Milano

#primariemilano: la vera storia di Pierfrancesco Majorino

4 Febbraio 2016

“L’Eterno Giovedì”. Oppure “Dopo i lampi vengono gli abeti” .  O ancora “Maledetto Amore Mio”.

Se nessuno di questi titoli vi dice nulla, non siete buoni osservatori: dalla Belle Aurore alla Santeria, a Milano per ogni tavolino che balla c’e’ sempre un libro di Pierfrancesco Majorino sotto la gamba zoppa.

Quarantatre anni, chi lo conosce bene dice di lui che è

una persona disponibile perché sa mettere il cellulare da parte, quando va messo da parte”. In realtà, chi lo conosce meglio sa che la verità viene da lontano: non si tratta di disponibilità, quanto del suo essere negato per tutto ciò che ha a che fare con l’informatica. Infatti è proprio in informatica che a scuola veniva rimandato.

A quei tempi Piermajo era uno studente del mitologico ITSOS di via Pace. Chi abbia frequentato le manifestazioni studentesche nella Milano degli anni ‘90, l’ITSOS di via Pace se lo ricorda bene: quando c’era da far casino sul serio, quelli dei licei classici del centro mandavano avanti quelli dell’ITSOS, che non si facevano pregare. I problemi se li beccavano loro, e gli studenti dei licei potevano tornare a casa in tempo per il pranzo lasciato dalla filippina.

Sono questi, insomma, gli anni in cui Majo vede applicato su altri  un meccanismo  che poi sperimenterà lui stesso, quasi vent’anni dopo: quello del capro espiatorio.

La prima esperienza politica diretta e’ del 1997.

Un giovane Majo si candida con un volantino pieghevole (in seguito sequestrato e oggi introvabile, se non su Ebay dove raggiunge quotazioni folli) il cui slogan all’esterno e’ “HAI MAI PROVATO UN MAJORINO?” seguito da un “MMMHH….BUONO!!!” all’interno.

Resosi conto della reale portata del gesto, tenta di farla finita: prova a soffocarsi con un sacco di farina nel retro della pizzeria Spontini.

Salvato per un pelo da un aiuto pizzaiolo scappato dall’Albania di Berisha, sul suo baffo sono ancora visibili i segni del terribile gesto.

Emarginato dagli amici dell’Unione degli Studenti, che ormai gli riservano solo coppini e punte di compasso nella schiena, Pierfrancesco si da’ alla vita di strada. Vive presso il dormitoio di viale Ortles e sarà questo il periodo da cui deriverà il futuro impegno per chi è rimasto indietro.

Viene salvato dal Ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco: la storia di quel giovane e del suo terribile slogan la commuove, tanto che lo assume come consigliere.

Per il Ministro si rivela una mossa eccezionale: Pierfrancesco suggerisce degli slogan, che lei passa ai collaboratori dicendo di scrivere l’esatto contrario. In breve, la sua comunicazione viene notata e premiata da numerose facoltà di Scienze Politiche americane.

Nel frattempo sono cominciati gli anni di Albertini, anni in cui i Democratici di Sinistra, a Milano, hanno tutti insieme gli stessi voti che ha oggi Iannetta. Complice un’ondata di influenza, un giorno Majorino si ritrova da solo a una riunione: si auto-elegge coordinatore milanese.  Ci prende gusto: pochi anni dopo, in vista di un’altra riunione, produce dei falsi coupon per ricevere una salamella gratuita fuori da un concerto di Manu Chao al Forum di Assago. L’intera classe dirigente milanese dei DS abbocca: l’astuto Pierfrancesco si auto-elegge segretario cittadino.

Purtroppo per lui, quella falsa salamella, quell’acquolina sprecata, quell’attesa di cipolla e majonese tramutatasi in vana attesa, parte della sinistra milanese a Majorino non la perdonerà mai.

Intanto e’ arrivata la Moratti, e visto il successo della candidatura a Expo di Milano, tutti sono sicuri starà a Palazzo Marino per due mandati: Majorino è allora vittima della terribile “Operazione Bolivia”.

Un complotto vuole eleggerlo capogruppo a Palazzo Marino per il neonato PD, in un momento in cui i voti del PD sono pari agli ascolti del monoscopio su Rai Tre alle cinque del mattino.

Grazie a una soffiata del suo amico Cornelli, Pierfrancesco scopre in tempo la macchinazione, e per salvarsi organizza una contromossa con l’editore Dalai. Piermajo scriverà un romanzo, Dalai lo pubblicherà e il libro sarà talmente brutto che una rivolta popolare costringerà Majorino a riparare in Svizzera, rendendolo ineleggibile.

Ma durante una riunione di partito rimasta storica, Dalai si rivela far parte anche lui dell’operazione Bolivia. Il libro viene recensito su Repubblica e la rivolta non scoppia – benchè tutte le copie tranne due (entrambe comprate da Majorino stesso) rimangano invendute.

