Letteratura
Notizie da Lumìa – La base morale di un paesino costiero ionico
Nel paesino della riviera ionica siciliana da me prescelto – in virtù della straordinaria luce che vi si irradia in qualsiasi giorno dell’anno e del colore del suo mare turchino – per trascorrervi le mie estati di emigrato al Nord, ho avuto modo di constatare con la mia osservazione partecipata di antropologo avventizio, ciò che Edward C. Banfield nel suo straordinario saggio sul familismo amorale chiama la moral basis di una comunità (The moral basis of backward society è il titolo originale del suo libro, 1958). Qual è la base morale di questo paesino che nella mia finzione sociologica ribattezzo con il nome di Lumìa in ricordo dei limoni che una volta vi si coltivavano? Uno straordinario individualismo atomistico; una diffidenza arcigna verso il forestiero; una incapacità assoluta di organizzarsi e di pensare collettivo (salvo che per le feste magico-sacramentali delle due Madonne venerate nel luogo in due distinte contrade, manco a dirlo in competizione tra loro come nella novella di Verga Guerra di santi, e che danno vita a inizio e fine estate a riti vecchi e stanchi, più un omaggio alla tradizione che un sentimento vivo e profondo); una tristezza di fondo degli abitanti dipinta sui loro visi pallidi e spenti: i locali non vanno mai al mare che ignorano. I negozianti non sorridono e hanno una sola espressione come le figure nei bassorilievi egizi. Io mi sono divertito a chiamarli con nomi funerei o horror: Tutankamon, Nosferatu, Frankestein, Mortimer, Belfagor (lo sceneggiato televisivo per chi se lo ricorda).
Tale postura dei negozianti mi ha colpito fin dal primissimo giorno. Ho interrogato sul tema l’intellettuale del luogo, un vecchio maestro di scuola elementare che ha individuato in me, da qualche improvvido segnale, non so forse qualche libro letto in spiaggia, un suo degno interlocutore, il quale si diletta a scrivere di glorie locali e che ha passato la sua giovinezza a Brescia indenne: nel senso che non si è lasciato contagiare dall’operosità inconsulta di quelle nordiche ed esagitate popolazioni. Il maestro che tutti, con spagnolesco aumento di grado, chiamano Professore ha risposto alla mia domanda, facendo leva su una sorta di positivismo storico (un mix tra le due scuole di pensiero, lo storicismo e il positivismo appunto che in Italia si sono combattute), spiegandomi che probabilmente è rimasta nel precordio degli abitanti la paura delle scorrerie dei saraceni; da qui quella diffidenza verso lo straniero e quei volti accigliati. Nientr’altro che pensieri e paura, più paura che pensieri, che nel dialetto siciliano sono sinonimo di preoccupazioni a scanso di equivoci. Invero il paesino, come molti delle coste meridionali, in Calabria soprattutto, stanno sul mare ma ignorano l’elemento: non hanno marineria, non hanno spostato le attività sul lungomare (ritenuto il luogo dei forestieri, ossia dei proprietari di seconde case, i loro nemici giurati, che però sono gli unici a pagare le tasse compresa l’esosissima TARI), hanno la chiesa con il campanile e la facciata non rivolti al mare, e per soprammercato, le panchine del lungomare danno le spalliere al mare Ionio. Gli abitanti sono infatti dei contadini con il mare. Tino Vittorio, un professore dell’università di Catania, un polemista di razza, ha sostenuto in un suo libello che proprio la paura, l’inimicizia, la mancata proiezione verso il mare ha determinato l’origine della questione meridionale.
Quella base morale a cui alludevo, quella incapacità a organizzarsi e ad associarsi, lo ricordo, è per Edward C. Banfield motivo di mancanza di autogoverno e ragione di sottosviluppo – ai tempi del sociologo americano si usava il termine più compromettente di “arretratezza” backwardness, che presuppone una comparazione implicita con società più avanzate. Guai però a fare comparazioni mi hanno insegnato le chiacchiere in società e la frequentazione di social network! Qualcuno si offende sempre.
Banfield stabilisce una equazione tra associazionismo e democrazia (sulla scia di Tocqueville), tra tono della società civile e ceto politico, tra democrazia ed economia.
