Macroeconomia

Stiglitz e Prodi, tra austerity europea e disuguaglianze

9 Ottobre 2016

Un mondo segnato da forti disuguaglianze, in cui “la globalizzazione che avrebbe dovuto generare la crescita non è stata gestita bene” e in cui l’1% della popolazione gestisce le maggiori ricchezze, proprio non va. Se poi “la disuguaglianza è stata una scelta della nostra democrazia che ha creato degli individui più egoisti”, allora va ancora meno. A puntare l’indice sugli squilibri che attraversano la società contemporanea – non una novità a mettere in fila i suoi libri dedicati all’argomento – è Joseph Stiglitz, docente alla ‘Graduate School of Business’ della Columbia University e Premio Nobel dell’Economia nel 2001.

Già alla guida dei consiglieri economici dell’Amministrazione Clinton e coscienza critica verso gli eccessi della Corporate America. Ieri a Bologna – in occasione della Biennale dell’economia cooperativa – a discutere di distorsioni dell’economia mondiale, dell’Europa segnata dall’austerità, della deriva dell’euro – e di quel che ne consegue – con l’economista francese, Jean Paul Fitoussi e l’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea, Romano Prodi. Che, dal canto proprio, a moneta unica e futuro dell’Ue ha dedicato più di un passaggio.

“Oggi – è lo Stiglitz-pensiero – dobbiamo dire che la disuguaglianza è stata una scelta della nostra democrazia: abbiamo creato degli individui più egoisti. Si è pensato – ha sottolineato guardando all’economia americana ma in un paradigma valido per l’intero mondo occidentale – che se ci fosse stata una crescita dall’alto, se si fosse data ricchezza alle classi più elevate, questa sarebbe discesa a cascata verso il basso, verso le altre parti della società. Ma – ha argomentato il Nobel – non è stato così: l’1% della popolazione è più ricco del restante 99%. Gli amministratori delegati” delle grandi società, “guadagnano 300 volte in più rispetto all’operaio medio”. Determinando una distorsione da cui è difficile uscire se persino l’America non è più la terra delle opportunità. Anche lì, ha scandito Stiglitz, ormai, “bisogna scegliere i genitori giusti: nascere nelle famiglie giuste”, ha osservato, apre strade diverse.

Allora, per provare a “cambiare la società” e uscire dal gorgo della disuguaglianza, tocca inerpicarsi su percorsi “alternativi”, ha indicato il docente della Columbia, come “quelli dell’economia cooperativa, alternativi al modello che prevede solo la generazione dei profitti”. Occorre “fare un grande investimento in qualcosa di intangibile”, ha sentenziato, come “solidarietà e giustizia sociale: allora riusciremo a cambiare”.

E di mutamento, a giudizio dell’ex consigliere economico clintoniano, avrebbe un gran bisogno pure il Vecchio Continente. A rischio avvitamento sulla sua moneta. “In Europa – ha spiegato alla platea bolognese – avete avuto il sistema dell’austerità che è stato imposto e che ci riporta ai tempi della creazione dell’area dell’euro quando si è pensato di poter tenere il deficit sotto al 3%, il debito sotto al 60% e l’inflazione sotto al 2%, convinti che al resto avrebbe pensato il mercato. Ma da dove sono giunti questi numeri? – si è chiesto Stiglitz -. Non c’ è nessuno studio: il 3% è stato pescato in aria e il 60% dal cielo”.

Di fronte a questa situazione, quindi, la ricetta può essere quella di “non pensare al breve termine” ma a politiche di “lungo termine”, visto che “non serve miopia, ma lungimiranza” e a non vivere come un dogma la permanenza nella moneta unica. “Si può essere in Europa senza essere nell’euro” come accade per “la Svezia. L’euro – ha puntualizzato – è una moneta. L’obiettivo era la prosperità ma l’Europa non si è comportata benissimo” nel raggiungerlo: “la cosa più importante è il progetto europeo”.

E se il professore americano – che liquida l’accordo commerciale tra Stati Uniti ed Unione Europea, il Ttip attualmente arenato, definendolo “non un accordo internazionale ma aziendale che fa guadagnare le corporation” – chiede all’Europa lungimiranza, Romano Prodi vede un’Unione Europea in cui “in questo momento domina la dottrina non la politica economica, una dottrina profonda”.

A giudizio dell’ex premier, andando verso un 2017 con scadenze elettorali cruciali come quelle in Germania e Francia “si lavora sul breve periodo in politica e in economia. Ogni elezione – ha precisato – ha una importanza vitale”, anche quella più piccola. Invece, bisognerebbe “tornare all’economia di lungo periodo: nei tempi di magra devi spendere di più e in quelli di grassa risparmiare, ma oggi la dottrina va in senso opposto”.

Quanto al rapporto tra Italia e Europa e alla situazione dell’euro, ha evidenziato il professore emiliano, “il Paese sa benissimo che l’ancoraggio in Europa è indispensabile per il nostro futuro. I francesi hanno un senso imperiale, noi sappiamo i nostri limiti ma abbiamo un sano senso contadino della realtà e abbiamo un europeismo di fondo”.

Ad ogni modo, è l’analisi prodiana, “fino alla crisi economica è andata bene, poi la crisi economica ha divaricato la politica economica che non c’è più. Il futuro dell’euro – ha argomentato ancora – non è un punto interrogativo, il problema è come ricostruire la coesione che c’era prima della crisi e qui la cosa riguarda la Germania e la leadership della Germania”, perché “se continua così l’euro è a rischio visto che non c’è chi fa l’arbitraggio dell’interesse generale”.

D’altronde, a giudizio di Prodi, quello di “Bratislava”, che ha visto protagoniste Francia e Germania, “è stato un incontro di cortesia. Se continua così – ha concluso – va a finire male ma io penso che la saggezza arrivi: l’Europa è sempre arrivata al limite del burrone ma si è capito che o noi siamo uniti o non esistiamo più”.

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