Milano
Via De Amicis: 40 anni di una foto terribile per Milano e l’Italia
Milano ha sempre pagato un prezzo per tutto, in tutti periodi. Compresi gli anni 70.
La foto più famosa del novecento milanese non è quella dell’inaugurazione della Scala, dopo i bombardamenti, con Toscanini o quella dei partigiani che sfilano in piazza Duomo dopo la liberazione, o ancora quella di qualche capitano di Milan o Inter con la coppa dei campioni tra le mani, ma quella di un minorenne che, a gambe divaricate, spara con la P38 ad altezza uomo in via De Amicis.
L’immagine è quella del giovane con il passamontagna che spara e fu scattata da Paolo Pedrizzetti foto di chi spara in via de amicis.
In Italia non c’era un bel clima e Milano non faceva eccezione, qui nel 1969 ci fu la strage di piazza Fontana e gli anni 70 sono stati quelli dell’odore acre dei lacrimogeni e della morte di Varalli, Zibecchi e Ramelli nel 1975, di Calabresi nel 72 (il 17 maggio) e di molti altri . Gli schieramenti politici erano netti e incattiviti. Con il terrorismo che cominciava a essere un’inquietante presenza.
Erano anni pieni di tensioni sociali e di violenza con scontri quotidiani; la politica non riusciva a dare risposte e le sinistre erano extraparlamentari.
Erano gli anni dell’autonomia, degli scontri con la polizia e tra opposte fazioni politiche, tra i “sambabilini” e i “china”. Con le camionette della celere incassate nel paesaggio cittadino.
Si usciva poco e la nebbia oscurava, insieme alla fuliggine delle caldaie a carbone, le sere d’autunno.
Era la Milano dei quadri grigi, delle luci gialle e dei cortei.
L’esatto contrario delle pennette panna, vodka e gamberetti e dei paninari di, solo, qualche anno dopo.
E’ il 14 maggio del 1977, 40 anni fa esatti, quando via De Amicis diventa la succursale dell’Inferno.
Due giorni prima, a Roma, in circostanze mai chiarite sino in fondo, morì colpita da un proiettile vagante durante gli scontri con le forze dell’ordine, Giorgiana Masi. La giovane militante radicale stava partecipando a un sit in pacifico per celebrare la vittoria nel referendum sul divorzio del 1974, referendum che colpì la classe politica democristiana.
La miccia, cortissima, si autoaccese e subito in tutta Italia ci furono cortei e manifestazioni contro il governo e contro la polizia, rea secondo alcuni di aver sparato sulla folla con pistole non di ordinanza.
Ad alimentare questo sentimento ci furono delle foto che ritraevano poliziotti in borghese con le armi in mano. Cossiga, il ministro dell’interno di allora, non rivelò mai la “verità” su come si svolsero i fatti.
Il corteo di Milano doveva essere pacifico, ma non fu così perché i contingenti degli autonomi erano pronti a scontrarsi. Per questo motivo si sganciarono e attaccarono la polizia, dove per attaccare significava sparare.
Le avanguardie lanciarono le molotov e poi iniziò l’esplosione dei colpi. La linea di fuoco si era alzata al punto che un agente fu ucciso, di Antonio Custra non ci sono foto che lo ricordino, mentre di chi sparava quel giorno si è poi saputo tutto. Giuseppe Memeo, quello col passamontagna, non era stato l’unico a usare il revolver e, infatti, il proiettile che colpì il militare fu scoccato da altri. Molti erano minorenni che addirittura volevano accreditarsi, attraverso le azioni violente, con le organizzazioni terroristiche.
Quel giorno, in quella via con quei colpi, sono iniziate e finite molte storie, tutte tremende.
Lì, come disse Umberto Eco, era finita l’idea della rivoluzione proletaria. Alla protesta pacifica e non violenta era contrapposta l’immagine del cow boy solitario che spara, per uccidere. Il cow boy poi diventerà complice di Cesare Battisti (il terrorista scrittore fuggito in Brasile) con cui commise rapine e omicidi. Peace&Love non c’entravano più nulla.
Li è finita la vita di Antonio Custra che ha lasciato la moglie incinta, come racconta la figlia a Mario Calabresi in un’intervista molto intensa (intervistatore e intervistata sono entrambi figli di vittime del terrorismo). Lì in molti hanno deciso di lasciare il radicalismo per confluire in esperienze varie, dall’ecologismo alle filosofie indiane; altri invece sono caduti nel vortice dell’eroina.
Lì Marco Barbone (che progettò e partecipò all’uccisione di Walter Tobagi) sparava con un fucile .
In molti, e da molti punti di vista (anche fotografici) hanno raccontato quella giornata. Tra questi ci ha colpito la testimonianza di Enrico Mentana che era legato da un sentimento di amicizia con chi quel giorno sparò (sia chiaro senza giustificare nessuno) e con il giudice che condusse l’inchiesta su quei fatti. Erano tre compagni di scuola, Strelher avrebbe detto “vegnu su insema cumpagn di gatt”.
Fu il punto di non ritorno.
L’anno dopo ci fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e altre azioni eclatanti delle Brigate Rosse.
La stagione è stata terribile e le verità non sempre sono completamente emerse, ad esempio è solo dopo molti anni che furono ritrovate altre foto e altri rullini che permisero di fare maggiore chiarezza sull’uccisione del poliziotto.
Quella immagine non è solo memoria visiva ma, purtroppo, è una cicatrice che racconta questa città, che ne scrive la storia.
Milano ha saputo voltare pagina, ma non ha dimenticato (o non dovrebbe dimenticare) i lutti e le sofferenze di quegli anni.
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