Milano

Salvini candidato sindaco: ora Milano e il Pd dimostrino di che pasta son fatti

3 Giugno 2015

Questa storia inizia da lontano. Inizia da ben prima che – è storia di ieri – Matteo Salvini dicesse ai microfoni de La Zanzara che nel 2016, se non ci saranno elezioni nazionali e non ci sarà quindi la possibilità di sfidare Matteo Renzi per il governo del paese, lui sarà in campo per fare il sindaco di Milano. “Naturalmente se i milanesi, attraverso le primarie, dichiareranno di volermi”, ha spiegato il segretario leghista, unico vero vincitore, numeri alla mano della tornata elettorale amministrativa appena archiviata. Ma questa storia, dicevamo, inizia da lontano, da prima, da più indietro nel tempo. Inizia, in fondo, alla fine del Novecento quando il giovane Salvini, con le clark ai piedi, frequentava i centri sociali, cantava De Andrè e Guccini con gli amici, e già a diciassette anni si iscriveva alla Lega Nord. Una costola della sinistra, come diceva D’Alema?

Vai a capire, miliardi di litri d’acqua son passati sotto i ponti, e ormai la Lega di Salvini è, semplicemente, un partito di destra. Archiviati Bossi e Belsito senza troppa fatica; parcheggiato Maroni nel Palazzo della Regione Lombardia; giocato con spregiudicatezza nel campo delle paure degli italiani, danzato con le scarpe chiodate e il bomber sui resti del centrodestra italiano; scommesso quanto basta e rischiato il minimo indispensabile per vincere un paio di partite importanti a braccetto con Berlusconi; fatto tutto questo, Salvini ha lanciato la bomba che in tanti aspettavamo da un po’: per le elezioni comunali del 2016 sarà candidato sindaco a Milano, a meno che Renzi non forzi la mano e non porti il paese a elezioni politiche nello stesso anno. In quel caso, spiega il segretario leghista, non lascerà campo libero a Renzi e sarà in campo a livello nazionale, per sfidarlo.

Difficile dire quale opzione speri davvero il Matteo milanese, cioè Salvini. Se sfidare Renzi a livello nazionale con buone probabilità di sconfitta, o accettra una campagna elettorale nella sua città, Milano, difficile ma non impossibile da conquistare per poi trovarsi ad avere a che fare con la vita difficile del sindaco nell’epoca delle risorse scarse destinate alla finanza locale. Di sicuro, ha buttato la palla nel campo di Renzi. Tra le tante cose che dovrà valutare nel cammino che porta alle prossime elezioni il presidente del consiglio e segretario del Pd dovrà dunque tenere in conto anche l’opzione dichiarata dal suo omonimo avversario. Che, in qualche modo, ha lasciato a Renzi la scelta: sfidarlo direttamente, a livello nazionale, nel 2016, oppure farlo, nello stesso anno ma indirettamente, per la poltrona di primo cittadino nella capitale economica del paese, cioè a Milano?

A Milano, di Salvini, si parla ormai da un po’. Una sua candidatura era nell’aria da un pezzo e le scuole di pensiero erano due. In molti, ragionevolmente, pensavano che il Matteo leghista avrebbe evitato la partita milanese, per dedicarsi a quella nazionale. Altri, come chi scrive, pensavano e dicevano che avrebbe pensato di usare la leva di una candidatura e, semmai, di una vittoria nella capitale lombarda come ulteriore leva di visibilità e affermazione della leadership all’interno del centrodestra, aspettando che ci sia l’occasione per giocare una partita a livello nazionale eventualmente forte dei risultati ottenuti da sindaco. Salvini, da buon paraculo quale è, ha trovato il modo di dare ragione a entrambi e ha lasciato a Renzi il pallino del suo destino. Ha confermato di preferire la partita nazionale, non si è sottratto a quella di Milano, anzi. E la palla insomma, spetta adesso a Milano, al Pd di Matteo Renzi e a quello milanese.

Da queste parti, per molte ragioni, seguiamo la partita milanese con attenzione e affetto superiori alla media. Abbiamo scritto per primi dei dubbi di Pisapia sulla sua ricandidatura, poi concretizzatisi in una rinuncia. Abbiamo raccontato, e continueremo a farlo, i sommovimenti interni al centrosinistra, la prossima candidatura dell’assessore Majorino e quelle, ipotetiche, del deputato Emanuele Fiano o dello zar di Expo Beppe Sala. Ma adesso che c’è Salvini la partita si mostra per quel che è, ed è partita politica e non politicista, di progetti e non tecnocratica. In molti, forse con troppa serenità, giurano che Milano non potrebbe mai e poi mai votare per Salvini – “quel becero, quel razzista” – e che, alla prova dei fatti, la città abituata a descriversi come luce del paese, pur di fronte a tante smentite, non avrebbe tradito. Altri – pessimisti? O solo più accorti? – pensano invece che sì, Salvini può anche vincere quassù, in una città spaccata tra il centro – la proverbiale “Zona 1” – e una periferia sempre più estesa e sempre più sconosciuta alla sua classe dirigente. Avere certezze, in questi casi, significa forse non fare i conti coi tempi che cambiano, e con la realtà che corre veloce, anche se non necessariamente verso sorti progressive. Insomma, se Salvini sarà in campo, a Milano, sarà una cosa seria, e vincere per il centrosinistra milanese non sarà facile.

Per la città che da sempre è laboratorio del cambiamento sociale e politico, e per il partito democratico di Renzi, la sfida sta tutta davanti. Una volta, tanti anni fa, ancora nel pieno del Novecento, successero a Milano cose che forse torneranno utili oggi. Alfredo Reichlin, intellettuale e politico di rango anagraficamente genitore di quanti sono stati rottamati, venne mandato da Enrico Berlinguer a parlare con Craxi. L’obiettivo era riparlare dell’unità della sinistra. Craxi gli disse che rispettava Enrico perché era “una brava persona”, e che però non coglieva il cambiamento del paese come lo coglieva lui, all’alba degli anni Ottanta, da Milano. Da quel rifiuto di alleanza novecentesca sono nate tante cose, sono esplose tante contraddizioni, e di sicuro ha preso il passo un altro paese.
Anche oggi, tempo finale di un vecchio modello di sviluppo, Milano è l’epicentro di un’era nuova, di nuovi modelli di economia e società. Noi, a Gli Stati Generali, ci prendiamo l’impegno di raccontare la città, di entrare nelle pieghe di un vissuto contraddittorio e ricco, come capita alle metropoli contemporanee, che vivono al di là e oltre le proprie istituzioni e i loro grandi e piccoli eventi. La sfida lanciata da Salvini ha però un indubbio merito: chiede a Milano di dire chi è, e a Matteo Renzi e al suo partito di mostrare maturità, competenza, misura, prudenza, coraggio, conoscenza della realtà. Non è una questione di quali alchimie, quali candidati, quali formule, no: il punto è mostrare quanto forte è il senso di futuro, quanto solida è la capacità di costruire fiducia e prospettive, adesso che alle porte dei milanesi ulula la promessa impossibile del passato che fu del ragazzo della Via Gluck. La fortuna stavolta non basta: e va bene così.

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