Letteratura

Jazz & Noir. Intervista a Franco Bergoglio

16 Agosto 2015

Le pale del ventilatore ruotavano pigre sul soffitto.

Il fumo della sigaretta saliva in volute pigre, che si intravvedevano dalle tendine alla veneziana sulla porta dell’ufficio.

Una bottiglia di scotch praticamente vuota era rotolata sulla scrivania.

Da sotto il cappello il detective scorse un’ombra nel corridoio.

Anticipata da una nuvola di profumo entrò una bionda…

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Che musica associate a questa tipica scena noir?

Se la vostra risposta è jazz (ed è molto probabile che sia quella), quest’estate c’è un libro che vi potrebbe affascinare più della bionda, che porta pure certamente qualche guaio.

Lo ha scritto Franco Bergoglio, saggista che ai temi legati al jazz ha dedicato già altri interessanti libri e che in Sassofoni e pistole (Arcana, 330 pp., 17,50€) indaga il lungo rapporto tra questa musica e la letteratura poliziesca del Novecento.

Un rapporto quasi inevitabile, che l’autore indaga con una precisione quasi scientifica, analizzando il lavoro di oltre trecento scrittori (americani, inglesi, francesi, italiani…) e tutte le tantissime combinazioni di questa “relazione pericolosa”.

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Il lavoro di Bergoglio è di quelli che prendono per la gola gli appassionati, suscitando pagina dopo pagina una curiosità sempre crescente per i tanti romanzi di cui si parla, un po’ come succedeva con il bel libro di Flavio Massarutto su jazz e fumetto di qualche anno fa.

Perché sono mondi che si aprono, legami incrociati, immaginari che da un vecchio giradischi si rovesciano dentro pagine cariche di mistero e polvere da sparo e viceversa.

 

Attraverso un’analisi dei luoghi, delle tipologie, dei personaggi, l’autore effettua una campionatura vastissima, che tocca libri di livello altissimo e altri di onesto artigianato giallistico senza gerarchie, con il solo intento di scovare, detective ossessionato e empatico, quanti più indizi su questo “caso”. Ci troverete Raymond Chandler e Cornell Woolrich, Georges Simenon e Carlo Lucarelli, James Ellroy  e George Pelecanos, ma anche molti autori il cui nome magari vi potrebbe dire poco e le cui pagine assai di più.

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Ma come nasce questo ottimo libro? Colpisce subito il lettore la ricchezza di documentazione e di dettagli, tanto che uno si chiede: “ma li avrà letti tutti?” o “come ha fatto a trovare in mezzo a tanti libri i riferimenti al jazz?”. Abbiamo intervistato l’autore per soddisfare un po’ di curiosità a questo proposito.

 

Da quanto tempo stavi lavorando a questo libro e come hai proceduto nella sua realizzazione?

 

«Grazie per la domanda sul metodo. Avendoci lavorato circa otto anni poter spiegare il lavoro mi procura una certa soddisfazione. Esagerando, nel libro affermo che il procedimento adottato è quello di un detective, ma è la verità. Ho iniziato dalla passione per il giallo. Sono partito con una base di qualche decina di romanzi noir letti per puro diletto, dove mi aveva colpito la presenza del jazz. Poi mi sono accorto che nei Gialli Mondadori il jazz era una costante e da lì è partito un secondo filone, legato al giallo in Italia. Quando ho deciso di scrivere un libro intero sull’argomento ho dovuto razionalizzare e approfondire: cercando testi oltreoceano, comprando libri fuori corso su internet (uno di questi è arrivato dall’Australia), mettendo sottosopra le bancarelle dell’usato. Ad un certo punto ho dovuto verificare se i miei dati corrispondevano con quelli degli studiosi che hanno analizzato la “letteratura jazz” ».

 

E cosa hai scoperto?

 

«Che nelle opere degli autori accademici si esaminano bene il romanzo jazz o la jazz poetry, ma che nessuno aveva studiato sistematicamente il rapporto tra crime fiction e jazz. Solo David Rife – che cito nel libro – ha dedicato un capitolo del suo libro Jazz Fiction al tema. Da questi autori ho recuperato riferimenti a scrittori minori che non conoscevo e che ho aggiunto al mio elenco. Da lì il lavoro è diventato una caccia maniacale, a volte spasmodica, durata anni. Li ho letti tutti? No, alcuni mi sono limitato a sfogliarli con attenzione e a cercare i riferimenti che mi interessavano, perché avevo preso un appunto durante le ricerche che mi confermava che in quel tal libro o autore si parlava di musica. Devo però anche dire che se quelli che ho utilizzato non li ho letti proprio tutti, in realtà per mettere insieme questi 350 autori che parlano di jazz ho dovuto leggere, consultare, sfogliare, annusare, molto più materiale di quanto poi ho utilizzato. Credo –per  difetto – di avere setacciato ben oltre il migliaio di lavori. Ho lavorato “da storico” sulle fonti e “da detective” sui testi. Ci tengo a fare sapere ai miei lettori che non ho mai voluto fare sfoggio di cultura o intimidire il profano; cerco di scrivere in modo semplice e di trasmettere la passione per il jazz e per la letteratura noir e uso tutti i mezzi di cui sono capace. Molti volumi non li troverete in libreria, ma sicuramente giacciono tristi sulle bancarelle o nei remainder. Se li trovate probabilmente li pagherete un euro, come un caffè al bar».

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Lungo le pagine del libro indaghi un po’ tutte le possibili combinazioni del rapporto tra il jazz e il noir, alcune che potremmo definire “atmosferiche”, altre quasi “strutturali”. Quali, sinteticamente, secondo te i nodi principali di questo “amore” tra jazz e noir? Che Novecento esce da questa “relazione”?

