha subito trasformazioni nel corso dei secoli: lo ha già detto molto bene Anant Agarwal.
C’è sempre un’aula, c’è sempre un professore e, poi, loro: gli studenti. I veri protagonisti che finiscono un po’ troppo spesso dietro la lavagna (una LIM, eh) nella discussione, nonostante ci si riempia la bocca di parole come istruzione user centered.
Ogni tanto qualcuno parla del metodo Montessori, che ha prodotto casi di successo celebri come quello di Larry Page e Jeff Bezos. E in generale si sottolinea l’importanza di rivedere radicalmente le metodologie didattiche: da una visione prevalentemente nozionistica a un’altra che privilegi le competenze, perché sono quelle che servono, sempre di più, per essere pronti a raccogliere la sfida futura: problem solving, pensiero creativo, spirito critico e capacità di prendere decisioni.
In un contesto di crescente complessità, con il carico cognitivo di un bombardamento continuo di informazioni che mette a dura prova l’attenzione di tutti noi, e le macchine che, sempre di più, sono in grado di sostituire gli esseri umani in lavori ritenuti fino ad oggi al sicuro, serve, e serve farlo subito, investire nella formazione a tutti i livelli.
L’Italia, che ama essere il paese della lamentela e delle passioni tristi, è in realtà un laboratorio di piccole storie virtuose, tra cui in particolare è bello raccontare quella del progetto ‘Avanguardie educative’.
“Avanguardie educative” è un movimento dal basso aperto a tutte le scuole italiane. È nato nell’ottobre 2014 dall’iniziativa di 22 scuole (“scuole fondatrici”) che stanno sperimentando in Italia processi di trasformazione della scuola, in particolare di quel modello trasmissivo che, affermatosi con la società industriale, adesso mostra di non essere più adeguato alla società della conoscenza e agli studenti di oggi” si legge nel documento programmatico.
Dentro questa esperienza germinale, noi raccontiamo in particolare l’esperienza del liceo Levi di San Donato Milanese (una delle scuole protagoniste della sperimentazione) che si è concentrato sulla metodologia del dibattito (Debate, appunto).
Tra i problemi atavici della scuola italiana c’è quello di sradicare l’atteggiamento passivo dello studente che riceve la pappa pronta, che non fa domande, con un docente ex cathedra a fare la sua lezione e lo studente valutato sulla base di quanto è in grado di ripeterla.
Il dibattito è inserito nelle attività curriculari nel mondo anglosassone da diversi anni e comincia a diventare rilevante anche da noi, e ha il merito di andare incontro ad altre parole entrate ormai come un mantra nel lessico familiare della scuola italiana: engagement e user experience.
Così, a novembre 2016 è andato in scena l’esperimento riguardante il referendum costituzionale: la professoressa Daniela Carugno insieme ad un gruppo di colleghi ha coordinato gli studenti mentre discutevano pro e contro del progetto dell’ex ministro Boschi. E allo stesso modo, in occasione dell’iniziativa nazionale La notte del liceo, ci si è ripetuti, con il caso del Parlamento Europeo: nei corridoi dell’istituto sono state replicate le sedi di Bruxelles e Strasburgo, con i ragazzi pronti a dibattere su temi di stretta attualità: la legalizzazione delle droghe leggere, il diritto all’eutanasia, globalizzazione e libero mercato, ma anche il Jobs Act, la regolazione dei flussi migratori e il ruolo di Facebook e Google come strumenti di informazione.
Il debate è un’occasione di crescita e di confronto: lo studente diventa protagonista e produttore di contenuti, con una metodologia che, finalmente, rende i devices tecnologici necessari, strumento didattico perfetto per acquisire informazioni e porle al vaglio di un’analisi critica. Senza l’assillo di una valutazione piatta, il dibattito è anche occasione per costruire dinamiche di gruppo che esaltino il singolo studente e le sue capacità ma, al contempo, il lavoro di gruppo e la cooperazione. Insomma, un raggio di Sole che squarcia quel cielo un po’ uggioso di una scuola italiana sempre vittima dell’inerzia e di un racconto dal finale scontato.
Servono storie come questa, servono esempi concreti che spingano la politica e smuovano definitivamente le acque un po’ impantanate di un mondo non privo delle sue rigidità.
Le prime avvisaglie del nuovo ministro, ahimè, non sembrano delle migliori.
Fedeli alla linea, nonostante la linea Fedeli non sembri esattamente il miglior modo di affrontare il tema spinoso della scuola italiana: mentre il ministro viene giustamente investito dalle critiche riguardanti le nuove modalità di ammissione all’esame di maturità, ci piace raccontare una bella storia, invece. Una storia di innovazione sociale e trasformazione di quella scuola che è buona senza bisogno di una riforma che lo ribadisca nel titolo. È il caso del Liceo Primo Levi ma crediamo che sia quello di tanti altri istituti che, giorno dopo giorno, provano a mettersi in discussione e a cambiare con progetti concreti.
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