Per quel libro Dalai rischia il fallimento, ma lo scopo è raggiunto: Majorino è capo-gruppo del PD.

Da li segue una nuova, terribile fase. Il suo romanzo “Togliendo il dolore dagli occhi” (“i nostri, dopo averlo letto” come ha scritto qualcuno) è un disperato grido di dolore personale.

Il massimo lo raggiunge quando i quadri del partito gli impongono di trovare un candidato che “possa aggregare e non dividere” per rubare voti al centro-destra. Lui trova Stefano Boeri, e la mattina dopo si trova sotto casa i militanti che, a migliaia, insieme agli stessi quadri del partito, gli fanno una pernacchia (fatto a cui lui si ispirerà per scrivere la tragedia ibseniana in quattro atti “il Pernacchione”).

E’ fatta: l’onta della salamella e’ stata vendicata. O almeno così credono  i  nemici. Perche’ Piermajo alle elezioni prende 2,721 preferenze, che lo proiettano all’Assessorato alle Politiche Sociali.

Nella sua nuova veste di “solo contro tutti”, polemizza contro bersagli sempre più grossi: prima Carmela Rozza, poi il Sindaco Pisapia poi addirittura Matteo Renzi.

A luglio è in macchina diretto a Vinovo, vuole polemizzare con Marotta per la cessione di Tevez. E in un autogrill dalle parti di Pero, proprio davanti a Expo, la sua vita cambia di nuovo. Mentre mangia un panino “Dolomiti”  – come le montagne che ama – vede Barije, l’albanese che gli salvò la vita da Spontini. Barije ora non traffica più con la farina: vende telefoni rubati.  Quando vede il Majo lo riconosce, i due si abbracciano: c’è grande affetto, ma questo non impedisce a Barije di ciulargli tutto, compresi i lacci delle scarpe.

Pierfrancesco torna in Corso Lodi a piedi nudi, con trentacinque gradi. In tangenziale arriva l’illuminazione: piange di gioia. Vuole battersi per una Milano più giusta, una Milano dove Barije – quell’uomo un tempo mite che lo aveva salvato – per campare possa continuare a occuparsi solo di farina e lasciargli perlomeno i lacci.

Il resto è storia dei nostri giorni.

Mentre Sala è sostenuto dai poteri forti, Majorino come sostenitori ha le sue due scarpe Superga. Col passare del tempo, stupefatti da un politico di sinistra che dice quello che pensa, in un’epoca in cui ai dirigenti è imposto anche il modo con cui arrotolarsi le maniche della camicia, in parecchi lo cominciano a seguire.

A sinistra è allarme rosso: quattro mesi e mezzo dopo Majorino viene candidata la Balzani e subito dopo lo accusano di essersi candidato per sbarrare la strada alla Balzani.  E’ chiaro che ormai non c’è solo quella salamella: è che loro a prenderlo a schiaffazzi, come fosse un figurante di un film con Bud Spencer, provano proprio gusto. Boeri, nell’ultimo week end prima delle primarie, gli legge una lettera che ha un solo significato: comunque vada, saranno cazzi tuoi.

Eccoli, gli studenti dei licei del centro ora cresciuti, a cercare il capro espiatorio. Ma Majorino tira dritto. Lo deve a Barije, lo deve al rispetto delle teorie sullo spazio-tempo e soprattutto lo deve ai valorosi che lo sostengono e che per tenere alto il morale si sono letti i suoi libri.

Per rispondere alle accuse, dopo tanti anni, si inventa un nuovo volantino. Vuole paragonarsi a quello che secondo lui è un grande simbolo della Sinistra Italiana, sinonimo di onestà in contrapposizione alle troppe menzogne: Mastro Geppetto.

Piergeppetto

Stampa diecimila volantini – come quello che vedete nella foto – e sta per distribuirli. A nulla servono gli appelli dei militanti per dissuaderlo. Ma in un drammatico faccia a faccia al baracchino di Piazzale Lodi, ancora una volta davanti a una salamella, la sua compagna Caterina lo minaccia: o me o i volantini di Geppetto.

Majo desiste, ma l’eco di Geppetto lo si nota nei cartelli gialli usati per la sua campagna, simili a quelli del negozio per bricolage “Io e il Legno” in Largo Murani.

Per Majorino domenica è la resa dei conti. Non sappiamo quale sarà il risultato finale, ma sappiamo per certo che a prescindere da chi sarà il Sindaco, a Milano tavolini e sgabelli continueranno a ballare: e davanti a quell’ingiustizia, davanti a quel disservizio in grado di rovinare il pasto o l’aperitivo a migliaia di cittadini, Pierfrancesco non starà a guardare.

Tornerà ancora al suo scrittoio. Scriverà ancora un altro libro.

A proposito di Geppetto: Pier, in culo alla balena!

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.