 

«Domanda chiave: quali sono le connessioni tra il jazz e il romanzo criminale? I capitoli ne indagano diverse: i detective che ascoltano jazz tra una indagine e l’altra, le cantanti bionde da night che sono sempre dissolute, complici o amanti del protagonista, i jazz club che diventano luogo di crimini, i musicisti che si trasformano in assassini o sono vittime. La connessione con il Novecento fondamentale secondo me è questa: jazz e giallo sono forme d’arte o d’intrattenimento “popolari” che si muovono negli stessi luoghi e “climi”. Quasi inevitabile che il jazz diventasse la colonna sonora del noir, almeno per un certo periodo storico e per un paese: l’America».

 

Si è scritto molto del rapporto tra il noir cinematografico e il jazz, evidenziando anche come spesso il suono del jazz andasse a sottolineare gli ambienti o le vicende più torbide. Quanto questa “aura” narrativa dark e maledetta ha aiutato il jazz a trovare una sua identità nella cultura del Novecento e quanto invece può essere fuorviante?

 

«Rispetto al cinema noir penso che il jazz  abbia avuto un ruolo importante, ma spesso riduttivo. Ricordiamoci che il jazz ha goduto per molti anni di cattiva stampa: si trovava nei bassifondi, nei bordelli, nei luoghi malfamati. La morale comune lo bollava come prodotto inferiore, legato al crimine. Veniva così messa in ombra la creatività dei grandi musicisti e il valore artistico della loro musica. Ultimamente le cose sono cambiate, seguendo l’evoluzione dei tempi che hanno sdoganato questa musica: in un film recente, American Hustle – L’apparenza inganna, due personaggi si conoscono ascoltando Jeep’s Blues e si innamorano sulle ali della comune passione per Duke Ellington. E’ una scena ben girata, si trova in un thriller contemporaneo e non rappresenta una sequenza di violenza ma un corteggiamento».

 

A un certo punto fai un esplicito riferimento al fatto che il binomio jazz/noir è diventato così abusato da essere un cliché quasi da evitare, o che porta con sé una connotazione di scarsa innovazione…

 

«Il jazz nel noir è un cliché. Gli scrittori lo sanno benissimo. I migliori ci giocano, i mediocri ne abusano e mettono un detective con impermeabile e fiaschetta di whisky in tasca a sentire il blues in un ufficio spoglio illuminato dalla luce a strisce di una veneziana. Michael Connelly fa ascoltare Art Pepper e Clifford Brown al detective Bosch, ma quando il nostro uomo è al lavoro vive in una Los Angeles realistica, della quale l’autore conosce bene sia il mondo del crimine che il dipartimento di Polizia e la musica delinea il carattere del personaggio Bosch, “funziona” nel meccanismo della trama e non diventa un cliché».

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La messe di informazioni che fornisci nel libro è tale che per l’appassionato lettore si alternano momenti di euforia a, forse, qualche momento di sconforto, dato che leggere o rintracciare tutti i libri citati sembra un’impresa bellissima quanto complicata. Ti chiederei allora una sorta di shortlist per i nostri lettori, indicando i 5 libri noir collegati (in qualche modo) al jazz che ritieni imprescindibili.

 

«I testi reperibili sul mercato sono decine, una shortlist è un compito arduo. Quelli dove il jazz è fondamentale per la trama potrebbero essere: Sparate sul pianista di David Goodis che è uno dei grandi pionieri del noir americano, Che altro pezzo dobbiamo mandarti? di John Wainwright, un classico della scuola del poliziesco inglese, Piccolo blues del francese Jean-Patrick Manchette, Corri, uomo, corri di Chester Himes per il giallo di matrice afroamericana e Musica Nera di Leonardo Gori a rappresentare l’Italia. Ho scelto autori famosi, facilmente reperibili e di paesi diversi per testimoniare quanto il genere abbia ormai ramificazioni mondiali, con varie scuole “nazionali”; un po’ come capita al jazz. Se posso permettermi una aggiunta vorrei consigliare anche alcuni autori: tutto James Ellroy, la serie di Michael Connelly dedicata ad Harry Bosch e quella di James Lee Burke su Dave Robicheaux. I libri di Elmore Leonard con protagonista Carl Webster. Non sempre il jazz fa capolino, ma questi autori lo hanno utilizzato spesso e rappresentano una immersione mozzafiato nel thriller americano contemporaneo. Vorrei poi suggerire un libro ai jazzofili incalliti. Aria chiusa di Evan Hunter, meglio noto con lo pseudonimo Ed McBain e autore di decine di police procedural nella saga dell’87° distretto. Aria chiusa non è un giallo in senso stretto, ma la storia di un trombettista che sta tentando di liberarsi dalla propria tossicodipendenza. Una vicenda drammatica, dove il jazz vibra ad ogni pagina e che descrive un certo sottobosco musicale che negli anni Cinquanta  era reale. Una storia ben scritta che dovrebbe figurare tra i migliori romanzi sul jazz e che inspiegabilmente è caduto nell’oblio».

Beh, a questo punto ti chiederei anche un film noir e un graphic novel da accompagnare a queste tue scelte.

 

Un film imprescindibile è Il lungo addio di Robert Altman, tratto dall’omonimo libro di Raymond Chandler. Lì c’è tutto. Per il graphic novel segnalerei qualche avventura di Alack Sinner, il detective creato da Muñoz e Sampayo. Cito anche con affetto la serie bonelliana di Mister No: il jazz è molto amato dal pilota amazzonico e viene usato come sfondo o sottotrama in diverse storie».

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