Milano
Tra invotabili PD e i forza-leghisti, c’è uno spazio per l’opzione radicale
I Radicali Italiani si presentano alle amministrative a Milano e Roma. Possono essere un’opzione, i Radicali? I Radicali di Marco Pannella senza più quasi Pannella. I Radicali che fanno casino e sul momento nemmeno si capisce perché. Lo si capisce sempre dopo il senso di quel casino: a volte poco dopo – dopo che scoppia Mafia Capitale, dopo che implode Formigoni – a volte molto dopo – quando Pannella giganteggia sulla storia, sebbene sia ancora cronaca e quella cronaca tuttavia non lo registri tra i senatori a vita.
I radicali sono quelli che fanno quello che dicono e dicono quello che pensano, e quello che pensano e dicono e fanno è quello che in nessun altro partito si fa, perché non lo si pensa sebbene invece lo si dica. Specie in campagna elettorale. E questo è il punto: si può in queste elezioni assecondare la solita pantomima propagandistica – faremo, daremo – se quel che c’è da fare e quel che c’è da dare è soprattutto essere? Essere persone con convinzioni prima che ambizioni; essere trasparenti ai limiti del masochismo. E dire no, dirne tanti. Ma dirli sempre in faccia e dirli anche in pubblico.
Ecco, possono essere un’opzione elettorale in queste elezioni amministrative così senza senso eppure con un così tanto bisogno di senso, i Radicali? Vediamo.
A Milano c’è chi non ne può più di Beppe Sala, della sua mediocrità inconsistente, delle persone simbolicamente giuste sul palco delle manifestazioni elettorali democraticamente corrette – e la vecchia Inge e la giovane chissachì e l’amico importante che puntella la storia milanese da quando era nel Pci. Non se ne può più delle dichiarazioni pubbliche di supporto a Beppe incensate dalla Milano che è establishment sotto ogni colore, e qualunque valore. Quella che prima stava di là e adesso invece sta di qua – ma a titolo personale, ché la Compagnia non è partigneria.
A Milano c’è chi, pur riconoscendo il valore dell’uomo, non può votare Stefano Parisi con quella coalizione lì, che al Dal Verme c’era seppure nascosta. C’era il Roberto Formigoni delle firme false in tutto il suo oltraggioso splendore, e c’erano gli ex consiglieri provinciali che la telecamera inquadrava tra le prime file a masticare sguaiatamente e applaudire al manager cosmopolita che personaggi così non li assumerebbe nemmeno come magazzinieri. Ma Parisi, che di suo voti non ne ha, deve farseli dare dalla Lega di Matteo rutto-libero Salvini, e dai Fratelli d’Italia del nazionalista Ignazio La Russa e dalla Forza Italia di una Maria Stella Gelimini che dalla periferia di Brescia è come se non fosse uscita mai. Si può ignorare l’accozzaglia di invotabili e dare fiducia a questo neo Gabriele Albertini raffinato e illuminato che non proclama oscenità anti negher e musulmani, che dice area Expo e vede la California e che giammai a sta gente se la porterebbe a cena con sé? Ecco si può arrivare a scindere il candidato da chi lo candida?
Il leader radicale Marco Cappato – presidente dell’Associazione Luca Coscioni e già consigliere comunale uscente – ha annunciato la propria candidatura, anzi la candidatura di una lista Radicale di cui lui sarà per forza di cose candidato sindaco. Per forza di cose perché le cose che ai radicali milanesi stanno cuore – i 4 referendum di Milano Si Muove (mobilità, scopertura dei Navigli, estensione dell’area C e housing sociale) – nessuno dei candidati mainstream ha ritenuto di doverle accogliere. Non Sala, non Parisi. Giusto Passera ma, con tutto il rispetto, vabbé.
Certo, vista l’esperienza che i Radicali milanesi hanno avuto con Pisapia che ai tempi della campagna elettorale arancione era tutto un uh che figata sti referendum e poi invece giù a boicottarli senza batter ciglio, si potrebbe anche osservare che di accoglienza favorevole da parte dei candidati si potrebbe anche fare a meno, e continuare semmai come hanno sempre fatto i Radicali: andare avanti con le iniziative che trovano riscontro popolare e imporle dal basso alle ignave amministrazioni locali che gestiscono le cose dall’alto. I radicali milanesi, ricordiamo, hanno appena completato la raccolta di firme necessarie per una legge regionale di iniziativa popolare per l’Istituzione del Registro Regionale delle DAT (Disposzioni Anticipate di Trattamento, o Testamento biologico). Un sacco di firme di cittadini lombardi a cui evidentemente questa causa sta a cuore.
A Milano, l’opzione a Sala e Parisi (e Passera) c’è: è l’opzione Radicale.
A Roma, la cosa è più lineare: ci sarà una lista radicale a supporto di Roberto Giachetti – Giachetti, il radicale del Pd. E qui la scelta non è facilissima – appoggiare il Pd? – ma certo non insensata. A quelli che col Pd romano nemmeno sotto tortura e che i grillini maddai, Riccado Magi (segretario di Radicali Italiani) e Alessandro Capriccioli (segretario di Radicali Roma) offrono un’opzione che nemmeno qui è solo un marchio-una garanzia. Magi, già consigliere comunale con Ignazio Marino, è quello che aveva fiutato Mafia Capitale prima che diventasse Mafia Capitale, e non per doti divinatorie ma semplicemente guardando i bilanci, le gare (che non c’erano), gli appalti su assegnazione diretta ed a cifre spropositate per gestire alloggi dei rom manco fossero hotel cinque stelle, e notando la illegalità delle procedure amministrative. Cose che vede chiunque voglia vedere e, dopo averle viste, abbia anche voglia di denunciarle, attivarsi per fermarle prima che, come è ovvio che avvenga, ci pensino le guardie.
I radicali romani, gli stessi di cui sopra, sono poi anche i promotori del referendum sulle Olimpiadi del 2024. A cosa serve questo referendum? A tenere un dibattito pubblico, a informare i cittadini che poi saranno liberi di decidere se dire ok, vogliamo indebitarci perché pensiamo che le Olimpiadi per Roma possano esser una cosa buona e giusta oppure se no, non vogliamo indebitarci perché non pensiamo che le Olimpiadi possano portare a Roma il buono di cui Roma ha invece sostanziale bisogno. E non è la pubblicità sul modello Expo – che fa guadagnare copertine di magazine internazionali ma lascia buchi di bilancio – che serve a Roma.
Dunque anche a Roma c’è un’opzione al Pd, ai grillini, ai fratellini d’Italia e alla Protezione Civile: l’opzione Radicale. Uno può dire: okkey ma tanto vincono quegli altri. Vero, ma quando quell’altro vince e si trova dei Radicali in consiglio comunale (o, come potrebbe avvenire a Roma, in giunta) ha oggettive difficoltà a non fare quello che ha detto, o fare in silenzio quello che invece non ha detto perché appunto indicibile.
L’opzione Radicale in fondo è una scelta ovvia, talmente ovvia che a volte si rischia di non prenderla nemmeno in considerazione così storditi come siamo dalla insensata, rumorosa paraculaggine che ci ostiniamo ancora a chiamare politica. Però proprio in queste elezioni amministrative così prive di senso ma così tanto bisognose di trovarne uno, quella Radicale può forse essere considerata l’unica opzione.
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