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Il fiore di Matteo e una città che si fa verbo (inglese)

27 Febbraio 2016

Difficile, con quell’anglicismo un po’ sfacciato, che la l’Accademia della Crusca conceda il suo autorevole visto ma se a Copparo – come ormai tutto il mondo sa – sboccia il fiore ‘petaloso’ di Matteo, un po’ più in giù, sulla cartina geografica dell’Emilia-Romagna, c’è una città che si è fatta verbo. Inglese, ma pur sempre verbo.

Da quasi un annetto, ben prima della scorsa stagione estiva, con un gioco di parole – firmato da Leonardo Sonnoli buono per il marketing e la promozione turistica – Rimini è anche ‘rimining’. Voce del verbo ‘to rimini’: più o meno, rimineggiare o essere rimini.

La parolina fornita anche di hashtag, #rimining, compare un po’ ovunque – sui manifesti, sul sito del Comune, su quello ufficiale di informazione turistica – ed è stata coniata, così spiegava nel giorno della sua epifania il sindaco della città romagnola, Andrea Gnassi, perché  “quando dici Rimini la gente sorride! Rimini è un desiderio, Rimini è un’emozione.. Rimini è un luogo dell’immaginario. La bellezza di Rimini – aggiungeva – risiede anche nella sua capacità di offrire emozioni, di rendere magica ogni giornata assicurando cose da fare uniche. Questo sorriso incarna uno stile di vita che si può vivere solo a Rimini”.

Insomma, una sensazione che abbraccia un’intera comunità, racchiusa in un neo-verbo dall’aria britannica. Che non ha mancato di scatenare – soprattutto sul Web – l’ironia e il sarcasmo di diversi cittadini pronti a brandire ‘rimining’, dileggiandolo, ad ogni notizia di ‘nera’ pubblicata sui media locali, vecchi e nuovi. Senza pietà alcuna per un’idea comunque accattivante, inusuale.

E dire che a Rimini, quanto a neologismi, si può contare – senza menarne gran vanto a dire il vero – sul verbo riminizzare, ospitato nel 1988 sul dizionario ragionato della lingua italiana per indicare  l’eccessiva concentrazione di costruzioni. E più orgogliosamente, invece, sul lascito di Federico Fellini.

Già, perché volendo allargare lo sguardo sulle nuove parole ‘alla riminese’, si potrebbe attingere, a piene mani, alla fantasia del Maestro,  forse il più illustre tra i concittadini. Che, con la pellicola ‘I vitelloni’,  ha imposto all’immaginario collettivo e ai dizionari la figura del galletto (o, come riporta il vocabolario della Treccani del “giovane di provincia, ozioso e indolente, che passa il tempo in divertimenti, privo di aspirazioni”) adattabile ad ogni latitudine mentre con ‘La dolce vita’, già di per sé manifesto di pensiero, ha elevato a fama imperitura quella dei paparazzi finiti, pure loro, sui dizionari. E poi – forse quello che intenerisce di più i romagnoli – c’è ‘Amarcord’. L’espressione dialettale (a m’arcord, a voler essere pignoli) per dire mi ricordo. Titolo da premio Oscar e ormai espressione di uso comune. Che il vocabolario della Treccani descrive come “ricordo, rievocazione nostalgica del passato”.

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