«Non si può attuare un sistema economico moderno se non si sa curare e mantenere in vita un’organizzazione professionale; in altri termini, più elevato è il livello di vita che ci si propone di raggiungere, tanto più risulterà indispensabile l’organizzazione. L’incapacità di organizzarsi costituisce ugualmente un ostacolo al progresso politico: infatti proprio dalla possibilità di coordinare, in relazione ai problemi di interesse pubblico, le linee di condotta di un gran numero di persone dipende, tra l’altro, l’attuazione di forme di autogoverno. In breve, i medesimi elementi che concorrono alla formazione di un’associazione ai fini economici, concorrono altresì alla formazione di associazioni di carattere politico».
Ora, com’è come non è, nel paesello di luce e di mare della riviera ionica siciliana, qualcuno ha avuto l’idea, l’iniziativa stavo per dire in un luogo dove ogni spirito di intrapresa sembra morto e sepolto, di costruire un hotel a quattro stelle. Proprio sul lungomare. Taccio sui miei sospetti, di uomo che crede di conoscere la società meridionale, sull’origine dei capitali per una intrapresa di questo genere: l’hotel è davvero imponente. Siccome io promuovo platealmente l’iniziativa accetto per amor di patria pertanto, fra tutte le chiacchiere che circolano in paese, solo quella che dà l’imprenditore già proprietario di altri hotel nella Perla dello Ionio poco distante e che pertanto ci può stare che sia avvenuta in tal modo la sua “accumulazione originaria del capitale” (K.Marx I libro del Capitale), come avviene ossia in società più evolute dove merito e capacità ti portano l’uomo dallo spillo al milione. E che diamine! Non tutto è mafia in Sicilia.
Ciò che mi ha lasciato del tutto esterrefatto è stato, però, che attorno alla costruzione dell’albergo non si è innescato alcun fervore della cittadinanza (tranne il fatto che il comandante dei vigili urbani ha piazzato nello staff dell’albergo la propria figliola), neanche quello altalenante, pigro e a tratti eccitato, di chi vuole contrastare, con quel progetto della grandiosa costruzione di un Albergo, la noia dell’inerzia e la paresi della pigrizia e la conseguente caduta nel lamento che circola nelle pagine a me care degli Anni perduti di Vitaliano Brancati attorno alla costruzione di una enorme torre panoramica nella città di Natàca, e che si replica attorno all’organizzazione di un grande ballo nel romanzo Sogno di un valzer o che c’è, per toccare cime supreme letterarie, nell’organizzazione dell’Azione parallela de L’uomo senza qualità di Robert Musil. Un peu de bruit autour de moi, che diamine!
Macché torre panoramica, che sogno di un valzer, che genetliaco dell’Imperatore! Qui è stato, lungo il tempo della costruzione e la messa in esercizio dello stabilimento alberghiero, tutto un ridacchiare e infossarsi nelle spalle: sul numero esagerato delle stelle dell’hotel, sull’assurdità di una costruzione del genere in un paese dal lungomare fetido e cadente (il lungomare dei foresti, beninteso che “loro” non cureranno mai perché non gli appartiene), sulla falsità dei giudizi e dell’alto punteggio che appare nei siti web specializzati nella prenotazione on line degli alberghi, sull’assoluta inanità dell’impresa. Talché: “l’hotel è fallito!”, o “l’hotel è sull’orlo del fallimento!” passa di bocca in bocca come un tormentone con evidente Schadenfreude, con gioia delle disgrazie altrui. Ché questa gioia sinistra è lo scopo ultimo della fallita società meridionale: non io, ma neanche tu, o meglio: neanche tu, perché non io, stronzo!
Cosa può spingere la comunità di Lumìa a irridere ogni iniziativa economica, ogni intrapresa, ogni spirito animale di riuscita economica se non quel desiderio cupo, intriso di fatalismo, di obbedienza cieca al destino, di succubanza al tradizionalismo più soffocante, di neghittosità atarassica, di voglia scellerata di abbassare il mondo intero alla propria inerzia e inadeguatezza (tutti con la rogna di vivere dobbiamo stare!), quella demopsicologia o altrimenti detta mentalità o quella base morale dalla quale siamo partiti che sta al fondamento delle società arretrate e che non solo non le fa sviluppare ma le strozza sempre più come in quella forma atroce di dare la morte, inventata da queste parti, dell’incaprettamento? Che più ti muovi e più ti strozzi?
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